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Keynes, debito pubblico e autarchia (II parte)

di Massimo De Maio - 16/11/2011

Sovranità alimentare.

Negli anni dell'autarchia l'obiettivo della sovranità alimentare assunse le forme retoriche e propagandistiche della battaglia del grano, ma fu efficace nella drastica riduzione delle importazioni. In pochissimo tempo l'Italia ridusse le importazioni dall'80 al 10%. L'obiettivo di soddisfare il fabbisogno interno di grano con la sola produzione nazionale richiese un intervento risoluto dello Stato che, dopo aver espropriato le terre dei latifondisti e recuperato nuove superfici agricole con opere di bonifica, con la costituzione dei Consorzi agrari mise l'agricoltura al riparo dalle speculazioni dei grandi distributori privati. I Consorzi agrari, attraverso la gestione degli ammassi, garantivano specialmente ai piccoli agricoltori, una maggiore forza contrattuale nei rapporti con i trasformatori e i distributori: la struttura dei Consorzi, rappresentava allo stesso tempo lo Stato e la comunità degli agricoltori nel suo complesso e garantiva una posizione di preminenza dei produttori svolgendo un ruolo di deterrente nei confronti di intermediari e speculatori. I Consorzi svolsero un ruolo di tutela dei piccoli produttori anche nei confronti di eventuali speculazioni del sistema bancario, offrendo credito agrario senza interessi per gli acquisti di sementi, concimi, macchine agricole, antiparassitari, bestiame e tutto ciò che era necessario all'attività agricola. Infine, le aziende agrarie di proprietà comunale offrivano supporti infrastrutturali e tecnici come magazzini, officine per i trattori, macchine agricole, i cui costi non potevano essere sostenuti dal piccolo produttore.

La politica agricola del Fascismo, tesa all'obiettivo della sovranità alimentare, produsse per la prima e forse ultima volta in Italia una inversione dei flussi migratori, non più da Sud a Nord, ma al contrario, da Nord a Sud e deviò parte dei flussi che dalle campagne andavano verso le città, verso altre campagne. Nell'Agro Pontino giunsero famiglie principalmente dal Veneto, ma anche dal Friuli, dall'Emilia e dall'Umbria.

L'autarchia costrinse il Fascismo ad esaltare l'uomo rurale, tradizionale e anti-moderno producendo al suo interno una contraddizione profonda ed insanabile: da un lato il Fascismo fu fautore di una profonda modernizzazione dell'Italia che porterà l'occupazione agricola ad essere surclassata da quella industriale negli anni '50, dall'altro, dopo aver inglobato il futurismo, fa del ruralismo un suo nuovo tratto essenziale e propagandistico:

 

“Il settimo principio vuole infine che contro il parossismo meccanicistico e urbanistico, flagello e aberrazione d’origine americana, germanica o britannica (elementi dell’arte antifascista) l’arte fascista s’ispiri alla semplice e vergine natura, torni all’amore della campagna e di tutto quanto sa di etnicamente nativo, spontaneo, grave, e che è nostro fondamentalmente; poiché sempre l’Italia ha avuto il suo fondamento civile nell’attaccamento dei suoi figli ai beni ed alla realtà patriarcale del suolo, e sempre l’avrà”.[1]

 

Guardando oggi all'obiettivo della sovranità alimentare perseguito dall'autarchia negli anni trenta, non si può non pensare alle recenti proteste dei pastori sardi e in generale a tutti quegli agricoltori, soprattutto piccoli, che devono sottostare quotidianamente alle condizioni inique imposte dalla logica della grande distribuzione e della globalizzazione dell'economia. L'autarchia, vissuta come scelta consapevole delle Comunità locali e non come imposizione di regime, può essere oggi una concreta alternativa ad una globalizzazione che produce sempre più danni economici, ambientali e sociali e una strada possibile per ricollocare i processi economici sul territorio.

 

La lotta agli sprechi.

