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La partita contro la Siria

di Michele Paris - 15/11/2011

 
    


Il voto della Lega Araba di sabato scorso per sospendere la Siria dall’organizzazione con sede al Cairo rende sempre più probabile una soluzione militare alla crisi in corso nel paese mediorientale. La decisione, presa con 18 voti a favore, tre contrari (Libano, Yemen e la stessa Siria) e una astensione (Iraq), diventerà effettiva a partire da mercoledì se Damasco non procederà ad implementare le misure previste dalla road map a cui aveva dato il proprio assenso ai primi di novembre.

Il documento concordato tra il regime di Assad e la Lega Araba prevedeva il ritiro delle forze di sicurezza dalle città siriane interessate dalle proteste, lo stop alla repressione e l’avvio di negoziati con l’opposizione. Nonostante alcuni timidi passi da parte del governo di Damasco, la proposta della Lega Araba è sembrata naufragare dopo pochi giorni a causa delle continue violenze nel paese e, soprattutto, sull’onda di una campagna mediatica anti-siriana orchestrata dall’Occidente e da alcuni paesi arabi.

La sospensione da una Lega di cui è membro fondatore ha avuto profonde ripercussioni in Siria, tanto che in molte città sono esplose violente proteste popolari che hanno preso di mira le rappresentanze diplomatiche di Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Francia. Tutti questi paesi hanno avuto infatti un ruolo fondamentale nell’escalation di una crisi che ha condotto il paese sull’orlo della guerra civile.

La Francia è uno dei paesi che ha condannato con più forza il comportamento del governo di Assad, mentre la Turchia sta fornendo sostegno materiale e diplomatico sia al cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano che all’Esercito Libero della Siria. Quanto ad Arabia Saudita e Qatar, oltre a finanziare i gruppi armati di opposizione nel paese, le loro pressioni sono risultate decisive per convincere la Lega Araba a sospendere la Siria. Il Qatar, inoltre, aveva ritirato il proprio ambasciatore a Damasco già lo scorso mese di luglio, seguito ad agosto dall’Arabia Saudita.

Nel prendere la decisione nei confronti della Siria sabato scorso, la Lega Araba ha citato innanzitutto il numero di morti causati dalla repressione di Assad, almeno 3.500 secondo i dati ONU. Come è ovvio, la stessa Lega Araba non ha sanzionato allo stesso modo altri paesi che hanno soffocato nel sangue le rivolte popolari entro i propri confini in questi mesi - come Egitto o Bahrain - mentre al tavolo dell’organizzazione panaraba siedono governi (Arabia Saudita, Qatar) che stanno fornendo armi e denaro ai gruppi islamici di opposizione che contribuiscono ad alimentare la violenza in Siria.

Dall’andamento della crisi siriana e dalla risposta della comunità internazionale, ad ogni modo, è difficile non vedere un’evoluzione in corso simile a quella che ha portato alla fine di Gheddafi in Libia. Il 23 febbraio scorso, la Lega Araba, su richiesta occidentale e in seguito alle manovre saudite, sospese la “membership” di Tripoli, fornendo così una presunta giustificazione al voto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e alla successiva aggressione militare della NATO.

Alla luce di una situazione decisamente più complessa in Siria, è per il momento improbabile un intervento militare diretto da parte della NATO o di singoli paesi occidentali. Più probabile è che si continui piuttosto a contare sul contributo degli alleati nella regione, con la fornitura di armi, il sostegno alle forze di opposizione più o meno legittime o, in ultima istanza, una possibile azione armata della Turchia.

In un’altra mossa che fa presagire un immediato futuro simile a quello riservato alla Libia, la Lega Araba ha anche per la prima volta offerto un riconoscimento ufficiale al Consiglio Nazionale Siriano, invitando membri dell’opposizione al Cairo nella giornata di martedì. Questo passo della Lega Araba potrebbe aprire la strada a riconoscimenti da parte di altri governi, come accadde appunto con il CNT libico attualmente al potere nel paese nordafricano.

Il Consiglio Nazionale Siriano è formato principalmente da due gruppi di opposizione: la Dichiarazione di Damasco (dissidenti appoggiati da Washington e dall’Occidente) e i Fratelli Musulmani, sui quali cercano di esercitare la loro influenza governi come quelli di Turchia, Egitto o Giordania. A questi vanno aggiunti poi i gruppi estremisti salafiti, appoggiati da Arabia Saudita e Qatar. Tutti si oppongono fermamente a qualsiasi dialogo con il governo di Assad e alcuni dei loro esponenti chiedono l’imposizione di una “no fly-zone” sul modello libico.

