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Berlusconeide

di Costanzo Preve - 21/11/2011

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Considerazioni storiche e politiche dopo la caduta di Berlusconi.


1. Una premessa. Scrivo queste considerazioni su esplicito invito di amici, francesi e greci, interessati ad avere una mia analisi strutturale, e non solo pettegola o episodica, sulla caduta di Berlusconi. Caduta certo non ancora formalizzata, ma io credo irreversibile. Ed irreversibile non certamente perchè causata da tre fattori a mio avviso poco rilevanti (ceto po¬litico professionale ex-comunista ed ex-cattolico democristiano, circo mediatico asservito alle strategie oligarchiche del grande capitalismo finanziario g1obalizzato, magistratura politicizzata anti-berlusconiana). Poco rilevanti sono stati anche gli scandali, le prostitute, i sorrisini di Merkel e Sarkozy, e tutto il ciarpame sollevato da quell’autentico scandalo culturale e giornalistico chiamato “La Repubblica”, incrocio fra la componente borghese laica ex-azionista e la componente “picista”, che con tutta la mia buona volontà non intendo connotare con il glorioso anche se discusso nome di “comunista”.
Partirò quindi da un fattore tutto sommato secondario come il berlusconismo, ma arriverò presto al vero ed unico problema storico che ci sta dietro, l'adeguamento e poi la sparizione del modello europeo di capitalismo verso un unico modello anglosassone di capitalismo totale. Prego il lettore di prestare attenzione a questa tesi finale, perche tutto quanto c‘è prima è solo gli “antipasti”, le “tapas” per dirla in spagnolo.

2. Il giorno 5 novembre 2011 il Canale La Sette ha trasmesso in prima sera¬ta, modificando la programmazione prevista, un film su Berlusconi intitola¬to BERLUSCONI FOR EVER. Si tratta di una sintesi del come per circa vent'anni  l’intera classe dirigente italiana ed i suoi intellettuali, dall’italianista Asor Rosa al comico Benigni hanno visto Berlusconi. Ecco perchè conviene partire da lì. In sintesi, evidenzierei quattro temi in ordine di importanza:                                                                                                        (1) Berlusconi appare come un megalomane in preda ad un compulsivo deli¬rio di onnipotenza patologica, una sorta di piazzista e di venditore di tappeti levantino autoreferenziale, che crede che la propria “verità” sia anche l’unica verità. Il riferimento è al vecchio giornalista vate della borghesia italiana, Indro Montanelli, esempio di passaggio e di “riciclaggio” in tempo reale dal fascismo al regime dopo il 1945. Non a caso il suo successore, il sionista fanatico Travaglio, è diventato per un ventennio l'idolo della sinistra anti-berlusconiana.
(2)  Berlusconi appare come il portatore dei difetti atavici degli italia¬ni, primo dei quali sarebbe la sostituzione della furbizia all’intelligenza. Il suo “successo” (qui si ripete  l’interpretazione di Piero Gobetti sulle ragioni del successo di Mussolini) appare dovuto proprio al fatto che ha incarnato la parte peggiore della tradizione antropologico-sociale italiana.                                                                                                                                                                                 (3) Viene continuamente suggerito un fatto non provato, ma dato assolutamente per scontato dall'italiano medio di “sinistra”, il fatto che Berlusco¬ni abbia fondato il suo impero economico, prima da costruttore e poi da magnate dei media, riciclando alla grande denaro di provenienza mafiosa. Ma il piazzista è ora diventato inaffidabile. Il piazzista non può per venti anni dare “bidoni”.
(4) Berlusconi appare portatore della vecchia ipocrisia cattolica italia¬na. Da lato puttaniere impenitente, adultero manifesto, laido organizza¬tore di festini con adolescenti ambiziose, e dall'altro cattolico fervente che faceva la comunione tutte le domeniche.
