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Il “sequestro” della Montecristo

di Giancarlo Chetoni - 23/10/2011


Somalia, emergenza pirati: c’è una gran puzza di zolfo

Quando il 10 Ottobre alle ore 19.20 è uscito il comunicato dell’Adnkronos che dava notizia del sequestro della portarinfuse Montecristo (56.000 tonnellate di stazza lorda), della società di navigazione livornese D’Alesio Group, è apparso evidente che il contenuto fosse già stato precedentemente trattato da esperti in veline dell’Alleanza Atlantica.
L’allarme di “emergenza pirati“ lanciato alle ore 6.45 dal comandante Diego Scussat, che ha fornito le coordinate geografiche della nave al momento dell’arrembaggio, è stato ricevuto dai satelliti militari per essere poi ritrasmesso a terra in tempo reale e da qui irradiato a tutte le piattaforme della NATO di Ocean Shield e dell’altrettanto dispendiosissimo doppione europeo Eunavfor Atalanta, che controllano lo spazio marittimo e i cieli sulla direttrice ovest-est, dal Golfo di Aden a quello dell’Oman, e nord-sud, dallo stretto di Bab el Mandeb fino alle isole Seychelles, compreso il Madagascar e “proiezione di sorveglianza“ fino al Capo di Buona Speranza (!).
Inutile dire che la Repubblica delle Banane partecipa ad ambedue le “missioni“ con costosi assets satellitari, navali, aerei e ad ala rotante.
Il personale della Marina Militare e dell’Aviazione e Corpi Speciali, di stanza sia a terra che su piattaforme mobili, supera (non ufficialmente) le 750 unità dal 13 Dicembre 2008.
L’Ammiraglio Gualtiero Marchesi comanda la missione Ocean Shield da bordo del cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria (equipaggio 240 uomini) e il Maggior Generale Buster Howes lo fa per quella Eunavfor Atalanta dalla base di Gibuti, dove manteniamo ufficiali di collegamento, sede avanzata del Quartier Generale di Northwood in Inghilterra.
In più, l’Italietta dal Gennaio 2010 è schierata in Uganda con EUTM Somalia a Kampala e a Bihangha.
Ufficialmente, i “berretti verdi“ nazionali operanti a Kampala sono 19 mentre 17 sono gli “istruttori“ ied-antimine.
In Kenia, a Nairobi, il Ministro della Difesa La Russa mantiene “uffici di collegamento“ affiancati da personale della Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo dipendente dal Ministero degli Esteri.
A cosa possa servire questo ingente impegno in Uganda e Kenya è presto detto. Il 16 Ottobre l’esercito di Nairobi ha lanciato un offensiva in Somalia contro gli “islamisti“ Shebaab sospettati (siamo alle solite) di rapimento di cittadini stranieri in territorio keniano. L’ex serpente dell’Asia Ban Ki Moon non ha mosso foglia per dare fiato alle trombe. Il silenzio su una nuova aggressione dall’esterno al territorio della Somalia è stato totale.
“Siamo penetrati in Somalia per perseguire i responsabili di sequestri e di attacchi“, ha dichiarato il portavoce del governo di Nairobi K. Matua.
Dal mese di Agosto risultano “disperse“ due collaboranti di una Ong non meglio precisata.
Abbiamo rinvenuto due foto senza nome, cognome e nazionalità, di razza caucasica. Nient’altro.
Puzza lontano un miglio di “narcos“ messicani pagati dall’Iran per assassinare l’ambasciatore saudita a Washington. Questa volta tocca al Kenia tentare di “liberare“, a contratto, la Somalia dai residenti per conto di USA, NATO e Unione Europea, dopo la disastrosa, recente, sconfitta riportata dall’Etiopia nell’ex colonia italiana.
L’integrazione tra forze USA-NATO e UE anche nelle finalità militari e neocoloniali nel quadrante africano centro-settentrionale è ormai, da anni, un meccanismo costosissimo e ampiamente rodato. L’aggressione alla Jamahirya rientra in un piano strategico militare ed economico-energetico-minerario di ben più ampia portata, ai danni dell’intero continente africano.
