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Giamahiria

di Fabio Falchi - 24/10/2011


Giamahiria

Per una analisi storica e politica della Giamahiria vi sarà tempo. Quel che è  certo è che nulla di simile ci si deve aspettare dalla stampa italiana: nessun tentativo di capire per quale motivo le “forze occidentali” abbiano aggredito uno Stato sovrano o perché gran parte del popolo libico non abbia appoggiato i cosiddetti “ribelli”.   Attenti ai particolari personali e pronti a diffondere qualsiasi bufala pur di fare notizia, ma senza disturbare il manovratore, per i gazzettieri non c’è colore che non sia una sfumatara di grigio : Gheddafi come Saddam o addirittura come Mussolini. La retorica della libertà, si sa, è una macchina semplificatrice,  benché potente. D’altronde, quel che conta è che  la libertà e la democrazia made in Hollywood facciano un buon incasso. Insomma, che la “fiction ” sia produttiva. E che i “semplici” ci credano.

 

 

Nondimeno, è lecito e perfino necessario fare una – sia pur brevissima – considerazione sulla fine della “Repubblica delle masse” (che non necessiamente significa la fine della resistenza del popolo libico contro i “collaborazionisti di Bengasi”). Indipendentemente dal  fatto che la Libia è uno Stato tribale, che presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da qualsiasi Paese europeo, è evidente che per giudicare la Giamahiria si deve tener conto che Gheddafi, allorché prese il potere nel lontano settembre 1969, si trovò di fronte al calssico problema di chi, per difendere i diritti del proprio popolo, deve combattere sia contro nemici interni, sia contro nemici esterni. Ovvero contro gli “agenti” del grande capitale e della potenza capitalistica predominante. Ed è ben difficile che  si possano mutare i rapporti di potere esistenti con il “mercato democratico”. La stessa socialdemocrazia scandinava, che pure pareva poggiare su basi storiche e culturali solidissime, appena cambiato il vento della storia è stata spazzata via come un castello di carte. Quindi, anche Gheddafi , a cui ovviamente si possono muovere non poche critiche, è logico che si sia dovuto confrontare con tale questione ed abbia cercato di risoverla secondo la tradizione culturale del suo popolo; ma  è comunque indubbio che progressi sociali ed economici  ci siano stati. Quanto alla accusa di aver finanziato il “terrorismo internazionale” , molto dipende da che cosa si intende per terrorismo, dato che gli angloamericani e gli israeliani, che pure praticano il terrorismo su scala globale, sembrano considerare  terroristi tutti coloro che contrastano la loro politica di potenza. Paradossalmente, ma è un paradosso solo in apparenza, l’errore più grave di Gheddafi, come è stato osservato, è stato di aprire, in questi ultimi anni,  il Paese all’Occidente, senza avere la capacità politica e militare per difendersi da un attacco degli “occidentali”, tanto più previdibile, considerando anche il forte impegno della Libia in Africa, proprio quando il continente africano, anche a causa della presenza cinese, ha acquisito un ruolo geostrategico del tutto nuovo e di estrema inportanza, e quando il Leviatano, proprio perché ferito, è più che mai pericoloso e sembra puntare tutto sulla “geopolitica caos”. Al  riguardo, Giuseppe Germinaro, collaboratore del blog “Conflitti e strategie” ha scritto: “Resta una grande amarezza, ma la quasi certezza che l’attuale strategia americana sia molto rischiosa; troppi fronti aperti. Dovessero crearsi due/tre intoppi il castello vacillerebbe pericolosamente. Stiamo attenti all’Italia”. E’ un giudizio che non si può non condividere . E il riferimento al nostro Paese non è affatto retorico o esagerato. Vero che, se il  lupo  perde il pelo ma non il vizio, allora  non può destare meraviglia che i nostri governanti, pur di salvare sé stessi, non abbiano esitato a stracciare il Trattato di Bengasi e a mordere la mano che avevano addirittura baciato. Ma a pagarne le conseguenze sarà il popolo italiano. Anzi, le sta già pagando. E si è solo all’inizio.

 

In ogni caso, non è possibile non provare nausea per gli articoli di coloro che ficcano le dita nel corpo insanguinato di Gheddafi e nei corpi della centinaia di migliaia di civili massacrati dagli americani e dai loro sicari in questi ultimi 20 anni. Ma sono proprio loro, i gazzettieri occidentali, a essere in una buca. E gli occhi dei bambini iracheni, dei bambini afghani, dei bambini palestinesi , dei bambini libici e di tutte le altre vittime del terrorismo occidentale, di cui sono complici, li guardano e continueranno a guardarli. Questa è la loro condanna. Non quella di Gheddafi, che nel momento più drammatico della storia del suo Paese era tornato ad essere il giovane ufficiale nasseriano che aveva messo fine alla monarchia di re Idris, ovvero ad un protettorato angloamericano, e che aveva saputo dar vita alla Giamahiria. Oggi invece la canaglia al servizio della “North Atalantic Terrorist Organization” festeggia. Tuttavia, il seme, se cade in terra buona, porta frutto e  nulla è perduto, finché non tutto è perduto.