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Il trentaseiesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini

di Valerio Zecchini - 06/11/2011




Prima di morire, quel rottame umano di Laura Betti lascio' il Fondo Pasolini in dotazione alla Cineteca di Bologna. E proprio utilizzando materiali provenienti da questo archivio e' stata allestita, nell'ambito del Festival del Cinema di Roma, una mostra per ricordare lo scrittore nel trentaseiesimo anniversario della morte (fino al 5 novembre all'Auditorium Parco della Musica). L'esposizione e' stata ideata dai due premi oscar Francesca Loschiavo e Dante Ferretti (quest'ultimo collaboro' con Pasolini dal 1969 al '75): una nuvola che nasce dalla macchina da scrivere, un fiume di parole, locandine dei film, foto di scena, rare sequenze d'archivio in un itinerario scandito da undici schermi, che va a concludersi in un ampio spazio scarno ed essenziale dove troneggia malinconicamente l'Alfetta, l'ultima macchina appartenuta al regista. Obiettivo della mostra e' condensare in maniera sincronica la poetica pasoliniana; una poetica in cui il corpo e' centrale, passando dalla descrizione della sessualita' ambigua ed estrema, che e' intimamente legata alla poesia e profondamente attraversata dalla dimensione del Sacro, alla riscoperta materica del dialetto come espressione popolare della vita delle borgate, luogo in cui il regista vedeva l'immanenza del pre-storico. Affisse su un lampadario le parole de Le Ceneri di Gramsci, la sua celebre composizione dedicata all'autore de I Quaderni dal Carcere: la riproduzione permette di riconoscere le correzioni a mano dello stesso Pasolini. Una mostra importante dedicata a un intellettuale che come pochi altri ha saputo leggere il presente, il passato e il futuro del nostro paese e che proprio a Roma ha dedicato alcune tra le sue pagine e inquadrature piu' belle e suggestive.
L'attuale amministrazione comunale capitolina sta per realizzare il progetto di un museo permanente dedicato alla figura di Pasolini (all'Idroscalo), e cio' va a dimostrare quato radicalmente sia cambiato l'atteggiamento della destra nei suoi confronti nel corso dei decenni – una rivalutazione dalle molteplici implicazioni culturali, che merita una riflessione profonda.
 Tra le tante iniziative (soprattutto proiezioni di materiale raro o inedito), il Fondo Pasolini  organizzo' qualche anno fa a Bologna una singolare mostra – con relativo catalogo – che raccoglieva tutti gli articoli e le foto pubblicate dalla stampa di destra su Pasolini, dai suoi esordi fino alla morte.C'e' da dire che si trattava di una denigrazione e di un dileggio sistematico, senza esclusione di colpi – un ottuso accanimento sicuramente degno di miglior causa. L'operazione aveva un fine ben preciso: contrastare l'appropriazione da destra dell'ultimo Pasolini, quello piu' eretico e corsaro, sempre piu' tradizionalista e sempre piu' lontano dall'ortodossia del PCI, anche se continuo' ostinatamente fino alla fine ad invitare a votarlo.
Tutto era iniziato verso la fine del 1988 quando Lodovico Pace, poeta del movimento “Vertex” (oggi senatore PdL), organizzo' in una sezione romana del MSI un incontro su “Pasolini visto da destra”.L'evento provoco' una bufera mediatica, anche se in realta' era da un po' di anni che la cultura di destra piu' avvertita aveva percepito qualcosa di “suo”nel Pasolini corsaro, critico della rivoluzione “intraborghese” del '68, avversario del divorzio e dell'aborto, e innamorato delle tradizioni popolari.Nel 1986 erano infatti usciti “Noi rivoluzionari” di Adalberto Baldoni e “Mostri degli anni ottanta” di Stenio Solinas, con capitoli dedicati a queste sue prese di posizione. Negli anni novanta poi Marcello Veneziani torno' varie volte sull'argomento, arrivando addirittura a definire Pasolini “estraneo alla cultura di sinistra”; cio' ovviamente suscito' la sdegnata reazione dello stato maggiore della cultura di sinistra (Cerami, Siciliano tra gli altri). Tale attrazione della destra per Pasolini risulta a tutt'oggi assai interessante perche' pone in risalto l'insanabile contraddizione che da decenni pervade quell'ambiente: l'impossibile aspirazione a tenere insieme tradizionalismo, valori conservatori e permissivismo liberista – l'assurda pretesa di conciliare le idee di Margaret Thatcher e di Ezra Pound.
