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Tra le bambine malate di cibo

di Gianna Milano - 09/10/2005

Fonte: panorama.it

Tra le bambine malate di cibo
 
 
di  Gianna Milano
30/9/2005   
 
 
 
 

 
In un libro la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione racconta due anni di esperienza nel Centro di Todi dove si curano i disturbi del comportamento alimentare. E come sia possibile guarirne.


 
«La mamma fa una strana dieta e non riesce mai a dimagrire... ora anziché mangiare beve delle cose che le dà un'amica», «Mia cugina non può mangiare pasta e pane perché il dottore le ha detto che fanno ingrassare», «Mia zia è sempre a dieta e non è mai contenta»... I bambini intervistati hanno dai 10 ai 12 anni, 97 femmine e 70 maschi, e frequentano l'ultimo anno delle scuole elementari e le medie.

«Raccontano un mondo di diete dimagranti in cui l'idealizzazione della magrezza e l'attenzione al peso si impongono con prepotenza. Un mondo in cui, accanto ai messaggi dei mass media, ci sono i condizionamenti di chi fa parte della loro realtà: la famiglia, i compagni, gli amici, gli allenatori. Diventa oltremodo difficile contrastare l'impatto di potenti forze culturali che favoriscono una percezione distorta del proprio corpo e comportamenti alimentari disturbati».

A commentare lo studio, che nasce da un intervento di educazione alimentare nella Provincia di Perugia, è Laura Dalla Ragione, psicoterapeuta che ha fondato a Todi il primo Centro residenziale di terapia intensiva per i disturbi del comportamento alimentare. Una struttura pubblica con sede in una villa cinquecentesca nel cuore di Todi, Palazzo Francisci.

La filosofia della residenza, 12 stanze singole che le giovani ospiti con problemi di anoressia, bulimia e disturbi di alimentazione riempiono di cose loro, libri, peluche, dischi, poster, è racchiusa in una frase di Plotino: «L'anima ha bisogno di un luogo».
E in questo luogo, che non ha nulla dell'ospedale, le giovani trovano uno spazio di cura integrata che vede coinvolti psicologi, medici, dietisti, infermieri, educatrici, presenti giorno e notte: «le tate», come le chiamano affettuosamente le ragazze.

«Il soggiorno di cura, dai 3 ai 5 mesi, prevede un lavoro a 360 gradi che tiene conto non solo dell'aspetto psicologico, con una terapia individuale, ma anche di quello nutrizionale, con un intervento cognitivo-comportamentale, e incontri periodici con i genitori, secondo un approccio di psicoterapia sistemica.

Per scelta scientifica ed etica non utilizziamo psicofarmaci, ci affidiamo a tecniche di meditazione e agopuntura, associate a tecniche corporee come la danzaterapia e la terapia dello specchio» dice Laura Dalla Ragione, che in un libro, La casa delle bambine che non mangiano (Il Pensiero scientifico editore), racconta della sua esperienza dal maggio 2003, anno in cui è stato inaugurato Palazzo Francisci.

Oltre a chiarire nei dettagli il suo programma di terapia, l'autrice compie un'analisi socioculturale del fenomeno epidemico dei disturbi del comportamento alimentare che sembra coinvolgere, nell'ultimo decennio, non più solo le adolescenti tra i 14-15 anni, ma anche e sempre di più bambine in età prepuberale, sui 10-11 anni.

«Più è precoce l'età di esordio dell'ossessione per il cibo, maggiori sono i danni che provoca, perché più grave è il disturbo e più è difficile venirne fuori» dice Dalla Ragione. «La cronicizzazione (specie per la bulimia che si accompagna all'anoressia) è molto rapida perché spesso il disturbo non è facile da individuare: le ragazze possono tenerlo nascosto e restare normopeso anche per anni. Con l'anoressia è diverso, se si perdono chili si vede».

Nel caso di bambine piccole, riconoscere il disturbo non è tuttavia facile perché la perdita di peso e la restrizione alimentare possono essere scambiate per inappetenza infantile o interpretate come sintomi da stress, magari causato dal disagio scolastico, come il passaggio dalla quinta elementare alla prima media.