Torniamo al “sequestro” della Montecristo.
I 12° 34’ 67“ Nord e i 61° 48’ 86“ segnalati dall’agenzia di stampa italiana come coordinate distanti 620 miglia marittime ad est della Somalia (!) stanno lì a dimostrare l’evidente manipolazione del contenuto a cui abbiamo accennato in apertura.
Sarebbe stato molto più semplice scrivere: “Sequestro di un’altra nave italiana nel Golfo di Oman”.
Il “depistaggio geografico” nel comunicato dell’Adnkronos ha permesso di evitare associazioni con lo Stretto di Ormuz, il Golfo Persico e l’Iran.
Con Google Earth siamo riusciti a individuare il punto-coordinate con assoluta precisione.
Richiama alla mente le “disavventure“ della Savina Kaylin e della Rosaria D’Amato, e i fitti misteri che gravitano ancora sulle rotte e sulle destinazioni finali, sulle flagranti omissioni delle navi Zeffiro e Mimbelli della Marina Militare che, pur imbarcando unità speciali antiterrorismo, intercettate a vista (!) sia la tank che il cargo dei fratelli D’Amato, hanno “scortato“ dal punto di abbordaggio a quello di “consegna“ ai pirati del Puntland 250.000 tonnellate di naviglio mercantile italiano, condannando con una sospettissima passività a una dura prigionia comandanti, ufficiali e marinai di 12 diverse nazionalità, dietro ordine di un’“autorità“ politica e/o istituzionale a cui non si riesce a risalire con assoluta certezza e che esporrà di fatto società armatrici e Stato a versare in solido, come già accaduto, decine di milioni di euro a mandanti e sequestratori-tagliagole.
Tutto ciò perchè a Palazzo Baracchini qualcuno si è dimenticato di dotare le navi mercantili italiane che attraversano l’Oceano Indiano di una scorta, anche composta da pochi scarponi del Battaglione S. Marco, e quando lo ha dovuto fare, volente o nolente, per decreto, sotto la forza degli avvenimenti (leggi abbordaggi e sequestri a ripetizone), ne ha ritardato colpevolmente l’applicazione, riservando peraltro il più del lavoro ai contractors. Per ora sulla Montecristo ci si è dovuti accontentare di 4 specialisti privati per la difesa passiva!
Insomma, di “insegnanti” capaci di fornire indicazioni utili all’equipaggio sull’uso di ostacoli antipirateria come il filo spinato o getti di acqua ad alta pressione e altre frescacce.
I 60 uomini della Marina Militare divisi in 10 nuclei per la scorta sono la “pezzuccia”, anch’essa annunciata, dal titolare della Difesa per salvare la faccia.
E pensare che gli armatori italiani si sono sempre dichiarati disponilissimi, da anni, a conferire al Ministero di Via XX Settembre le risorse finanzarie necessarie a effettuare il distacco di personale militare per la vigilanza armata!
Le compagnie di assicurazione non ne vogliono più sapere, da un bel pezzo, di pagare il “governo” del Puntland con esborsi-risarcimento “Protection & Indennity”.
Le preoccupazioni di Frattini e di La Russa per la sicurezza degli equipaggi delle navi mercantili italiane oggetto di abbordaggi da parte della pirateria del Puntland, compresa la paccottaglia dei “silenzi stampa” e l’imbarco di addetti alla protezione “disarmati”, non può non apparire sospetta.
Non mancherà l’occasione di entrare più a fondo nella materia.
Abbiamo cominciato a farlo mettendo sotto esame Margherita Boniver. Un soggettino che si spaccia per “sottosegretario di Stato” (presumiamo agli Esteri) nel suo blog.
A fronte di notizie di reato la Procura di Roma non ha emesso, almeno per ora, a quanto ne sappiamo, alcun provvedimento penale e/o coattivo anche se non tocca certo a noi di precisarne i profili.
