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Iran, il report del complotto

di Mario Braconi - 10/11/2011

 




Il report della AIEA, attraverso le generose e non casuali anticipazioni, sembrerebbe confermare l’ennesimo fallimento delle intelligence USA. A differenza di quanto da esse sostenuto nel 2007, ovvero che dopo l’inizio della guerra in Iraq la Repubblica Islamica avrebbe cessato di lavorare ad un programma nucleare militare, quest’ultimo è proseguito regolarmente, anche se in modo non ufficiale.

Il rapporto riferirebbe che “diverse persone ed entità collegate con l’esercito (iraniano) si stanno procurando attrezzature nucleari destinabili ad uso tanto militare che civile”. Il regime iraniano tenterebbe di sviluppare metodologie non dichiarate per la produzione di materiale nucleare” e di acquisire informazioni e documentazioni per lo sviluppo di armi nuclerari attingendo ad un network clandestino”. L’Iran, infine, starebbe lavorando al progetto di un dispositivo interamente costruito “in casa”, effettuando anche test sui componenti”.

La “mente” dietro al rapporto è il diplomatico giapponese Yukiya Amano, che può contare su un curriculum significativo in tema di non proliferazione nucleare, ma la cui indipendenza è seriamente discutibile dopo la pubblicazione di un cable Wikileaks datato 16 ottobre 2009, ovvero qualche mese dopo la sua elezione al ruolo di Direttore generale della AIEA. Il documento “top secret” riferisce di un incontro che Amano ha avuto con l’ambasciatore americano, nel corso del quale ha ricordato più volte che, al di là delle necessarie concessioni ai paesi del G77, che gli richiedono di comportarsi in modo equo ed indipendente, Amano “si posiziona in modo inequivocabile dalla parte degli americani su tutte le questioni strategiche, a partire dalla nomina di funzionari di alto livello fino alla gestione del presunto programma nucleare militare iraniano”. Del resto, gli Stati Uniti e Israele si sono molto impegnati per ottenere la nomina di Amano a capo dell’Agenzia, facendo in modo che la soffiasse per un pelo al sudafricano Abdul Minty.

Come spiegano alcuni esperti di Medio Oriente, sentiti ieri dal sito israeliano YNews, il rapporto in realtà non contiene nulla di nuovo rispetto a quanto già noto alle intelligence occidentali. Spiega infatti il professor Motti Kendar, della Bar Ilan University: “I dati pubblicati nel report sono noti ai servizi da lungo tempo: la vera novità qui è che, per la prima volta, un ente specializzato indipendente vi appone sopra il suo sigillo”. Dell’indipendenza della AIEA sotto l’attuale leadership di Amano si è già detto sopra. Quanto alle informazioni rese note attraverso i leakage, specialmente quelli fatti trapelare al Washington Post, si tratta principalmente di una presentazione in PowerPoint di un ex ispettore dell’agenzia nucleare ONU, David Albright.

Da questo documento è possibile concludere che la Repubblica Islamica avrebbe superato una serie di importanti problematiche tecniche, che la avvicinerebbero alla conquista di una potenzialità offensiva nucleare (in inglese, “nuclear capability”). Il tutto anche grazie all’aiuto interessato di alcuni amici perfettamente compatibili con lo stereotipo del “cattivo” tipico di un film di James Bond: il fisico freelance russo Vyacheslav Danilenko, lo scienziato pachistano Abdul Qadeer Khan, e perfino qualche non meglio identificato personaggio proveniente da quella super-potenza di cartapesta che si chiama Corea del Nord. La Spectre, insomma.

Secondo Flynt Leverett, professore di Relazioni Internazionali alla Pennsylvania University, nonché capo dell’Iran Project della New America Foundation, la gran parte delle informazioni erano disponibili da anni all’AIEA: solo che il precedente capo, il compianto El Baradei, si sarebbe sempre rifiutato di renderle note, dal momento che non si sentiva in grado di sostenerle, né si sentiva sicuro della loro qualità e provenienza. Leverett, sul suo sito “Race for Iran”, fa notare che il Trattato di Non Proliferazione (TNP) impedisce il trasferimento, diretto o indiretto di qualsiasi arma nucleare o dispositivo bellico nucleare. Gli Stati firmatari s’impegnano a non fabbricare e/o acquisire in qualsiasi altro modo armi nucleari, e a non cercare aiuto esterno per la costruzione di dispositivi nucleari.

Ma il TNP parla chiaramente di “fabbricazione” e di “acquisizione” e, secondo Leverett, esso non vieterebbe lo studio di progetti di armi nucleari, la ricerca sugli inneschi, e nemmeno gli esperimenti su esplosivi ad alto potenziale che potrebbero essere teoricamente usati su una bomba atomica. El Baradei lo avrebbe spiegato a più riprese.

In una intervista del 2010 a Race for Iran, il sito animato da Leverett e dalla moglie, El Baradei inoltre avrebbe spiegato che “realizzare un potenziale offensivo nucleare è kosher secondo il TNP”. Altra cosa, ovviamente, sarebbe ottenere le prove di una effettiva costruzione di armi, cosa che sembrerebbe esclusa anche dalla semplice circostanza che la Repubblica Islamica non disporrebbe al momento di del materiale fissile per realizzare la Bomba.

Come spiega in modo vivace Simon Tindall sul Guardian di ieri, nonostante la scarsezza di informazioni in grado di rivoluzionare gli scenari internazionali, il rapporto della AIEA sta mettendo in fibrillazione i governi di tutto il mondo. A cominciare da quelli di Israele e dell’Arabia Saudita, i quali, per una volta uniti dalla comune avversione all’Iran, gettano benzina sul fuoco.

In modo netto, come accade in Israele, con il governo che cerca di farsi autorizzare un “attacco preventivo” sulle installazioni nucleari iraniane, o in modo più mediato, ma non meno violento, come in Arabia Saudita, dove va forte la tesi che vede l’Iran come causa di ogni male: finanziatore (sciita) di Hamas, di Hezbollah, della famiglia alawita al comando in Siria. Si può porre rimedio solo “mozzando la testa del serpente”: un modo come un altro per acquisire l’egemonia su tutta la regione.

Dalla Germania e dalla Russia giungono caveat preoccupati, mentre Tindall rispolvera un report del US Army War College del 2006, secondo cui occorrerebbero ben 1.000 attacchi preventivi in Iran per avere ragionevole certezza di sradicare “il serpente” virtuale che - forse - si aggira nel suo sottosuolo: cosa che potrebbe risultare nell’uso di… armi nucleari tattiche, certamente benefiche in quanto made in USA. Quando si dice che il veleno si cura con il veleno!

In questo contesto incandescente allarmano non poco le parole di due esperti americani, Jeffrey Goldberg e David Rothkopf, citati da Tindall, i quali non escludono che Obama possa essere risucchiato in questo isterico vortice bellico. Cosa che, oltre a mettere a rischio il futuro del mondo, finirebbe per mandare in fumo quel poco del sogno di cambiamento che il presidente Obama avrebbe voluto incarnare.