Potremo continuare ma è chiaro che un simile personaggio da commedia dell'arte è troppo ghiotto per non attirare l'attenzione di quella che è stata battezzata “opinione pubblica”, la cui completa sparizione era stata peraltro diagnosticata da Habermas quando era ancora sotto il controllo di Adorno. Tutto questo, ovviamente, è vero, non mi sogno assolutamente di negarlo. Ritengo però che sia solo la superficie, e si è detto che la “scienza” sarebbe inutile se la superficie e la profondità coincidessero. E allora indaghiamo prima la superficie e poi la profondità.         
                                                                                                                                                                                    3. Partiamo prima dall’ideologia anti-berlusconiana, durata parossisticamente in Italia quasi un ventennio. Si tratta, per usare un termine del filo¬sofo-economista althusseriano francese Charles Bettelheim, di una vera e propria “formazione ideologica”. Essa è a mio avviso il prodotto della fu¬sione di due elementi distinti ma intercorressi:                                           (1) L’origine risale ai primi anni Venti, e fu proposta per la prima volta dal saggista torinese Piero Gobetti. Il popolo italiano soffrirebbe di una grave carenza morale complessiva, dovuta in primo luogo alla mancata riforma protestante (non importa se luterana o calvinista, ma meglio cal¬vinista in quanto individualistica, borghese-capitalistica e soprattutto inglese ed anglofila), ed in secondo luogo al carattere ristretto ed elitario del risorgimento (il “risorgimento senza eroi”). II secondo punto a mio avviso è inesatto, e rimando ad un recente ottimo testo pubblicato in 1ingua francese (cfr. Yves Branca , Le risorgimento au coeur de l’Euro¬pe), che corregge in buona parte questa visione unilaterale.                                                                                                                                                                                                     L’idea degli italiani come popolo delle scimmie e del risorgimento senza eroi ha nutrito, in particolare dopo il 1945, 1’ala “azionista” della cultura borghese italiana, ansiosa di “scaricare” il fascismo sui difetti atavici degli italiani, per poter così far dimenticare le dirette responsabilità del grande capitale italiano, che abbandonò il fascismo soltanto nell'an¬no della sua sconfitta evidente (l943). Si trattava di una ala anglofila, empirista in filosofia e quindi nemica soprattutto dell’idealismo e dunque di Hegel.Questa posizione, assolutamente minoritaria nel popolo ita¬liano, era però assolutamente maggioritaria nel mondo degli intellettuali. Ed a proposito degli intellettuali, categoria con la quale chi scrive non vuole avere assolutamente niente a che fare, ricordo la posizione anticipatrice espressa più di un secolo fa da Georges Sorel, che a mio avviso Bourdieu ha saputo sistematizzare bene, quando definisce gli intel¬lettuali come gruppo sociale (e non come insieme eterogeneo di individua¬lità diverse), come una sezione dominala della classe dominante. Lo ripeto per chi se lo fosse lasciato scappare: una sezione dominata della classe dominante, non certo i “portatori” della visione del mondo dei do¬minati.                                                                                                                                         (2) La seconda componente risulta geneticamente dalla riconversione ideolo¬gica del picismo italiano, che mi rifiuto di chiamare “comunismo” per le ragioni esposte in precedenza. Questo enorme rinoceronte sociologico ed antropologico aveva già gestito fra il 1956 ed il 1962 il passaggio dal modello sovietico alla cosiddetta “via italiana al socialismo”, che copriva una integrazione strutturale nei meccanismi riproduttivi del sistema ca¬pitalistico italiano, e poi dal l976 al 1982, dopo la presa in giro mediatica del cosiddetto “eurocomunismo”, il passaggio dal partito della critica al capitalismo al partito degli “onesti”, contrappasso ovviamente ai “disonesti” (prima il socialista Bettino Craxi e poi ovviamente Berlusconi, in quanto suo presunto erede). Dopo il triennio 1989-1991 il bestione