Nel 1974, “L'abiura della trilogia della vita” segna una svolta cruciale nella vita del poeta friulano/bolognese, e lo riposiziona completamente: da intellettuale organico alla sinistra, anche se sempre lucidamente critico, a dissidente integrale, contestatore globale del sistema e del suo culto del superfluo che rende ogni cosa priva di senso: “Sono sempre piu' scandalizzato dall'assenza del sacro nei miei contemporanei. Io difendo il sacro perche' e' la parte dell'uomo che resiste meno alla profanazione del potere”. E il tradizionalismo eretico e nichilista di quest'ultima fase lo apparenta strettamente a un altro grande artista visionario dell'epoca, Francis Bacon. Non solo ora rinnega i suoi tre film di maggior successo (Il Decameron, Il fiore delle mille e una notte, I racconti di Canterbury) e il vitalismo medievale che enfaticamente celebravano, ma il disprezzo del presente e, retroattivamente, del passato, gli impediscono di vedere un futuro degno di essere vissuto.
Colui che era stato l'indiscusso principe del turismo aristocratico nei bassifondi e nel terzo mondo, vede ora le cose in modo radicalmente diverso: come tante persone di buon cuore, era stato propenso a vedere un'intrinseca bonta' nella vita dei piu' umili, a sopravvalutare la loro spontaneita' e sensualita'.Ma ora ammette di essersi sbagliato, e di grosso: il permissivismo travestito da tolleranza che il nuovo potere consumista ha esteso sulla sessualita' l'ha resa triste e ossessiva, mentre la repressione, tutt'altro che sparita, continua in forme diverse da quelle usuali – i rapporti sessuali divenuti un obbligo sociale hanno fatto perdere al sesso ogni gioia. E probabilmente stava capendo che anche l'omosessualita' avrebbe preso questa piega, avviandosi verso una totale mercificazione e perdendo il suo carattere furtivo e morboso (e per questo eccitante). Vede ora i giovani come brutti, disperati, cattivi, sconfitti.Non solo, ma e' fatale che questa degenerazione assuma un valore retroattivo. Se gli allegri ragazzi di vita sono diventati immondizia umana, vuol dire che anche in passato lo erano. Erano in realta' degli imbecilli, costretti ad essere adorabili; degli squallidi criminali, costretti ad essere dei simpatici malandrini. Dei vili inetti, costretti ad essere santamente innocenti. Il crollo del presente implica insomma anche il crollo del passato. La vita ormai, secondo Pasolini, “e' un mucchio di insignificanti e ironiche rovine”.
Sempre in questo periodo, interviene personalmente nella serie di documentari RAI “La forma della citta'”, presentando una puntata sulla citta' di Orte il cui paesaggio era stato deturpato dallo scempio urbanistico dell'epoca, e per contrasto cita le citta' fondate dal fascismo, come Aprilia e Latina, definendole “citta' modello per una vita a misura d'uomo”. In uno degli articoli corsari arriva ad affermare: “Che paese meraviglioso era l'Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti – trent'anni non e' piu' cambiata”. E soprattutto c'e' la famosa poesia “Saluto e augurio” (recentemente oggetto di un brillante saggio di Camillo Langone per Vallecchi), in cui Pasolini esorta i giovani di destra a farsi guardiani della tradizione costruendo una destra sacrale, pagana, divina, amica dei poveri e della diversita' – una destra insomma ispirata alle idee dell'amato Ezra Pound. Esortazione che e' chiaramente rimasta lettera morta e utopia, vista la riconversione mondiale delle destre in senso thatcheriano e liberista nei decenni seguenti.
