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Biodiversità: perché preservarla?

di Valerio Pignatta - 24/11/2011


Difendere la complessità e l’interdipendenza delle forme di vita sul pianeta è l’unica garanzia di futuro: per tutti




Quando si parla dei cambiamenti climatici e socio-ambientali in atto, tendiamo a immaginare le peggiori situazioni catastrofiche proiettate nel futuro: lanciamo allarmi per quello che potrebbe essere, per le irrecuperabili perdite a venire o per il superamento di tanti punti di non ritorno rispetto all'attuale equilibrio geoclimatico, stabilitosi nel corso di migliaia e migliaia di anni. Eppure la catastrofe ecologica più importante, quella che ha e che avrà nell'immediato l'impatto più devastante sull'esistenza della specie umana la stiamo già vivendo. È la veloce perdita di biodiversità animale e vegetale in corso.
Un articolo della rivista Nature del settembre del 2009 (1) ha infatti posto all'attenzione di tutta la comunità scientifica e, volendo, dell'umanità in generale, il fatto che la perdita di biodiversità costituisce il primo problema che dovremmo fronteggiare, prima ancora del cambiamento climatico di cui tanto si parla. La stessa ONU – in un’insolita e tempestiva presa di coscienza – ha stabilito che il 2010 fosse l'anno dedicato alla biodiversità.
Ma cosa si intende esattamente con questo termine?

Una ricchezza incommensurabile
La biodiversità è la varietà degli esseri viventi, animali, vegetali e microrganismi, esistenti in natura. Inoltre si intende la varietà degli ecosistemi e dei loro equilibri. Lo stesso termine viene anche utilizzato per indicare la variabilità genetica all'interno di ogni singola specie e quel mondo di interrelazioni orizzontali e verticali tra i geni di tutte le specie e i legami che intercorrono tra esse. L'essenza della biodiversità è in sostanza la complessità nell'interdipendenza.
L'uomo non può astrarsi da questa interconnessione, sebbene gli ambienti artificiali che ha creato e in cui vive gli facciano sembrare la natura solo come un documentario per bambini in cerca di esotismo. Ma è “scientificamente dimostrabile” che sul cemento non cresce nulla, che la plastica non nutre e che un video, per quanto avvincente sia, non può sostituire la realtà che è il risultato dell'azione dell'essere umano nel suo ambiente naturale.
La questione della salvaguardia della biodiversità è ormai annosa. Già al vertice mondiale delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro del 1992 venne firmata dalle controparti nazionali una Convenzione per la difesa del patrimonio genetico e delle specie esistenti. Anche a Johannesburg, nel 2002, al vertice mondiale dedicato allo sviluppo sostenibile, i paesi europei presenti si posero l'obiettivo di fermare la perdita di biodiversità entro il 2010. Promessa che, come tutti possono constatare, dati alla mano, è stata ampiamente disattesa.
Ma ridurre la biodiversità non significa solo impegnarsi per salvaguardare l'habitat di alcune specie in via di estinzione come il camoscio o l'ululone appenninici (come sta facendo il WWF con l'assegnazione del premio Panda d'oro ogni anno).
Anche intervenire sulla molteplicità delle specie coltivate ha un impatto di non poco conto in questa lotta per la vita. Per fare un esempio, si dice che solo qualche decina di anni fa le specie di patata coltivate nel mondo fossero migliaia (2). Ora ne sono rimaste pochissime coltivate su una scala degna di nota (sebbene ci siano piccoli segnali di controtendenza). Idem per frumento o riso e altri cereali di importanza fondamentale per l'alimentazione umana. Questa riduzione di specie e diversità espone l'umanità a maggiori rischi di carestie dovute a patologie vegetali cui piante omologate in tutto il mondo non sarebbero in grado di far fronte.
Nei millenni, la saggezza contadina dei vari popoli ha saputo individuare e preservare le specie vegetali più adatte ai vari climi e alle varie situazioni parassitarie. È una pura follia procedere, come si sta facendo, a questa “semplificazione” ingenerata solo da necessità legate al profitto e alla commercializzazione.
Ma la biodiversità è anche meccanismo ecosistemico ampliato.
Ad esempio, la stabilità del clima dipende anche dalla dinamica della biodiversità, con i suoi influssi sulla circolazione delle acque e sulla fertilità dei suoli. Tranne che per un 1% di gas nobili, l'atmosfera è interamente il prodotto delle emissioni degli organismi viventi sulla superficie della Terra, umani compresi.
La quantità di specie viventi non è ancora stata fissata definitivamente dagli scienziati e le cifre che possiamo trovare nei vari testi e autori sono molto discordanti.
In linea di massima possiamo azzardare un’ipotesi di questo tipo. In natura esistono:
5000 virus
4000 batteri
70.000 funghi
40.000 protozoi
40.000 alghe
250.000 piante
45.000 animali vertebrati
70.000 molluschi
75.000 aracnidi
950.000 insetti