so¬ciologico ed antropologico dovette riconvertirsi alle nuove condizioni storiche aperte dalla dissoluzione del comunismo storico novecentesco (19I7-1991) il solo ed unico comunismo “pratico” mai esistito, essendo restati tutti gli altri mere petizioni morali alternative oppure gruppi di testimonianza settaria, sia pure pieni di “buone intenzioni”. Si tratta di un'azienda che produce scarpe e che dopo un'alluvione è obbligata, per non uscire dal mercato, a produrre pinne e stivali di gomma per alluvio¬nati.                                                                                                                                                                      Il riciclaggio di questi cialtroni fu fatto talmente bene che essi riusci¬rono a portarsi dietro gran parte della loro precedente clientela fideliz¬zata identitaria, nella forma del serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD. In proposito, l’antiberlusconismo fu provvidenziale perché permise una rapida e performativa sostituzione alla identità precedente. Il serpentone meta¬morfico fu sempre in primo piano per appoggiare attivamente tutte le strategie di guerra USA-NATO, dal Kosovo nel l999 (D'Alema) alla Libia 2011 (Napolitano).                                                                                                L'unione di questi due elementi fecero sì che l’antiberlusconismo fosse veramente provvidenziale.                                           

4. Non vorrei che sorgessero spiacevoli equivoci. Io considero Berlusco¬ni, come figura umana, culturale, storica e politica un ripugnante cialtrone, ed in questo non mi distinguo affatto (purtroppo) dall'anti-berlusconiano medio. Ma insisto sul fatto che rifiuto la koinè pittoresca ed estetica del riciclaggio delle classi dominanti italiane, per cui Berlusconi, lungi dall’esserne stato il rappresentante, è stato piuttosto un “incidente di percorso”.                                                     Un incidente di percorso? Certamente. Vediamo come.

5. Per usare un lessico militare, Berlusconi fu un “incidente di percorso”, o più esattamente un “danno collaterale” di Mani Pulite, che fu nella sua fun¬zione storico-politica oggettiva (e non nella sua rappresentazione ideolo¬gica, che fu il teatrino della vittoria degli onesti sul cinghialone, porcone, corrottone Craxi, che la marmaglia plebea fanatizzata avrebbe voluto uc¬cidere ed appendere per i piedi, come Mussolini) un colpo di stato giudiziario extra-parlamentare, il cui scopo fu quello di sostituire un modello di stato neo-liberale privatizzato al precedente modello di stato, certamente corrotto, ma anche e soprattutto assistenziale-keynesiano. In onesta sede è del tutto irrilevante se gli agenti storici che propiziarono questo passaggio ne fossero pienamente consapevoli, o pensassero di agire spinti dalla morale kantiana e dal “senso dello stato”. Ciò che conta furono i risultati politici “oggettivi”.
E' del tutto chiaro che la decapitazione dell'intera classe politica di provenienza DC, PSI, PSDI,  PRI,  PLI  non eliminava anche automaticamente il loro bacino elettorale, che restava praticamente intatto, e che non intendeva
accettare la facile presa del governo da parte del PCI riciclato. Ci voleva però qualcuno che avesse la forza economica e l'iniziativa politica per impedire tutto questo, e fu appunto Berlusconi, indipendentemente dalle sue caratteristiche antropologiche o dalla probabile origine mafiosa del suo denaro.
Questa è la genesi del fenomeno Berlusconi. Naturalmente la cultura detta di “sinistra” non poteva accettare questa semplice realtà,ed è allora chia¬ro che dovesse attivare il teatrino dei vizi atavici degli italiani, popolo delle scimmie manipolato dalla televisione del Grande Corruttore e della sua corte di puttane, attricette, intellettuali falliti oppure con il “dente avvelenato”  verso il PCI (pensiamo al notevole filosofo ex-marxista Lucio Colletti).
Si apriva così il teatrino identitario del Partito B e del Partito Anti-B, che hanno soffocato per un ventennio il nostro povero paese pri¬vato di sovranità politica e geopolitica.
Ma ora cominciano, caro lettore, le analisi serie, cui ti chiedo di presta¬re un'attenzione particolare.