Da rilevare che il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare era, al momento dell’arrembaggio sia della tank Kaylin che del cargo D’Amato, come lo è tutt’oggi, l’Ammiraglio di Squadra Bruno Branciforte, già addetto militare a Washington, presso USCENTCOM a Tampa in Florida e dal 2006 al 2010 capo dell’Agenzia Italiana Sicurezza Esterna (AISE), pataccato dal Congresso USA con la Legion of Merit per altissimi meriti resi, con il suo stato di servizio, agli Stati Uniti d’America.
A Bruxelles fa buona guardia l’Ammiraglio di Squadra Giampaolo Di Paola, presidente del Comitato Politico-Militare dell’Alleanza Atlantica, altro “insignito” dal governo USA con la “stella di David”.
Il riferimento alla distanza dalle coste del Puntland ha consentito di omettere che l’arrembaggio della Montecristo sia avvenuto nel Golfo di Oman che immette in quello Persico, un’area sotto costante controllo, da tempo, dell’ Alleanza Atlantica per intercettare a vista mercantili “sospetti“ di trasportare materiale militare strategico o “dual use“, proveniente dal Canale di Suez o dallo stretto della Malacca, verso Paesi ostili a USA e NATO, Iran in primis, o da far sequestrare da “filibustieri“ della “tortuga somala“ per passare al setaccio i carichi del traffico mercantile nella cosiddetta Regione Autonoma del Puntland, quando scatti la procedura di “allarme rosso“.
Da tenere di conto che non è possibile, almeno per ora, ottenere dai Consigli di Sicurezza dell’ONU il permesso di “fermo nave armato“ e ispezioni al materiale trasportato da natanti provenienti da Stati non allineati, che andrebbero a colpire la libertà del commercio mondiale via mare e attirerebbero ritorsioni di eguale portata da parte di Tehran, in un area di mare dove si concentra il 28% del traffico petrolifero e gasiero del pianeta.
Il sospetto è che a Washington (Pentagono) e Bruxelles (Comando Generale della NATO) si sia deciso di offrire ai “governi“ del cosiddetto Puntland copertura satellitare e pressioni “politiche“ adatte a rendere carta straccia, per il diritto di veto di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, qualsiasi iniziativa che potrebbe essere intrapresa da uno o più dei 10 Paesi che fanno parte a rotazione del Consiglio di Sicurezza. Proposte di risoluzione adatte, senza sfumature paralizzanti, a mettere in campo (al voto) iniziative militari finalizzate a liquidare con la forza le bande di bucanieri-tagliagole che vi stazionano, per abbordare e mettere sotto sequestro mercantili di proprietà di società di navigazione, di Stati potenzialmente ostili all’“Occidente“ o “neutrali“, in navigazione nell’Oceano Indiano. Quelle che ci sono rimangono costantemente inapplicate, come è noto che i pirati catturati dalla NATO si volatilizzino dopo la consegna a Stati dell’area che sono culo e camicia con l’Occidente.
Fatto sta che, dal 2005 ad oggi in Italia, non è mai stata pubblicata una foto o divulgato un solo spezzone di ripresa di un arrembaggio tentato o riuscito dei “bucanieri” del Puntland. A giro c’è una gran puzza di zolfo.
A questo punto vediamo di mettere a nudo quello che è uscito, in solido, dal “sequestro“ della Montecristo. Abbiamo messo le virgolette a ragion veduta. Crediamo di poter affermare che almeno in questa occasione di “pirati” su delle barchette nel Golfo di Oman non ce n’erano né 4 né 5, né 11 o 15 come è stato scritto, via via, dalle agenzia di stampa.