Al voto di sabato della Lega Araba al Cairo, il governo siriano ha risposto molto duramente. Il vice-ministro degli Esteri, Faisal al-Mikdad, ha ribadito che l’opposizione interna è sponsorizzata da potenze straniere che intendono rovesciare il regime ed ha puntato il dito contro Turchia, Arabia Saudita, Qatar e Giordania, i cui governi “finanziano gruppi terroristici in maniera non ufficiale”. Per alcuni membri dell’Assemblea del Popolo siriana, poi, la risoluzione della Lega Araba che sospende la Siria vìola le stesse regole dell’organizzazione, in quanto rappresenta una palese interferenza negli affari interni di un paese membro.

Critiche alla Lega Araba sono arrivate anche dalla Russia. Il Ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, nel corso di una conferenza tra i paesi del Pacifico in corso alle Hawaii, ha affermato la contrarietà di Mosca alla sospensione della Siria, una decisione che farebbe parte del tentativo, promosso dall’Occidente, di rimuovere Assad. Per Lavrov, USA e Francia stanno facendo di tutto per scoraggiare il dialogo tra governo e opposizione in Siria, mentre anch’egli ha condannato i traffici di armi che entrano nel paese attraverso la Turchia e l’Iraq.

Sulla stessa lunghezza d’onda della Russia è anche l’Iran, il paese che pagherebbe il prezzo più caro in caso di crollo del regime alleato di Bashar al-Assad. Tramite una dichiarazione di un portavoce del Ministero degli Esteri alla rete di stato Press TV, Teheran ha fatto sapere che la sospensione della Siria dalla Lega Araba complica la situazione nel paese invece che contribuire a risolverla.

Di fronte alle pressioni esterne, tutti i segnali di disponibilità alla risoluzione della crisi mostrati finora da Damasco sono caduti nel vuoto. Le autorità siriane hanno infatti chiesto una riunione d’urgenza della Lega Araba per far fronte alla situazione del paese. In risposta alla già ricordata road map, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale SANA, il governo di Assad ha inoltre affermato che una delegazione (civile o militare) della stessa Lega sarebbe benvenuta, in modo da poter osservare direttamente quello che accade sul campo e l’implementazione dell’accordo.

Ogni iniziativa di Damasco, agli occhi dell’Occidente e della maggior parte dei membri della Lega Araba, sembra però superata nel momento stesso in cui viene proposta e viene accolta con indifferenza o con nuove minacce di misure e sanzioni sempre più pesanti.

La difficoltà di giungere a una soluzione pacifica alla crisi siriana è dovuta soprattutto agli interessi strategici che coinvolgono le principali potenze regionali e i loro sponsor occidentali. In primo luogo, il declino dell’influenza americana in Medio Oriente ha trasformato il cambiamento di regime in Siria in un obiettivo primario di Washington, soprattutto alla luce del terreno conquistato dall’Iran in seguito agli sviluppi della primavera araba e del sostanziale fallimento dell’impresa irachena. In funzione anti-iraniana va giudicata anche l’intraprendenza dell’Arabia Saudita in Siria, con il cui governo negli ultimi anni aveva invece coltivato relazioni relativamente cordiali, più che altro per evitare il deterioramento della situazione in Libano, sul quale Riyadh e Damasco esercitano una sorta di protettorato.

A riassumere con sufficiente chiarezza il “Grande Gioco” che si sta svolgendo attorno alla Siria è stato infine un articolo dell’ex diplomatico e membro dell’intelligence britannica Alastair Crooke, apparso sul Guardian il 4 novembre scorso, dal titolo “Syria and Iran: the great game”. Secondo Crooke, il cambio di regime a Damasco, dal punto di vista strategico, sarebbe un “trofeo” che supererebbe di gran lunga quello ottenuto recentemente in Libia, per questo l’Arabia Saudita e l’Occidente lo stanno perseguendo.

Per ottenere questo obiettivo, spiega Crooke, si sta così “mettendo in piedi frettolosamente un Consiglio di Transizione che appaia come unico rappresentante del popolo siriano, senza preoccuparsi se abbia un effettivo seguito nel paese; si impongono sanzioni che colpiscono la classe media [il cui sostegno è decisivo per la sopravvivenza del regime]; si costruisce una campagna mediatica per sminuire ogni tentativo di riforma del governo siriano; si incitano divisioni nelle forze armate e nelle élite del paese”. Seguendo questa ricetta ben consolidata, “alla fine si otterrà la caduta del presidente Assad”.