                                                                                                                                                                                          6. Non dimentichiamoci dunque del punto da cui siamo partiti: Berlusconi ha dovuto andarsene, chiudendo un intero ciclo politico che essendo stato ventennale è anche stato un ciclo storico, non certo perchè cacciato dal buon gusto snobistico degli intellettuali alla Eco-Baricco, dal popolo urlante identitario PD, da Bersani e dai cooperatori emiliani, dai giornali¬sti di “Repubblica” e dalle loro “dieci domande”, dai magistrati milanesi, dal¬le puttanelle ricattatrici di Ancore, dai suoi vizi di vecchio satiro solo nella vecchiaia incombente, eccetera; Berlusconi è stato cacciato dalla grande finanzia internazionale, e da nient'altro, perchè non ha saputo, potuto o voluto sincronizzare l'intera Italia (anzi, 1’azienda-Italia) al ritmo della nuova forma egemonica del capitalismo imperialistico neoliberale e globalizzato. Non facciamoci scappare questa dato storico, che implica un radicale riorientamento gestaltico rispetto alle fole ed alle panzane con cui ci ha rintronato per un ventennio il coro politico, mediatico ed intellettuale, prevalentemente di “sinistra”, ma non solo. Cerchiamo allora di arrivare a questo riorientamento gestaltico mediante alcuni passaggi, non troppo nume¬rosi per non confondere le menti intorpidite dallo spettacolo di manipola¬zione dell'ultimo ventennio. Ecco i passeggi principali:                                                            (l) La fine del comunismo storico novecentesco veramente esistito (19I7-1991),  che non aveva assolutamente nulla a che fare con le ipotesi filosofiche e scientifiche ottocentesche di Marx e con l’originario progetto nove¬centesco di Lenin, è stata una catastrofe storica e geopolitica terribile, incondizionatamente negativa, una vera tragedia, accolta con gridolini di entusiasmo dalla emulsione culturale più stupida dell'intera galassia, la cosiddetta “sinistra”. Questa fine ha propiziato, anche se non direttamente causato (1e cause profonde erano già interne alla dinamica illimitata di riproduzione nel modo di produzione capitalistico) il successo evolutivo darwiniano del modello anglosassone-americano di capitalismo sul precedente modello europeo.                                                                                                     (2) Fino a qualche tempo fa si poteva dire grosso modo che c'erano tre di¬versi tipi di capitalismo; il capitalismo anglosassone americano, interamen¬te privatizzato; il capitalismo europeo, frutto di un compromesso detto a volte impropriamente keynesiano-fordista , che veniva sia dall'alto (Bismarck, De Gaulle, eccetera), sia dal basso (laburismo, sindacalismo, movimento operaio organizzato); il capitalismo cinese, derivato da una storia particolare, che potremmo riassumere in due punti, eredità del modo di produzione asiatica (e quindi non occidentale, prima schiavistico antico e poi feudale-signorile) e di una accumulazione primitiva collettiva del capitale di tipo maoista, con precedenti nella storia cinese (Wang Mang, rivolte contadine, riformismo Ming, Taiping, eccetera).                                                            (3) Stiamo assistendo all'intera assimilazione del modello europeo, e cioè alla sua fine, nell'unico modello anglosassone-USA, frutto di un tradi¬mento storico delle classi dirigenti europee, americanizzate linguisticamente e culturalmente. Questo non avviene attraverso la vecchia ed obsoleta dicotomia Destra/ S inistra, difesa per interesse dal ceto politico pro¬fessionale e per stupidità dal ceto intellettuale identitario e tifoso, ma attraverso la vittoria del partito degli economisti (PE) sul partito del po¬litici (PP).                                                                                                                                                                          (4) Di conseguenza, e per finire, Berlusconi non ha potuto, saputo e voluto effettuare questo passaggio, nonostante la sua natura di pescecane capita¬lista liberale lo spingesse soggettivamente a propiziarla, per il sempli¬ce fatto che era pur sempre legittimato elettoralmente ed una legittima¬zione elettorale non può consentirlo, per il fatto che i tacchini non pos¬sono votare il loro assenso al cenone di Natale, che prevede la loro messa in pentola.                                                                                Il CHE FARE? -e ci arriverò brevemente alla fine- non può quindi essere pen¬sato nelle forme della vecchia dicotomia Destra/ Sinistra, sempre più protesi manipolatoria di adattamento di masse atomizzate e babbionizzate dal circo politico, dal circo mediatico e dal circo intellettuale tradizionale.                                                                                        Vediamo le cose con ordine.