Questa volta si è inventata di sana pianta una bella storiella per giustificare un’ispezione armata in mare di USA e Gran Bretagna a un cargo del Bel Paese. Ho maturato questo convincimento sulla scorta della conversazione telefonica preliminare avuta con l’addetto stampa della Società Armatrice D’Alesio e una ponderata valutazione sugli indizi attinti da una tv locale, in cui è apparsa evidente qualsiasi mancanza di apparente preoccupazione di un familiare per la sorte del 3° ufficiale di coperta della Montecristo, Stefano Mariotti, 35 anni, dipendente della D’Alesio Group dal 2000, a distanza di 24 ore dal sequestro. “Sono cose che possono succedere a chi naviga“ riferirà alla giornalista che l’ha intervistato. A tenere i contatti con la D’Alesio Group è stata l’Unità di Crisi della Farnesina.
L’addetto stampa della D’Alesio Group ha riferito che la Montecristo è salpata dall’Inghilterra per raggiungere con un carico di “rottami di ferro“ un porto del… Vietnam.
Quel che è certo, invece, è l’esistenza a Bandar Abbas, in Iran, di un grosso centro siderurgico costruito molti, molti anni fa, prima della sua liquidazione, dall’Istituto Ricostruzione Industriale (IRI).
La Montecristo ha attraccato a banchina in qualche scalo intermedio per caricare attrezzature o materiale apparso “sospetto“ o si voleva intimidire un’altra società di navigazione del Bel Paese con destinazione Iran, come la Rosaria d’Amato che trasportava granaglie?
L’11 Ottobre Laura Montanari, inviata de La Repubblica, ha raccolto alla D’Alesio Group qualche pagliaccesca dichiarazione sulle modalità del “fermo macchine“ per la presa in consegna della plancia comando della Montecristo da parte di presunti “uomini ragno“, pubblicata sul quotidiano senza sentire la necessità di aggiungervi uno straccio di commento. Basta dare un’occhiata alle immagini fotografiche dell’imbarcazione disponibili in rete per capire le ragioni del mio giudizio. Anche con un pescaggio aumentato, dalla linea di galleggiamento al ponte di coperta ci sono in perpendicolare almeno 9-10 metri di fiancate da scalare, senza considerare le condizioni del mare e del vento, della vernice che le copre, della salsedine e il movimento onde prodotto dall’avanzamento.
La Kaylin e la D’Amato hanno un tonnellaggio almeno doppio della Montecristo e altezze di murata in proporzione.
Sul quotidiano della Finegil, a corredo pagina ci sarà un articolo di Mastrogiacomo. Una firma che garantisce da sola un ampio sospetto di “depistaggio”. Un Ciai del Vicino Oriente dopo l’”avventura” in Afghanistan.
L’armatore sosterrà, evidentemente intimorito dall’accaduto, il lancio a mare di una bottiglia di plastica, da parte di un componente dell’equipaggio, con un messaggio scritto perché fosse intercettata da navi militari USA e/o NATO.
Un raccontaccio che evidentemente non sta in piedi. A partire dalla scorta alla Montecristo da parte di un’unità militare giapponese.
Uno dei proprietari della Società di Navigazione, il Cav. Nello D’Alesio, affermerà che nello spazio della bottiglia di plastica verrà inserito, facendolo passare per il collo, un dispositivo intermittente di segnalazione perché fosse visibile anche di notte agli “inseguitori“ e altre amenità di pari livello intelletttuale, come la guida-timone effettuata dal comandante asserragliato nella “shock-room“, saldata dall’interno con la fiamma ossidrica, per condurre la portarinfuse, allestita e varata in Corea del Sud alla faccia dei lavoratori di Fincantieri, all’imboccatura dello stretto di Ormuz per consentire alle unità militari di USA e NATO di catturare i sequestratori.
L’incredibile è che questa versione sia stata ripresa dai maggiori quotidiani del Bel Paese il giorno successivo e sia stata diffusa, mattina, pomeriggio, sera e notte, dai TG della RAI.
Cosa che mette bene in luce la ormai demenziale arroganza dei diffusori di menzogne delle grosse testate nazionali e un disprezzo senza limiti, da parte dei bramini superpagati di Viale Mazzini, verso milioni di utenti.
Il tempo della Repubblica delle Banane sta scadendo, con o senza Draghi e Black Bloc.