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Siria: avanza la soluzione libica?

di Michele Paris - 28/11/2011

Scaduto l’ennesimo ultimatum contro il governo di Bashar al-Assad, la Lega Araba ha dato il via libera domenica ad una serie di sanzioni che dovrebbero convincere la Siria a fermare la repressione delle proteste in corso nel paese da oltre otto mesi. La risoluzione approvata al Cairo, la cui efficacia sarà tutta da verificare, segna un ulteriore passo verso un possibile intervento esterno nella crisi siriana, obiettivo a cui puntano sempre più apertamente gli Stati Uniti e le potenze regionali del Medio Oriente per rovesciare il regime di Damasco.

La nuova scadenza per l’accettazione del piano proposto dalla Lega Araba era fissata a venerdì. Il giorno successivo, in assenza di una risposta positiva dalla Siria, la Lega Araba ha rispolverato una bozza di sanzioni sulla quale si era già accordata qualche giorno prima, senza la delegazione di Damasco, durante un summit nella capitale marocchina, Rabat. Come ampiamente previsto, ieri è arrivato infine il voto decisivo da parte dei ministri degli Esteri riunti al Cairo con 19 favorevoli e due astensioni (Iraq e Libano).

Secondo le richieste della Lega Araba, la Siria avrebbe dovuto accettare l’ingresso nel paese di osservatori internazionali, ritirare le forze di sicurezza dalle città interessate dagli scontri e aprire immediatamente un dialogo con l’opposizione. In presenza di gruppi armati sempre più attivi negli ultimi mesi contro le forze del regime, l’accettazione delle condizioni della Lega Araba da parte di Damasco senza vincoli per l’opposizione avrebbe tuttavia rappresentato un vero e proprio suicidio per il governo. Da qui il previsto - e verosimilmente desiderato - rifiuto ad adeguarsi da parte di Assad.

Le sanzioni appena approvate al Cairo comprendono lo stop a tutti i rapporti d’affari con la Banca Centrale siriana, la sospensione dei voli commerciali, il divieto di espatrio tramite gli aeroporti dei paesi arabi per alcuni esponenti di spicco del regime, il congelamento dei beni siriani negli stessi paesi arabi e il ritiro degli investimenti di questi ultimi in Siria.

In linea teorica, queste misure dovrebbero avere effetti molto pesanti, dal momento che la metà delle esportazioni siriane sono destinate proprio ai paesi arabi, così come da essi Damasco riceve almeno un quarto delle proprie importazioni. I meccanismi d’implementazione delle sanzioni imposte dalla Lega Araba non sono però del tutto chiari e, soprattutto, non tutti i paesi dell’organizzazione appoggiano l’iniziativa. Libano e Iraq, ad esempio, hanno già fatto sapere di non essere intenzionati a rendere effettive le sanzioni.

La risposta alla nuova iniziativa della Lega Araba è stata accolta duramente a Damasco. Il Ministro degli Esteri, Walid al-Muallem, ha indirizzato una lettera all’organizzazione panaraba, accusandola di voler “internazionalizzare” il conflitto in Siria. Muallem ha inoltre sollevato una serie di questioni relativamente alla proposta della Lega, tra cui il mancato accoglimento della richiesta del regime di coordinare con le autorità locali l’attività degli osservatori e l’assenza di qualsiasi riferimento alla necessità di fermare le violenze di cui si è resa protagonista l’opposizione.

Quest’ultimo punto risulta particolarmente significativo e dimostra le reali intenzioni della Lega Araba, o meglio delle autocrazie del Golfo che stanno coordinando la campagna anti-siriana al suo interno. La Lega infatti non intende fare alcun appello all’opposizione armata al regime di Assad - rappresentata principalmente dal cosiddetto Esercito Libero della Siria e da gruppi estremisti salafiti - perché a finanziarla e sostenerla sono precisamente paesi come Arabia Saudita, Qatar e la fazione sunnita in Libano vicina all’ex premier Saad Hariri.