7. La prima operazione teorica da fare è un riorientamento gestaltico globa¬le rispetto al bilancio storico-politico del socialismo reale, che preferisco chiamare  “comunismo storico novecentesco” (CSN), per distinguerlo dal comuni¬smo  utopico-scientifico (l’ossimoro è intenzionale) di Marx, assolutamente inapplicabile perchè basato su previsioni storiche inevitabilmente non cor-rette (in sintesi: incapacità della borghesia capitalistica di sviluppare le forze produttive; capacità rivoluzionaria della classe operaia, salariata e proletaria; entrambe le ipotesi totalmente falsificate dalla storia rea¬le).
La “sinistra”, questa emulsione culturale intellettuale confusionaria, che Georges Sorel fu il primo a diagnosticare precocemente, ha in proposito sviluppato per quasi un secolo il teatrino della contrapposizione: in URSS c’è il socialismo oppure in URSS non c'è il socialismo? Risparmio al letto¬re tutti gli argomenti pro e contro (staliniani, trotzkisti, neolinerali, bordighisti, eccetera), che richiederebbero mille pagine per la loro sempli¬ce elencazione, e di cui sono uno specialista. Ma il problema URSS (e paesi fantoccio divorati alla fine della seconda guerra mondiale) è molto più semplice, perchè è storico e geopolitico, e lo formulerò sommariamente così: indipendentemente dal suo essere un esperimento artificiale di eguagliamento sociale livellatore sotto cupola geodesica protetta (protetta da un indispensabile dispotismo partitico operaio, in quanto senza coercizione dispotica la classe operaia e proletaria non potrebbe neppure gestire una bocciofila, altrochè una “transizione al comunismo”!), i1 sistema so¬cialista degli stati “comunisti” (l’unico comunismo storicamente esistito, non certo le elucubrazioni snobistiche del salotti romani o l'agitarsi scomposto degli operai fondisti con i loro fischietti ed i loro tamburi) ha influenzato direttamente la storia del capitalismo, limitandone in parte (in greco antico si dice katechon) la sua tendenza illimitata ad assumere una forma pura, che nella mia personale periodizzazione filosofica del capitalismo definisco “speculativa”, con una terminologia tratta liberamente dalla Scienza della Logica di Hegel.                                                                                                                                         Dunque, indipendentemente dal suo dispotismo e dal carattere miserabile del suo personale politico (i comunisti nichilisti, opportunisti, autofagi e straccioni) viva viva viva il comunismo storico novecentesco e tragedia im¬mane il fatto che non si sia voluto, saputo o potuto riformare “in corso d’opera”, come avevano auspicato i più grandi intellettuali marxisti indipendenti del Novecento (Lukàcs, Gramsci, Bloch, eccetera, alla cui scuola mi sono formato, mentre ho sempre avuto ripugnanza ed estraneità per il circo intellettuale snobistico italiano detto di “sinistra”).                                                                                                                                                             Dunque TRAGEDIA, TRAGEDIA, TRAGEDIA.

8. Il capitalismo già ai tempi Reagan-Thatcher stava cambiando forma, e quindi prima della caduta catastrofica del baraccone socialista. Le ra¬gioni del mutamento erano interne alla dinamica del modo di produzione, ed erano dettate dalla cosiddetta globalizzazione e dalla privatizzazione di tutto ciò che era privatizzabile. Sono gli animal spirits di cui hanno parlato gli economisti inglesi, e che Hegel in altro contesto definì “il regno animale dello spirito”, la definizione più geniale di capitalismo che abbia mai letto in vita mia.