Mentre il Duce si esibiva a torso nudo sul trattore, a scuola veniva introdotta l'economia domestica per insegnare la lotta agli sprechi “alle massaie di domani”. Alla scuola venne attribuito un ruolo strategico nell'educazione all'autarchia. Fu redatto un testo apposito rivolto agli insegnanti. La consegna era chiara:

l'autarchia doveva essere considerata come un principio morale destinato a incidere sul costume degli Italiani[2]. Gli insegnanti cominciarono a frequentare corsi in cui apprendevano nozioni di “manutenzione della casa” o “regole generali in cucina” per insegnare a pulire e cucinare in economia. Per le operazioni di pulizia si raccomandavano sostanze come segatura impastata ad acqua per pulire le mattonelle o carta di giornale per pulire i vetri, per pulire fiaschi e bottiglie di vino si consigliava di scuotere energicamente dopo aver introdotto nei recipienti patate tagliate in cubetti piccoli e gusci d'uovo secchi; latte e acqua in parti uguali venivano indicati per la pulizia di tele cerate e per far brillare nuovamente bicchieri diventati opachi si consigliava di pulirli con l'aceto.

Allo stesso modo, si davano consigli per evitare che i cibi perdessero parte delle loro proprietà nutritive nelle fasi di preparazione e cottura: le patate andavano lavate prima di essere sbucciate e non dopo, il riso andava setacciato e non lavato. Altri consigli in una società come quella attuale che spreca una quantità di cibo pari al 3% del PIL dovrebbero far riflettere: si consigliava di usare le acque di verdure non amare per preparare minestre, di rinfrescare il pane raffermo riscaldandolo a bagno-maria, di tritare e scottare le foglie verdi esterne di broccoli e radicchio per fare ripieni di sformati.

Una raccolta di appunti di una insegnante dell'epoca costituisce un vero e proprio manuale di ecologia domestica soprendentemente attuale e del tutto simile a quelli che negli anni più recenti hanno cominciato ad affollare gli scaffali delle librerie[3]. Oltre alla scuola, furono mobilitati anche i Dopolavoro che attivarono corsi pratici destinati a operaie e impiegate. I corsi trattavano abbigliamento, cucina, orto, bilancio domestico. In un mese furono attivati 350 corsi che coinvolsero 20.000 allieve[4].

 

Dunque, sotto la coltre polverosa della propaganda di regime, si celano idee estremamente attuali che se rilette oggi si dimostrano ben più capaci di futuro rispetto all'idea keynesiana[5]: invece di sostenere la domanda di merci, darsi un limite, puntare al soddisfacimento dei bisogni e non alla crescita incessante di ricavi e profitti, confrontarsi con le caratteristiche del territorio in cui si vive e ingegnarsi per usare al meglio le risorse naturali che offre, fare economia e non finanza, vivere senza indebitarsi.

Chissà se la prossima volta ci riusciamo senza produrre tragedie e genocidi.

 

Autarchia e decrescita felice.

Ovviamente l'autarchia così come l'abbiamo conosciuta nell'esperienza storica del Fascismo non coincide con uno scenario di decrescita felice, cioè di miglioramento della qualità della vita attraverso una drastica riduzione dei consumi. Nessuna persona di buon senso potrebbe mai proporre di finalizzare lo sforzo autarchico a un potenziamento dell'apparato militare così come fece il Fascismo. E nessuno potrebbe pensare di attuare una dittatura pur di realizzare una nuova rivoluzione ecologica e autarchica. Al contrario, le forme più interessanti di economia della decrescita si stanno diffondendo attraverso scelte libere e consapevoli senza alcuna forma di imposizione dall'alto.

Inoltre, se l'autarchia fu intesa dal Fascismo anche come strumento di preparazione ad uno sforzo bellico, l'autarchia del terzo millennio può essere la strada da intraprendere per ridurre quelle interconnessioni economiche su scala internazionale basate sullo sfruttamento del nord sul sud del mondo, che producono continui conflitti armati per il controllo delle risorse[6].

L'autarchia ripulita dalle incrostazioni del ventennio rappresenta uno stimolo culturale a guardare il mondo da una prospettiva differente. Una sua riconsiderazione alla luce delle crisi epocali che stiamo vivendo è certamente utile per uscire dai luoghi comuni sulla crescita, sulla decrescita e sulla stessa autarchia.

L'autarchia può essere una componente di uno scenario di decrescita e un concetto utile per giungere ad una nuova idea di tecnologia al servizio della lotta agli sprechi e non al servizio della crescita dei consumi. Allo stesso tempo può aiutarci a mettere a punto nuovi modelli economici che consentano la soddisfazione dei bisogni umani tenendo conto della scarsità delle risorse naturali.