In tutto cio', l'intellettualita' di destra non poteva che credere (retrospettivamente) che il Pasolini dell'ultimo periodo si stesse in qualche modo rivolgendo a loro. Il recente libro di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna (Una lunga incomprensione - Vallecchi) documenta adeguatamente questo processo, anche se la sezione curata da quest'ultimo mette in chiaro che fino alla fine, incluse le elezioni amministrative del 1975, Pasolini invito' con convinzione a votare per il PCI. Nonostante i partigiani gli avessero ucciso il fratello, nonostante il partito lo avesse espulso da giovane per la sua omosessualita', e nonostante fosse perfettamente cosciente di tutti i fallimenti del socialismo reale (magistrale in questo senso la tragedia in versi “Bestia da stile”, sulla rivolta di Praga del '68), continuo' a voler credere ostinatamente che il PCI era l'unica forza politica a difesa della classe lavoratrice, nonche' il punto di riferimento degli intellettuali italiani. Comunque sia, molte delle sue idee sono passate e sono ormai patrimonio comune degli italiani: la difesa del paesaggio contro gli scempi urbanistici, la conservazione del patrimonio linguistico dialettale, la tutela delle tradizioni culturali locali,
Questo libro, perlomeno da parte di Baldoni, vuole quasi essere una sorta di riparazione per le persecuzioni da parte della destra nei confronti del Pasolini vivente. Pregiudizi e persecuzione che nei decenni successivi si trasformo', per molti di quella parte, in ammirazione. Solo di striscio pero' si va alla radice di questa avversione,l'omosessualita'. Pasolini era l'omosessuale italiano piu' famoso del suo tempo, e come simbolo era il bersaglio perfetto. Il fascismo aveva cercato con tutte le sue forze di riesumare le virtu' guerriere ario – romane, iniettandovi pero' una furiosa omofobia di stampo clerico – borghese. Si trattava quindi di ricreare il clima dell'antichita' ellenico – romana, ma espungendone l'importante tradizione dell'omosessualita' guerriera, che contava referenti storici noti a tutti come l'imperatore Adriano, Alessandro Magno, l'elite militare spartana e via dicendo. “L'uomo nuovo” fascista doveva invece avere una visione adolescenziale della sessualita', ed essere un convinto omofobo che credeva in un modello di virilita' rigido e statico – il neofascismo perpetuo' questo equivoco storico almeno fino alla meta' degli anni novanta, esponendosi spesso al ridicolo.
Nel saggio la questione viene affrontata in sole due pagine, nelle quali Baldoni riporta un lucido giudizio di Maurizio Cabona. Cabona (che varie volte in passato si e' occupato con competenza del tema destra\omosessualita') fa un parallelo tra PPP e Yukio Mishima, icona del mondo neofascista per come era morto piu' che per come era vissuto: “Entrambi segnati dalla guerra mondiale vissuta dalla parte dei vinti. Entrambi omosessuali con una forte vocazione al martirio, assillati da preoccupazioni per la perfetta salute e vigoria del corpo, entrambi attenti a un passato che poteva essere impossibile da  recuperare o solo da ricostruire. E allora perche' a Mishima si perdonava la sua diversita' mentre a Pasolini erano riservati unicamente insulti per la sua omosessualita'? Solo perche' marxista?” Piu' che perdonare, si trattava di sorvolare, con un atteggiamento piu' o meno schizofrenico...ancora secondo Cabona infatti, “molti missini erano al contempo bigotti e puttanieri”. A tutt'oggi comunque il tipo di omosessualita' o bisessualita' accettato a destra e' quello discreto e riverente delle cosiddette “velate”, come Franco Zeffirelli e Giorgio Armani.
Il libro di Borgna/Baldoni costituisce un'ottima ricognizione su Pasolini visto oggi da destra e da sinistra, pero' finche' non si riconosce l'importanza degli studi di genere, della storia della sessualita' e della sua decisiva influenza sulla storia del potere, finche' si sorvola su queste tematiche, non si va all'essenza delle questioni e non si spiega nulla. E non ci si deve poi meravigliare di fenomeni come i preti pedofili, i politici puttanieri e tutto il resto.