Il teatro storico degli ultimi venti anni è quindi stato nell’essenziale quello di un assalto del modello americano di capitalismo contro il modello europeo, che non avrebbe avuto tanto successo senza il mantenimento dell'occupazione militare USA sull'Europa, iniziata nel l943-1945 e mai terminata, neppure dopo il 1991, anzi ampliata e rafforzata. Non c’è democrazia ad Atene con guarnigione spartana sull’Acropoli. Non ci può essere democrazia in Europa con basi militari atomiche USA in Europa. Si tratta di una semplice verità lapalissiana, che la “sinistra” ha contribuito ad occultare, con la retorica strumentale sulla Costituzione, con il proseguimento maniacale dell'antifascismo in completa, palese e totale assenza di fascismo, con l'agitare scomposto del termine “democrazia” in presenza di irrilevanti parate sindacali, femministe, ecologiste, pacifiste, ed in Ita1ia ossessivamente anti-berlusconiane.                                                    A proposito della Cina, sono un incondizionato sostenitore della sua forza geopolitica e militare, ma non mi raccontino (Losurdo, Diliberto, Sidoli, KKE greco, eccetera), che si tratta di “socialismo”, sia pure di mercato, ecce¬tera. Considero la Cina completamente capitalistica, in quanto considero storicamente fallito ed esaurito l'intero modello del comunismo storico novecentesco (salvo invece il “comunismo” -sia ben chiaro- come filosofia della storia e come tendenza metastorica dell'umanità, ed in questo senso sono sempre più che mai “comunista”). Si tratta però di un capitalismo sorto da una combinazione originale del modo di produzione asiatico, caratterizzato da una forte e benefica dominanza del potere politico sull’economia, e di una esperimento egualitario estremistico maoista, sia pure fallito. Spero che l'apparato confuciano denominato partito comunista cinese continui ad iso¬lare e neutralizzare, se possibile con mezzi civili ed umanistici, gli orrendi intellettuali filo-occidentali e le tendenze americanizzanti. Se queste ul¬time si affermassero, magari sotto lo scudo dei diritti “umani” (la forma rovesciata della disumanità contemporanea), allora ci sarebbe uno ed un solo orribile modello di capitalismo. Sarebbe questa la vera globalizzazione politica, che per il momento non c’è ancora, al di là dei voleri della strega Clinton (ricordo il suo WOW (uau) televisivo oscenamente ostentato alla notizia del linciaggio di Gheddafi).
                                                                                                                                                                                           9. E quindi Berlusconi non ha potuto, saputo o voluto (a mio avviso lo avrebbe voluto, ma non ha potuto per il fatto che doveva pur sempre essere eletto, ed il popolo, al di là delle sue irrilevanti e confuse opinioni politiche, non  può votare per la propria macelleria sociale) effettuare questa america¬nizzazione. Essa presuppone il commissariamento integrale da parte non di una parte politica (destra contro sinistra o sinistra contro destra), ma di un partito degli economisti (Papadimos in Grecia, Monti in Italia, ma so¬no tutti uguali -inglese perfetto e monoteismo del mercato) contro il partito dei politici.                                                                                                                                                                                       Se utilizzassi la dicotomia Destra/ Sinistra (ma me ne guardo bene!) direi che il partito degli economisti è un partito di estrema destra, che si posiziona alla destra di Forza Nuova e di Attila, re degli Unni. Ma i mutamenti semantici propiziati dal ceto intellettuale dell’ultimo ventennio (ah, ombra di Sorel, dove sei?) ha associato la sinistra soltanto alle gesticolazioni irrilevanti della FIOM, alla retorica di Vendola, ai matri¬moni gay, alla insistita polemica laico-radicale contro la chiesa cattolica e Ratzinger, alle sfilate femministe (ah, le donne, le donne!), al belare ostensivo pacifista (pacee, pacee,  diritti umanii, diritti umanii, abbasso i dittatori, processate Gheddafi, Milosevic, Saddam Hussein, tutti meno la Clinton ed Obama, eccetera).
10. Che fare? Non lo so. Non sono mica Lenin! In prima approssimazione, ed in via preliminare, che cosa non fare:
(1) Smettere di fare partitini comunisti (Diliberto, Ferrero), attaccati alle mutande di Vendola e Bersani pur di poter rientrare in Parlamento, oppure di fare partitini a base settaria che ripropongono programmi sumeri, egizi ed assiro-babilonesi (Ferrando).