Mai come oggi abbiamo bisogno di un momento di discontinuità, non di aggiustamenti di un modello in crisi. La discontinuità è verso tutte le ideologie del novecento, compreso il Fascismo che attuò l'autarchia, poiché tutte le ideologie del secolo scorso hanno considerato la crescita economica come un obiettivo irrinunciabile e hanno fatto l'errore di considerarlo come un fenomeno replicabile all'infinito. Tutte, senza alcuna esclusione, hanno contribuito ad un processo di industrializzazione e modernizzazione che aveva lo specifico obiettivo di incrementare all'infinito produzione e consumi.

In una prospettiva di decrescita selettiva del PIL, l'autarchia rispetto alle politiche keynesiane rappresenta una risposta più efficace e capace di futuro ad una crisi di crescita. Oggi come nel 1929.

In una prospettiva autarchica tutte le riflessioni keynesiane sulla domanda aggregata e sui meccanismi per moltiplicare gli effetti degli investimenti pubblici sul consumo di merci perdono senso. La priorità non è più quella di sostenere i consumi, ma al contrario, quella di razionalizzarli e contenerli entro limiti di sostenibilità date le risorse disponibili sul territorio nazionale. Se non ci sono abbastanza risorse naturali, materie prime, energia per spingere i consumi oltre il limite naturale della sostenibilità ecologica, è inutile farlo.

 

Mentre la crescita non è più perseguibile, le teorie di Keyenes non sono più applicabili.

Allo stato attuale le politiche kynesiane non sono più attuabili: il livello raggiunto dei debiti pubblici in tutte le nazioni con economie di stampo occidentale impedisce agli apparati statali di continuare a spendere in deficit per sostenere produzione e consumi.

Allo stesso tempo, i livelli di prelievo di risorse e di emissioni inquinanti su scala planetaria, necessari per mantenere elevati la produzione e il consumo di un terzo della popolazione mondiale, hanno già raggiunto e superato i limiti ecologici del pianeta: il fenomeno del riscaldamento del pianeta viene già oggi considerato inevitabile tanto che si parla di sforzi finalizzati a mitigarlo, non ad evitarlo; il consumo di territorio ha superato qualsiasi soglia di sostenibilità e il dissesto idrogeologico produce danni, anche economici, sempre più ingenti; un terzo dei terreni agricoli sono in via di desertificazione a causa dell'agricoltura intensiva basata sull'utilizzo di fonti fossili per la produzione di fertilizzanti e il funzionamento delle macchine; l'enorme quantità di rifiuti prodotti, in crescita anche quando decresce il PIL a causa del diffondersi di stili di vita insostenibili, genera continue emergenze; l'energia nucleare, che ha sostenuto la crescita dell'occidente, dopo il disastro di Fukushima è sul viale del definitivo tramonto; l'estrazione di fonti fossili e gli sforzi militari per il controllo dei giacimenti hanno costi sempre più alti.

In un simile scenario l'autarchia intesa soprattutto come sovranità alimentare, autosufficienza energetica, economia che si pone un limite corrispondente alla disponibilità delle risorse disponibili su un determinato territorio, torna ad essere una idea sorpendentemente attuale. Ricollocare l'economia sul territorio, uscendo da una logica di globalizzazione incivile, selvaggia e insostenibile, significa anche concepire le comunità locali come autarchiche. Ed è l'unica strada per evitare il collasso economico, finanziario ed ambientale.

Oggi abbiamo la fortuna di poter concepire l'autarchia come libera scelta. Decenni di cultura democratica ci offrono gli strumenti per riconoscere e rifiutare ogni forma di governo totalitaria ed oppressiva. Incluse quelle più attuali che governano l'economia mondiale.

Quindi possiamo cominciare ad immaginare un mondo non più governato da un unico pensiero votato alla superideologia della crescita economica e da pochi centri decisionali sovranazionali che sfuggono ad ogni controllo democratico. Possiamo immaginare, al contrario, un mondo pluricentrico fatto di comunità umane autarchiche, autosufficienti ed in equilibrio con gli ecosistemi.

Perché non provarci?

Note

[1]    Sull'argomento, Marino Ruzzenenti, “Autarchia verde”, Jaca Book, Milano 2011, con prefazione di Giorgio Nebbia. 