Ma secondo altre fonti e altri studi le cifre differiscono di molto. Ad esempio, si parla di 1 o 1,5 milioni di specie per i funghi, di 500.000 specie per le alghe e addirittura da 8 a 100 milioni di specie per gli insetti. Periodicamente vengono scoperte nuove specie. Solo in una zona orientale dell'Himalaya negli ultimi dieci anni (1998-2008) sono state scoperte 350 nuove specie, che rischiano di scomparire prima ancora di essere conosciute. In quella stessa zona, sono infatti a rischio di estinzione 10.000 specie vegetali, 300 di mammiferi, 977 di uccelli, 176 di rettili, 105 di anfibi e 269 pesci di acqua dolce (3).
Quello che balza agli occhi di fronte a queste cifre è comunque la ricchezza stupefacente della vita sul pianeta, risultato di 3,5 miliardi di anni di evoluzione. Miliardi di anni che stiamo vanificando in pochi decenni di distruzione pianificata a ritmo da catena di montaggio.

L'olocausto silenzioso: i numeri
La perdita della biodiversità si ha quando una specie o una parte del suo patrimonio genetico o un ambiente naturale scompare per sempre. Le attività umane, dirette o indirette, sono a oggi il massimo fattore di scomparsa di specie viventi sulla Terra.
Nell'ultimo Living Planet Report (2008) il WWF denunciava la perdita, negli ultimi trent'anni, del 30% di tutte le specie del pianeta (il 51% delle specie tropicali, il 33% di quelle terrestri, il 35% di quelle di acque dolci e il 14% di quelle marine). Il tasso di estinzione odierno è fra le 100 e le 1.000 volte superiore al tasso naturale, ossia a quello senza interferenza umana.
Dalle “Liste Rosse” dell'IUCN (Unione mondiale per la conservazione della natura) (4), la più importante fonte di studio e classificazione delle specie viventi in via d'estinzione, apprendiamo che su un totale di 47.677 specie studiate, circa 17.291 (il 36%) sono minacciate di estinzione. Di queste, 875 specie (circa il 2%) sono già estinte o estinte allo stato selvatico in natura. Sono inoltre minacciati il 21% dei mammiferi, il 30% degli anfibi, il 12% degli uccelli, il 28% dei rettili, il 37% dei pesci di acqua dolce, il 35% degli invertebrati, e, ancor più angosciante se lo può essere, il 70% delle piante.
Il professor Norman Myers, esperto di biodiversità all'Università di Oxford, ha affermato che: «La perdita rapida di biodiversità a cui stiamo assistendo, se non contrastata, sarà la più grande in 65 milioni di anni di vita del pianeta e potrebbe essere come le sei estinzioni di massa dell'intera storia della Terra. La speranza è rappresentata da una strategia di conservazione che tuteli i “punti caldi della biodiversità” nel mondo, ovvero le 34 aree con eccezionali concentrazioni di specie animali e vegetali che si trovano di fronte a una grave minaccia di scomparsa degli habitat naturali. Alcuni di questi “punti caldi” contengono gli ultimi habitat per almeno metà delle specie di flora e due quinti delle specie di fauna confinate in meno del 2% della superficie terrestre» (5).