(2) Andare oltre la dicotomia obsoleta Destra/ Sinistra. Questo capitali¬smo distrugge i popoli e le comunità, non solo le classi svantaggiate (anche se ovviamente anche queste). Ritrovare il linguaggio adatto per salvare i popoli e le comunità è impossibile sulla base della divisione settaria del popolo in popolo in destra e popolo di sinistra. Questa divisione c'è storicamente stata, e non mi sogno affatto di negarlo. Ma oggi è obsoleta, e viene reintrodotta dall'alto per via manipolatoria, utilizzando strati identitari sedimentati in basso nell'ultimo secolo.                                                        (3) Uscire da questa Europa. Se ci fossero possibilità reali di riformare l’Europa dall'interno in corso d'opera, non direi questo, ma mi unirei alla stragrande maggioranza dei “sinistri” riformatori che vogliono una Europa “diversa”. E tuttavia costoro non sono in grado di andare oltre le loro pie intenzioni soggettive. Le oligarchie reali che dirigono questa Europa (e non il sogno di Erasmo, Mazzini o Spinoli) vogliono fortemente la sua americanizzazione (modello anglosassone di capitalismo illimitato privatizzato), la sua sottomissione geopolitica agli USA (NATO, interventi in Kosovo 1999, in Afganistan 2001, in Irak 2003, in Libia 2011, domani chissà), 1’uniformità culturale occidentalistica, insomma tutta la merda (non c'è altro termine!) che ci offre quotidianamente il sistema mediatico editoriale ed universitario.

11. E qui provvisoriamente finisco. So perfettamente che queste tre precondi¬zioni sono assolutamente inattuabili a breve termine, e sospetto anche a medio termine. I “sinistri” vocianti continueranno a proporre inutili ed irrilevanti partitini comunisti o di tipo consociativo antiberlusconiano (Diliberto, Ferrero) o di tipo settario-paleolitico (Ferrando), o semplici ap-pendici della cultura femministico-ecologista post-moderna (Sinistra Critica). Non c’è niente da fare.
Continuerà l’illusione di potere alla fine, magari cambiando le maggioranze elettorati, modificare la natura neoliberale assoluta di questa Euro¬pa. Chi nutre questa illusione non capisce o non vuol capire per opportunismo, pigrizia, stupidità o boria intellettuale, che siamo di fronte ad un processo storico, e non solo politico congiunturale. Lo storicismo ed il mito del progresso lineare irreversibile sparso a piene mani nell'ultimo mezzo secolo dalle canaglie dei gruppi intellettuali comunisti degenerati hanno abituato la gente a pensare in termini ferroviari di Indietro/ Avanti. Ma come, abbiamo fatto l’Europa, non possiamo mica andare Indietro! Biso¬gna andare Avanti!
In realtà, nella storia non c’è un avanti ed un indietro. La storia è un luogo di prassi umana integrale, non di temporalità evoluzionistica in qualche modo prevedibile. La fine del berlusconismo è semplicemente una opportunità, che bisognerebbe saper cogliere per riorientare integralmente una intera cultura politica fallimentare.
Questa opportunità verrà colta? Sarei contento di poter lasciarmi andare ai soliti auspici generici ottimisti, del “pensare positivo”, ma purtroppo sono un allievo di Hegel e Marx, e non di Jovanotti o Celentano. Data la situazione attuale, ed il terribile potere di interdizione diretta o indiretta dei gruppi intellettuali italiani che conosciamo, non vedo nessuna possibilità di invertire la tendenza babbionizzante ed identitaria. I vele¬ni dell’antiberlusconismo di “Repubblica” e del PD continueranno purtroppo a lungo, perchè sono strutturali, in quanto coprono ideologicamente una gi¬gantesca tragedia storica. Vorrei poter promettere di più, ma per il momento siamo ancora alla fase dei preliminari dei preliminari. Per chi ha già la mia età è triste. In quanto ai giovani, chi vivrà vedrà.