[2]    Resta da chiedersi quanto totalitaria sia la “superideologia” della crescita economica, soprattutto quando si propone come unico modello perseguibile a livello planetario. Chiamare i paesi del Sud del mondo “paesi in via di sviluppo” non è escludere qualsiasi altra prospettiva?

[3]    A proposito si osservi che “La teoria economica della crescita e, soprattutto, il modello di sviluppo delle moderne economie si fondano sull'esistenza di consumatori e imprese che non hanno alcun limite superiore al perseguimento di una maggiore utilità e maggiori profitti: sul piano teorico ciò corrisponde all'ipotesi di “non sazietà”, ovvero all'esistenza di bisogni illimitati” in Luigi Campiglio, Tredici idee per ragionare di economia, Il Mulino, Bologna 2002, p.55

[4]    Cfr. Domenico Delli Gatti (Università Cattolica, Milano), Mauro Gallegati e Alberto Russo (Università Politecnica delle Marche, Ancona); Bruce C. Greenwald e Joseph E. Stiglitz (Columbia University, New York), Sectoral Imbalances and Long Run Crises, versione 3.0, 18 agosto 2011, pagg. 6-7.

[5]    Gli incentivi alla rottamazione sono stati introdotti in Italia con la Legge 30 del 27 febbraio 1997. Edo Ronchi della Federazione dei Verdi è stato Ministro dell'Ambiente del Governo Prodi dal 17 maggio 1996 al 25 aprile 2000

[6]    Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori, Milano 2010, Pag. 167

[7]    Angus Maddison, Statistics on World Population, GDP and Per Capita GDP, 1-2008 AD, reperibile su http://www.ggdc.net/MADDISON/content.shtml

[8]    Marino Ruzzeneneti, Op. Cit., pp. 187-188

[9]    A proposito si veda il divertente filmato dell'Istituto Luce sull'uso della bicicletta reperibile sul sito www.youtube.it cercando “critical mass autarchia fascismo”

[10]  filmato reperibile sul sito www.youtube.it cercando “Milano 1939: raccolta porta a porta, selezione e riciclo”

[11]  Ardengo Soffici, Arte Fascista, 1928. Ardengo Soffici, poeta, scrittore e pittore, si scontrò fisicamente nel 1911 con i futuristi Marinetti, Boccioni e Carrà che, infuriati per un articolo pubblicato su La Voce in cui Soffici stroncò una mostra di opere futuriste tenutasi a Milano, lo raggiunsero a Firenze e lo aggredirono al Caffè delle Giubbe Rosse.

[12]  Marino Ruzzenenti, Op. Cit., p.46

[13]  Bruna Zanchetta, Come cucinare e pulire in economia – Consigli utili per la cucina e per la casa tratti da un vecchio ricettario autarchico, a cura di Maurizio Merlin è un interessante libretto realizzato a partire dagli appunti di alcune lezioni di economia domestica che il regime teneva alle insegnanti delle scuole elementari per affrontare l'autarchia (reperibile su http://ilmiolibro.kataweb.it/)

[14]  Marino Ruzzenenti, Op. Cit., p.47

[15]  In realtà esiste uno scritto in cui Keynes sembra sostenere le ragioni dell'autarchia poiché parla neanche velatamente della possibilità di ridurre gli scambi internazionali a vantaggio della produzione nazionale di merci. Si tratta di un articolo scritto nel 1933 quando idee protezionistiche circolavano anche fuori dall'Italia senza produrre troppo scandalo. Tuttavia, si tratta di un episodio nella vasta produzione keynesiana che non cambia l'impianto teorico votato alla crescita economica dell'economista britannico. E soprattutto non cambia il fondamentale contributo che Keynes ha dato al perpetuarsi di una economia basata sul paradigma della crescita. Grazie alle sue teorie, l'economia mondiale ha ripreso il suo inesorabile e insostenibile cammino sul sentiero della crescita esponenziale, uscendo dalla grande depressione. Cfr. John Maynard Keynes, La fine del laissez faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 87-100

[16]  Le guerre in Iraq, in Afghanistan e più recentemente in Libia vengono sempre presentate come guerre di liberazione volte a rovesciare regimi dittatoriali. Ma come ignorare che si tratta sempre di paesi in cui si trovano enormi giacimenti di petrolio e gas o che occupano posizioni strategiche per il controllo delle risorse energetiche?