Le sanzioni della Lega Araba fanno seguito a quelle già adottata unilateralmente da Stati Uniti e Unione Europea e che prendono di mira anche il settore petrolifero siriano. Altre manovre sono già in corso per aumentare le pressioni sul governo di Assad. La Francia, ad esempio, ha proposto la creazione di “corridoi umanitari” per far giungere cibo e medicinali ai civili isolati dalle operazioni militari. Questa iniziativa sarebbe un evidente pretesto per giustificare un qualche intervento armato in Siria, come ha confermato il Ministro degli Esteri di Parigi, Alain Juppé, secondo il quale i convogli destinati ai civili necessiterebbero appunto di protezione militare. La Turchia, a sua volta, dopo l’invito a lasciare fatto recentemente dal premier Erdogan ad Assad, ha confermato di aver predisposto delle proprie sanzioni, che verranno implementate di comune accordo con quelle della Lega Araba.

La campagna internazionale contro la Siria verrà poi ulteriormente rinvigorita questa settimana, in seguito alla prevista pubblicazione di un rapporto stilato da una commissione “indipendente”, sponsorizzata dall’ONU e incaricata di investigare sulle forze armate siriane, accusate di aver commesso crimini contro l’umanità. Giovedì scorso, peraltro, pochi giorni dopo la sospensione di Damasco dalla Lega Araba, la commissione per i diritti umani dell’Assemblea Generale dell’ONU aveva già votato a maggioranza per condannare la repressione in Siria.

Che le violenze nel paese siano ormai commesse da entrambe le parti è confermato dai quotidiani resoconti delle vittime. Nel fine settimana appena trascorso le autorità siriane hanno dato ampio spazio ai funerali di 22 membri delle forze armate uccisi in vari attacchi dell’opposizione. Secondo quanto riferito da alcuni attivisti, nella sola giornata di sabato sono state 16 le vittime civili nella sola provincia di Homs, mentre l’Osservatorio sui Diritti Umani in Siria - di stanza in Inghilterra - ha ammesso che nella parte orientale del paese i disertori dell’esercito hanno ucciso 10 soldati.

Gli sviluppi più recenti della crisi siriana, in definitiva, sono la conseguenza delle trame orchestrate in questi mesi dalle potenze occidentali e regionali, a cominciare da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Turchia e Qatar. Questi governi - come già accaduto in Libia - hanno sfruttato l’esplosione più che legittima del malcontento diffuso tra la popolazione siriana nei confronti del governo di Assad per promuovere un cambio di regime inteso principalmente a colpire e isolare il nemico numero uno in Medio Oriente, l’Iran, e di riflesso anche Russia e Cina.

Per raggiungere questo obiettivo, così, viene fornito appoggio ad un’opposizione in buona parte screditata e ben poco rappresentativa della popolazione siriana, legittimandola agli occhi della comunità internazionale anche grazie ad una incessante campagna di stampa. L’opposizione “ufficiale” al regime di Assad è rappresentata dal Consiglio Nazionale Siriano - composto da dissidenti filo-americani riuniti sotto la Dichiarazione di Damasco e dai Fratelli Musulmani - e dal già ricordato Esercito Libero della Siria, che ha istituito le proprie basi oltre confine, in Turchia e in Libano.

Per gli Stati Uniti e i loro alleati in Europa e nel mondo arabo, rimuovere Assad significherebbe assestare un colpo mortale all’Iran, scardinando l’arco sciita in Medio Oriente che, oltre a Teheran, comprende appunto l’alleato siriano ed Hezbollah, in Libano. A questo piano hanno dato il loro assenso anche Turchia e Israele, nonostante Ankara nel recente passato avesse instaurato rapporti economici e diplomatici piuttosto intesi con Damasco e Tel Aviv vedesse Assad sì come un nemico, ma tutto sommato affidabile e garante di una certa stabilità.

L’atteggiamento sempre più aggressivo dell’Occidente e della Lega Araba nei confronti della Siria rischia allora di infiammare l’intera regione. La minaccia sempre più concreta della caduta di Bashar al-Assad trascinerebbe infatti nel conflitto con ogni probabilità non solo l’Iran e gli sciiti libanesi ma, in qualche modo, anche una Russia che, con la fine dell’alleato a Damasco, vedrebbe a rischio i propri interessi in Medio Oriente e che, non a caso, continua a insistere per una soluzione negoziata alla crisi siriana.