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Tre passi verso la verità

di Giulietto Chiesa - 06/11/2011



continuita911

Quando Barack Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti (una novità, invero, nell’ultimo decennio precedente, nel quale il suo predecessore, per ben due volte consecutive, era stato portato al potere da due clamorose truffe elettorali) disse, per non lasciare adito a equivoci: «noi non guarderemo indietro».

Chi doveva capire, capì. Il libro nerissimo dell’11 settembre non sarebbe stato riaperto. George Bush, Dick Cheney, Donald Rumsfeld avrebbero potuto stare tranquilli fino alla fine dei loro giorni, così come Lindon Johnson e George Bush padre lo furono dopo gli assassini di John e Robert Kennedy. Col che si sarebbe dovuto anche capire chi esercita il vero potere negli Stati Uniti, anche adesso.

Il mainstream - che di quel potere è la voce tonante - tenne ben chiusa la porta e nessuno spiffero uscì. Si è arrivati così al decennale dell’11 settembre senza che nessun processo venisse celebrato negli Stati Uniti contro i “colpevoli” del più grande attentato della storia; senza che venisse chiusa la prigione di Guantanamo Bay; senza che venisse fatta luce sulla pratica delle torture americane in giro per il mondo.

Ma la favola macabra che ci assedia da dieci anni, e che ha trascinato il mondo in tre guerre mostruose, non pare destinata a restare tale, anche contro la volontà del “superclan” che sgoverna il pianeta. Decine di migliaia di persone, in ogni parte del mondo, o quasi, hanno continuato a scavare, in questi dieci anni, per cercare la verità. Essendo convinti che quella che ci è stata raccontata è una sconclusionata congerie di menzogne, talmente evidenti, a chi volesse raccapezzarsi, da non poter lasciare margine di dubbio: qualcuno - a Washington, a Riyad, a Islamabad, a Tel Aviv - ha voluto che accadesse l’11 settembre. E la storia dell’attentato compiuto da 19 terroristi che non sapevano guidare aerei, pilotati da Osama bin Laden, è stata la copertura di un complotto terroristico “di stato” (sarebbe meglio dire di alcuni stati), al quale hanno partecipato spezzoni di diversi servizi segreti, occidentali e orientali, sotto il comando di una cupola che non è mai stata smascherata.

Se n’è riparlato a Roma, in questi giorni, in occasione della straordinaria convergenza di due iniziative che sono destinate, senza dubbio, a far tremare l’establishment americano tutto intero e a rovinare gli anni della vecchiaia di un buon numero di manigoldi che hanno servito il “superclan” in questo decennio, negli Stati Uniti e altrove, occupando i vertici della politica mondiale.

E sono due anziani “ex” a creare lo scompiglio. Uno americano, l’altro italiano, che si sono ritrovati a Roma il 3 novembre scorso per raccontare a un mainstream tuttora silente che la verità deve ancora essere trovata.

Invitati dall’unico drappello di esponenti delle istituzioni italiane che abbia avuto il coraggio di denunciare pubblicamente l’inganno dell’11 settembre (il sottoscritto, Gianni Vattimo e Fernando Rossi), nella Sala delle Bandiere della rappresentanza italiana dell’Unione Europea hanno parlato il senatore dell’Alaska, Mike Gravel, e Ferdinando Imposimato: entrambi per annunciare, in straordinaria sincronia, la apertura di due iniziative penali, una negli Stati Uniti, l’altra in Europa, di fronte al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, entrambe destinate - e vedremo quale sarà la reazione dei poteri americano ed europeo - a portare sul banco degli imputati la amministrazione di Washington.

Sotto quali accuse? In entrambe le iniziative si parte dalla constatazione dell’esistenza - come ha ricordato Mike Gravel - di «una grande quantità di voci e personalità credibili», sia negli Stati Uniti che altrove, che contestano la verità della versione ufficiale, chiedono una nuova commissione d’inchiesta indipendente su quegli eventi e sono in grado di esibire analisi e prove che quella versione demoliscono in ogni sua parte.

Il senatore Ferdinando Imposimato parla addirittura di un «concorso in strage» di «autorità americane» che «sapevano in anticipo» e non hanno fatto nulla per impedire l’evento. Secondo Imposimato c’è ormai abbondanza di indizi per affermare che le tre torri crollate a Ground Zero furono minate in anticipo e crollarono per effetto di una demolizione controllata che non è in alcun modo credibile sia stata organizzata dai terroristi islamici.