Minaccia uomo
Ma quali sono le attività umane causa di questi sfacelo?
Vediamo le più importanti:
- agricoltura intensiva e uso di pesticidi e fertilizzanti chimici;
- cementificazione, urbanizzazione del paesaggio, costruzione di strade e ferrovie e disseminazione degli abitanti su territori vasti con conseguente frazionamento di molti spazi e ambienti vitali per gli animali
- costruzione di barriere artificiali di vario tipo che riducono lo scambio fra le specie viventi e la possibilità di muoversi delle stesse;
- incanalamento e deviazione di corsi d'acqua, scomparsa di acquitrini, stagni e laghetti, alterazione degli equilibri idrici;
- deforestazione;
- eutrofizzazione dei mari da inquinamento;
- mutamenti climatici dovuti ai gas serra;
- industrializzazione selvaggia e diffusione di sostanze difficilmente o per nulla biodegradabili (plastica, sacchetti, veleni ecc.);
- piogge acide da inquinamento atmosferico;
- inquinamento luminoso e acustico;
- attività turistiche e di svago;
- specie invasive trasportate inavvertitamente che colonizzano territori dove non hanno antagonisti naturali;
- caccia e/o sfruttamento economico di particolari specie.

Il costo economico
Tutto questo ha un costo astronomico per l'umanità, anche dal punto di vista economico.
Purificazione di acqua e aria, protezione delle coste dalle tempeste, eutrofizzazione dei mari, mancata impollinazione, conservazione delle aree naturali costituiscono sicuramente un costo aggiuntivo di rilievo.
È stato calcolato che i costi del degrado degli ecosistemi a causa di una riduzione del tasso di biodiversità pari al 15% entro il 2050 sono quantificabili in qualcosa come 50 miliardi di euro l'anno (6).
Entro il 2050 la perdita di biodiversità costerà all'Europa 1.100 miliardi di euro (7). Che pagheremo noi. Con il nostro lavoro e la perdita di qualità delle nostre vite.
Secondo i ricercatori del progetto TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) che si pone il fine di determinare in denaro i servizi che la natura garantisce agli esseri umani senza alcun costo, la perdita annuale delle foreste ci costa qualcosa come 2-5 trilioni di dollari (8).
Per avere un'idea della pusillanimità politica generale basti pensare che il budget messo a disposizione dall'Unione Europea per la tutela della biodiversità è di 120 milioni l'anno, meno dello 0,1% di quello totale europeo. Mangeremo polistirolo...
Sempre secondo Myers, le cifre da mettere in campo sarebbero decisamente diverse per ottenere risultati: «Si potrebbero salvaguardare i “punti caldi” della biodiversità con un bilione di dollari l'anno. Bisognerebbe sentire questo costo economico come un investimento. Basti pensare al grande valore commerciale delle innumerevoli medicine e dei prodotti farmaceutici basati sulle proprietà delle piante che si aggira intorno ai 60 bilioni di dollari l'anno» (9).

Le azioni personali
Se non possiamo aspettarci nulla dalle istituzioni preposte e dai nostri rappresentanti politici, allora che fare?
Ci permettiamo qui di elencare alcuni consigli su scelte che, se applicate quotidianamente ed estese orizzontalmente alla base della società, possono piano piano fare la differenza.
- Coltivare la terra in modo organico per permettere la rigenerazione della vita dei microrganismi. Raccogliere dei semi del proprio orto e giardino e riseminarli di anno in anno anche in vasi sul terrazzo per chi non ha terreno. Seminare piante e fiori autoctoni e di specie antiche, magari appoggiandosi alle banche dei semi che stanno nascendo in vari luoghi. Ovviamente è conseguenza diretta di quanto precede il privilegiare il consumo di prodotti biologici e locali.
- Mangiare in modo consapevole, evitando piatti a base di animali e soprattuto di quelli in via di estinzione o a rischio come zuppa di tartaruga, sushi di tonno rosso, cetriolo di mare ecc. Evitare anche prodotti alimentari che hanno un impatto importante sulla biodiversità come quelli derivanti da caccia o pesca che non rispettano la taglia minima, le specie protette ecc. Senza contare il cibo carneo (es. hamburger) o le colture “energetiche” (es. olio di palma per biodiesel) che derivano dalla deforestazione di vaste zone del mondo.
- Boicottare, se possibile, medicine “tradizionali” o cosmetici ricavati da animali o piante che stanno scomparendo (es. corno di rinoceronte, muschio di cervo, ossa e interiora di tigre ecc.).
- Installare nidi artificiali per agevolare la riproduzione degli uccelli in ambienti urbanizzati.
- Attivarsi per favorire la nascita di riserve naturali o parchi protettivi nella propria zona e soprattutto in areali rimasti isolati a causa della presenza circostante di ampie zone cementificate o con strade ad alto traffico.
- Consumare di meno e acquistare il necessario. Uscendo dalla mentalità dello shopping fine a se stesso eviteremo di consumare il pianeta e le sue risorse e di vederle trasformare in rifiuti intossicanti per tutte le forme viventi.
- Aprire la propria casa solo a materiali naturali, evitare il più possibile plasticoni, prodotti tossici, detersivi devastanti, imballaggi “da discarica immediata” ecc.
- Risparmiare sulle fonti energetiche utilizzate in tutte le maniere possibili (trasporto, riscaldamento, illuminazione ecc.). Di modi oggigiorno ce ne sono molti. Ogni diminuzione di gas serra aumenta le possibilità di futuro della biodiversità e quindi anche la nostra.
- Impegnarsi per cambiare lavoro se la propria attività è dannosa per la vita e la gioia sul pianeta. Meglio un lavoratore attivo in un comparto produttivo etico ed ecologico che mille volontari ecologisti nel tempo libero.
- Fermarsi ogni tanto a contemplare la natura. Basta anche osservare l'impegno e la dignità eccezionale con cui si muove e lavora una formica per la sua comunità. Percepire il senso di unione tra gli esseri viventi e la condivisione di un destino esistenziale comune aiuta a rispettare la vita in ogni sua forma.

