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Col senno di poi...

di Luciano Fuschini - 06/11/2011

 




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Col senno di poi si chiariscono molte cose.
Quando i poteri veri spinsero la campagna elettorale di Obama in una cavalcata trionfale verso la presidenza, ci si chiese come mai si fosse puntato per la più alta carica su un candidato non bianco, con antenati musulmani e un nome in inquietante assonanza col grande nemico Osama. In generale la risposta che ci demmo fu che gli USA, dopo gli insuccessi dell’era Bush, avevano bisogno di riproporsi col volto dell’America democratica e multietnica. Dopo la verifica dei fatti, possiamo comprendere come la candidatura di un mezzo musulmano e mezzo nero fosse ben mirata.
Negli anni di W. Bush erano emerse nella politica internazionale tre grandi zone d’ombra: l’ostilità del mondo musulmano, la penetrazione cinese nell’Africa nera e il distacco di gran parte dell’America latina dal protettorato yankee. Rimandata la soluzione di quest’ultimo problema a un secondo momento, i poteri hanno pensato che Obama fosse l’uomo giusto per risolvere gli altri due. Verso il mondo arabo e islamico in genere, attraverso Obama i poteri hanno scelto una manovra aggirante che partendo con l’attacco ai dittatori, anche quelli che erano stati servitori fedeli dell’Impero, alla fine avrebbe isolato l’Iran degli ayatollah, che sarebbe imploso seguendo la sorte dell’URSS, senza bisogno di una guerra costosa e dall’esito imprevedibile. Gli eventi della “primavera araba” ci fanno comprendere l’importanza e l’apparente stranezza della prima uscita della presidenza di Obama, la visita al Cairo e il discorso che vi fece, inneggiante alla libertà e al sostegno che gli USA avrebbero dato al processo di democratizzazione nel mondo musulmano. Fece quel discorso nella capitale di un dittatore fedelissimo alleato e servo degli USA e di Israele. Quel discorso ha avuto sulle masse arabe un impatto che allora fu sottovalutato. Gli arabi, fantasiosi e pronti a infiammarsi di entusiasmi e illusioni, videro in Obama il musulmano che non poteva esibire la sua fede ma la coltivava nel profondo del cuore. Si fidarono di lui. Il fatto che quel discorso abbia fatto fermentare un moto profondo che scaturì nelle rivolte del 2011, è ormai abbastanza evidente. Si comprende anche perché Obama e Hillary abbiano immediatamente sponsorizzato sommosse che spodestavano fedeli servitori come Mubarak e Ben Alì. Era il prezzo da pagare per investire poi altri dittatori come il malfido Gheddafi e l’Assad troppo amico di Russia e Iran. Quest’ultimo Paese sarebbe stato isolato e sarebbe stato a sua volta travolto dall’ondata popolare. Nel contempo l’accento posto sulla lotta per la democrazia avrebbe dato a tutta la stagione delle rivolte arabe l’impronta dell’ideologia occidentale, devitalizzando dall’interno quell’islamismo tenacemente restìo a farsi ingabbiare. Una strategia molto abile che ora si chiarisce.
Fin qui l’Obama mezzo musulmano. Il mezzo nero doveva accattivarsi le simpatie dell’Africa subsahariana, dove un misto di sorrisi e di esibizione di forza, in particolare contro quel Gheddafi che si atteggiava a leader di un’Africa indipendente, avrebbe consentito di arginare la penetrazione cinese.
L’abilità con cui tutta l’operazione politico-mediatica è stata portata avanti è dimostrata dai suoi almeno apparenti successi. Non stupisce troppo la passività della Russia. Ai suoi dirigenti può non dispiacere che Paesi arabi e Iran, grandi esportatori di gas e petrolio, siano investiti da crisi, anche belliche, che potrebbero far schizzare in alto i prezzi di quelle materie prime che sono per la Russia la risorsa principale. Proprio la risorsa che permette a Putin, col ricatto energetico, di perseguire il suo obiettivo di ricreare una sorta di Unione Sovietica, partendo dall’unione doganale fra le nazioni dell’ex URSS. Questa ora è la priorità della Russia, non una concorrenza globale agli USA che evidentemente è al di sopra delle sue possibilità.
Meno comprensibile è l’assoluta passività della Cina. A meno che non vogliamo considerare che dietro la facciata dell’ultramodernità del capital-marxismo non agisca l’impronta della plurimillenaria cultura confucian-taoista. Allora la passività sarebbe viceversa la profonda saggezza di chi sa che la forza dell’aggressore si ritorcerà contro lui stesso. La saggezza orientale forse sa che il frenetico attivismo americano e occidentale mette in moto dinamiche non controllabili. Le rivolte arabe guidate verso il modello liberal-democratico possono evolvere nel senso di una radicalizzazione islamista, lo strapotere di una costosissima tecnologia militare può scardinare gli assetti economici e finanziari di chi la possiede e la potenzia continuamente. L’apprendista stregone Obama e chi ne muove i fili possono finire vittime delle loro stesse trame.