Gravel e Imposimato si sono incontrati a Toronto, nella Ryarson University, all'inizio di settembre, in quelli che verranno ricordati come i “Toronto Hearings”, e hanno rilevato una impressionante convergenza di valutazioni. Le due iniziative puntano, in sostanza, a riaprire le indagini sull’11 settembre 2001, ma sottraendone il controllo alle autorità centrali governative, americane ed europee, e ponendolo - nel caso americano - nelle mani di una commissione d’inchiesta sotto il controllo dell’opinione pubblica, mentre, nel caso europeo, Imposimato vuole impegnare una corte penale internazionale che ha il compito di punire i «crimini imprescrittibili contro l’umanità», e che ha dunque titolo per affrontare il giudizio su eventi criminosi compiuti in ogni parte del globo.

Alla loro iniziativa va aggiunta quella, complementare, della costituzione di un panel internazionale di esperti, “Consensus 9/11” , guidato dal professor David Ray Griffin. Il panel - che annovera, tra i suoi 22 membri, ben 6 ingegneri della Nasa, 6 professori universitari, 3 piloti, 4 giornalisti (tra cui due italiani, lo scrivente e Massimo Mazzucco), 2 avvocati e un medico - ha raggiunto un consenso del 94% su tredici domande assai spinose alle quali la Commissione ufficiale d’inchiesta o non ha saputo rispondere o ha risposto in modo chiaramente falso.

Mike Gravel chiede la applicazione della legge americana del Joint Powers Agreement, che permette di accorpare provvedimenti legislativi simili, approvati da diversi stati americani, in una singola Commissione di inchiesta congiunta, con veri poteri inquirenti, cioè in grado di convocare testimoni e di costringerli a deporre sotto giuramento di fronte a un Jury imparziale (nessuno dei funzionari americani di ogni livello, sia dell’Amministrazione, sia del Pentagono, sia dei diversi servizi segreti implicati, ha mai testimoniato sotto giuramento nel corso delle indagini ufficiali).

Mike Gravel ha già avviato la raccolta di firme (se ne richiedono 68.911) nello stato del Massachusetts, e si appresta a fare altrettanto in California e in Oregon. Secondo la procedura americana la raccolta di firme è fatta da imprese professionali che devono essere pagate e, per questo, è stata avviata una sottoscrizione di massa (solo in California il costo si aggira attorno a 2 milioni di dollari).

Il termine ultimo per la California sarà il 6 novembre 2012.

Se nei tre stati la legge sarà presentata ai rispettivi parlamenti, la Commissione di inchiesta potrà essere istituita e neppure un veto di Washington potrà fermarla. In tal caso potremmo vedere George Bush, Dick Cheney, e altri, alla sbarra dei testimoni, con il rischio incombente di essere arrestati sotto l’accusa di menzogna.

Sembra di sognare, ma Mike Gravel non ha l’aria di scherzare, né di essere un sognatore. Basta ricordare che, nella sua lunga carriera di senatore, divenne famoso per avere reso noti i Pentagon Papers, le carte segrete del Pentagono che rivelarono la inesistenza dell’incidente nel Golfo del Tonchino, preso come pretesto per attaccare il Vietnam. Una guerra inventata di sana pianta, in cui morirono 50mila soldati americani e due milioni di vietnamiti.

Altrettanto si può dire di Ferdinando Imposimato. Un magistrato che è stato al centro di tutte le più importanti inchieste di mafia e di terrorismo, che ha affrontato, come giudice istruttore, il rapimento di Aldo Moro e l’attentato a Giovanni Paolo II. Un esponente politico (dopo, nel 1986, avere abbandonato la magistratura) che ha lavorato alla strategia europea antiterrorismo e, per conto delle Nazioni Unite, ha gestito il programma anti narcotraffico insieme, tra gli altri, a Giovanni Falcone e Giancarlo Caselli, ed è stato membro della Commissione antimafia per ben tre legislature. Oggi è presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione.

Liquidare come “complottisti” due personaggi di questo rango, con questo passato, è impossibile. Vedremo ora come risponderanno sia i poteri che sono chiamati in causa, sia la Corte Penale Internazionale dell’Aja, alla cui giurisdizione gli Stati Uniti non hanno voluto sottoporsi, ma che può giudicarli anche contro la loro volontà. E vedremo come reagiranno i grandi network che hanno tenuto bordone alla menzogna, e i grandi giornali, inclusi quelli italiani, che si sono bevuti la pozione senza fiatare.

Sperare che parlino, adesso, è cosa inimmaginabile. Si presume che, salvo eccezioni, faranno come hanno fatto fino ad ora: taceranno, nascondendo la testa sotto la sabbia. Ma tre passi verso la verità stanno per essere compiuti.