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La crisi dell'euro e il risveglio identitario

di Luciano Fuschini - 16/10/2011

Fonte: giornaledelribelle

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Assistiamo a una quasi identità di vedute fra i gruppi duri e puri del neocomunismo e del neofascismo, anche se loro lo negheranno, a proposito delle ricette per fronteggiare la crisi sistemica: uscire dall’euro e dall’UE, ripristinare la piena indipendenza dello Stato-Nazione, nazionalizzare le grandi banche, azzerare il debito.  E’ abbastanza evidente in questo un’egemonia della visione del mondo della sinistra fascista, ma su questo non insisterei. Invece è il caso di mettere in evidenza la centralità del tema dell’unità europea. L’UE come è oggi è indifendibile. Si tratta dell’Europa dei burocrati e dei banchieri, una costruzione senza anima. Una cosa grandiosa come l’unità europea non può esistere se non muove passioni popolari, se non genera un sentimento dell’Europa come patria comune, se non fa nascere simboli, riti condivisi, in una parola una spiritualità. Sintetizziamo il concetto abbassando il tono e trasferendoci sul piano della banalità quotidiana, perché proprio a questo livello si fanno le rilevazioni più significative: in una finale di campionato di calcio fra Germania e Brasile, la quasi totalità degli spettatori europei non tedeschi tiferebbe per il Brasile. Basta scendere a questo livello per capire come manchi totalmente un patriottismo europeo.

Eppure l’unità dei popoli dell’Europa non è un’idea peregrina. L’Europa unita fu una realtà ed è rimasto nei secoli un grande ideale. Riflettendo sulla storia, vediamo che l’unità di almeno parte del continente fu sempre realizzata attraverso conquiste armate da parte di nazioni e di condottieri che furono però anche portatori di idee nuove, di un progetto di civiltà, perché la pura e semplice conquista non può creare alcunché di duraturo. L’Impero romano seppe unificare buona parte d’Europa con la conquista armata ma anche portando un ordine superiore con le sue leggi, rispettando e talvolta adottando gli Dèi dei vinti, concedendo la condizione di soci o addirittura la cittadinanza romana a molti sudditi. Il suo crollo fu vissuto come un trauma, tanto che chi lo visse non lo volle riconoscere come tale: si volle credere che l’Impero di Roma si perpetuasse sotto altre forme. Il nuovo Impero germanico e cristiano fu visto in rapporto di continuità con quello romano e pagano. Carlo Magno si considerò continuatore ed erede dell’Impero di Roma. Frantumatosi anche l’Impero carolingio, per tutto il Medioevo l’idea imperiale e romana fu tenuta viva dal ghibellinismo, ed era passione vera, era linfa vitale. Alla fine del Medioevo ormai si era affermata la realtà degli Stati nazionali, ma il progetto di un’Europa unita sotto un potere cristiano-cattolico, in lotta col protestantesimo, fu ancora perseguito da Carlo V, all’inizio dell’era moderna. Fallì, per la resistenza dei protestanti e per l’opposizione della Francia. Le paci di Vestfalia sancirono la divisione, apparentemente definitiva, in tanti Stati indipendenti.

Ma la vitalità dell’idea di un Impero continentale si ripropose con Napoleone, per l’ultima volta. La sua fu una conquista armata, ma non solo. I francesi erano anche portatori delle idee nuove della rivoluzione borghese, comunque le si voglia giudicare, le idee dell’illuminismo. Fu un grande sommovimento che produsse rivoluzioni, passioni popolari, bandiere, simboli attorno ai quali si coagulavano i partiti: tutto ciò che occorre per creare una realtà nuova, tutto ciò che manca all’Europa odierna. Il progetto di Napoleone e della massoneria francese fu frustrato da un altro Impero, la talassocrazia inglese, col forte contributo della Russia zarista, e da un’altra massoneria, quella britannica. Da allora non c’è più stato nulla di paragonabile al disegno napoleonico. Il sogno, anche mazziniano, di una federazione europea fra libere nazioni, era solo retoricamente accostabile al modello statunitense, per la semplice ragione che gli USA hanno saputo darsi un governo centrale, una lingua comune e un patriottismo, che all’Europa contemporanea continuano a mancare. Anche la parentesi hitleriana è poco significativa, perché ebbe solo uno dei presupposti che occorrono per dare vita a un vero Impero continentale: la conquista armata. La logica etnica del nazismo era troppo escludente per suscitare quegli entusiasmi e quel patriottismo europeo senza i quali anche le più grandi conquiste sono gusci vuoti.

Dunque è vero che l’attuale UE è una costruzione artificiosa, senza sostanza, ma è anche vero che l’idea di una costruzione che racchiuda i popoli del continente in una realtà unitaria, non è infondata. Oggi non è il caso di auspicare l’avvento di un condottiero che unifichi l’Europa con le armi. Tuttavia  un grande sconvolgimento, una rivoluzione continentale, capace di suscitare passioni, entusiasmi, progetti, resta pur sempre una possibilità, o almeno una speranza. Non mi sembra che gli Indignati o i Pirati abbiano il respiro possente che un’opera tanto gigantesca richiede, ma la loro nascita serve almeno a far comprendere come siano possibili fermenti di dimensioni continentali, che rendono non antimoderna ma piuttosto anacronistica l’idea di rinchiudersi entro i confini dello Stato-Nazione. Anche la nostra convinzione che si debba andare verso forme di autoproduzione e autoconsumo (ma chiamiamola pure autarchia se non abbiamo paura delle parole), andrebbe intesa nella dimensione di macro regioni europee più che nei confini ristretti degli Stati nazionali.

Questi dovrebbero essere i termini del dibattito, non tanto il ritorno alla liretta, pur nella consapevolezza che l’euro è nient’altro che il marco imposto a economie troppo diverse da quella tedesca perchè la moneta unica non facesse disastri. Ma l’obiezione di fondo è un’altra: nei progetti di ritorno agli stati nazionali, alle monete nazionali, nel proposito di azzeramento dei debiti, c’è la pretesa, del resto illusoria, di uscire dalla crisi nel modo più indolore possibile. C’è uno spirito fondamentalmente conservatore. Invece la nostra speranza deve essere l’idea opposta. La crisi è una grande opportunità, è una benedizione. Dobbiamo auspicare che sia lunga, profonda, dolorosa, devastante. Soltanto attraversando un grande disastro gli infiacchiti popoli europei possono ritrovare l’energia per quello scarto dalla norma, per quel recupero di vitalità, per quel sommovimento politico e culturale che, solo, può rifondare l’Europa.