Il valore della vita
Al di là di della riflessione che sino ad ora abbiamo portato avanti – e che per certi versi ricade sempre nell'alveo noto dell'utilitarismo che contraddistingue purtroppo questa società – ci premeva sottolineare che la biodiversità della vita ha un valore di per sé, indipendentemente dal fatto che noi umani possiamo trarne o meno dei benefici.
Ossia c'è, a nostro parere, la necessità assillante dell'assunzione di una responsabilità morale nei confronti del pianeta e degli esseri che lo abitano. Questa dovrebbe essere semplicemente la manifestazione della nostra umanità e della nostra intelligenza e rispetto per la vita in sé.
Se tuttavia ciò non bastasse, possiamo comunque ricordare che gli effetti devastanti della perdita di biodiversità incombono su molteplici aspetti cruciali della nostra esistenza come la fertilità dei suoli, il loro consolidamento e l'eliminazione dei rifiuti in essi contenuti a cura dei microrganismi che li abitano. E poi regolazione del clima e del bilancio idrico, produzione di piante medicinali e di cibo sano. Non ultimo, senza biodiversità niente possibilità di contemplare la variegata bellezza e armonia del mondo naturale.
Quando avremo perso tutto questo, a ben poco varrà vedere l'ultimo bellissimo videodocumentario del National Geographic.

Per la stesura di questo articolo si ringrazia qui l'opera della Federazione delle Chiese Evangeliche (valdesi, battiste, avventiste, metodiste ecc.) impegnate in un lavoro di salvaguardia della biodiversità da molto tempo.
Si veda: Commissione globalizzazione e ambiente (a cura di), Materiali sulla biodiversità per il Tempo del Creato, FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), Roma, 2010.

Note
(1) Rockström, Johan, Steffen, Will, Noone, Kevin et al., “A safe operating space for humanity”, in Nature, n. 461, 24 settembre 2009, pp. 472-475.
(2) Si veda il lavoro del Centro internazionale della patata, di Lima in Perù:
http://www.cipotato.org/ .
(3) WWF's Living Himalayas Initiative (a cura di), The Eastern Himalayas. Where worlds
collide, WWF, luglio 2009.
(4) Cfr. http://www.iucnredlist.org/ .
(5) Myers, Norman, “Biodiversità: quale la posta in gioco e come salvarla”, conferenza
pubblica organizzata da Federparchi nell'ambito delle iniziative dedicate all'anno della
biodiversità, Roma, 4 giugno 2010.
(6) Commissione globalizzazione e ambiente (a cura di), Materiali sulla biodiversità per il
Tempo del Creato, FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), Roma, 2010, p. 14.
(7) Loc. cit.
(8) Cfr. http://www.teebweb.org.
(9) Myers, Norman, “Biodiversità: quale la posta in gioco e come salvarla”, cit.