«La bambina non esplicita, come può fare un'adolescente, la ragione per cui non mangia, cioè la paura di ingrassare. Magari dice semplicemente: non ho fame. E neppure c'è il segnale tipico della scomparsa delle mestruazioni, perché non le hanno ancora» spiega Dalla Ragione.

Ci sono segnali che potrebbero comunque rivelare il disturbo? Il modo con cui una bambina mangia e si comporta può essere rivelatore: sminuzza il cibo in piccoli bocconi, impiega ore a finire il pasto, beve molta acqua, ha un'iperattività fisica, dopo il pasto va spesso in bagno, ha sbalzi di umore, esprime un'insolita irrequietezza.
«I due disturbi, anoressia e bulimia, hanno caratteristiche comuni come la scarsa autostima e il bisogno di controllo. In verità l'esordio è anoressico, ma le pazienti migrano spesso da un disturbo all'altro per tornare verso le restrizioni di cibo». Ai periodi di semidigiuno alternano momenti di frenesia alimentare, abboffate eliminate con il vomito.

L'anoressia, dal greco an (senza) e orexis (appetito), oggi affligge nel mondo occidentale un numero crescente di giovani, la maggior parte di sesso femminile, tra 12 e 25 anni, con un rapporto femmine/maschi di 9 a 1. Descritta in tempi antichi, l'anoressia è esplosa come sintomo psicologico negli anni 60. C'è chi l'ha definita la malattia del benessere, anche se in Occidente colpisce ogni ceto sociale.

Che cosa si cela dietro questa conquista di un'assoluta padronanza sul proprio corpo, ossia di impulsi, bisogni e dimensioni, che porta a procedere con inquietante determinazione verso la non esistenza? E che significato dare al rifiuto del cibo? Quale il punto di partenza?
Da anni gli scienziati cercano di dare risposte a questi interrogativi e di capire quali sono i conflitti, i vissuti personali, i condizionamenti sociali e culturali, i modelli di relazione all'interno della famiglia che la innescano, o che, una volta instaurato il disturbo, lo alimentano. C'è chi la interpreta come un disagio femminile in stretta relazione con le aspettative della società e la cultura del momento.

«La cultura è scritta sul corpo: magro, grasso, scolpito, affamato, rimpinzato. Il corpo di una donna è una sorta di testo che, adeguatamente smontato, può dirci molto su come le donne siano viste nella cultura e su quali siano le difficoltà con cui sono alle prese» scrive Caroline Knapp in Appetiti: cibo, look e identità femminile.

I modelli di bellezza, dagli anni 60 in poi, sono legati a un corpo privo di rotondità: miti di riferimento cui uniformarsi. Come già sottolineava nel 1978 Hilde Bruch in un testo base sulla malattia, La gabbia d'oro. «La magrezza anoressica è proposta da pubblicità e moda come ideale di femminilità».

Sicuramente hanno un ruolo i modelli culturali che associano la magrezza alla bellezza e al valore personale. Ma in più anoressia e bulimia appaiono legate a conflitti specifici della nostra cultura occidentale, «legati in particolare alla costruzione dell'identità femminile e al ruolo familiare e sociale della donna» dice Dalla Ragione.

Il culto della magrezza segue, non a caso, la stessa distribuzione geografica e temporale dei disturbi dell'alimentazione. Ma altre variabili possono aiutare a spiegare il fenomeno: fattori psicologici, evolutivi, biologici, vulnerabilità genetica, esperienze traumatiche. E poi? Contano anche in molti casi le caratterische individuali, scrive Dalla Ragione, quali la bassa autostima, il perfezionismo, la regolazione delle emozioni, le paure legate alla maturità psicologica.

Sta di fatto che per milioni di giovani oggi il cibo, scrive il filosofo Paolo Rossi nella prefazione al libro, si è trasformato in un «nemico». «Come è potuto avvenire? Come è avvenuta la saldatura tra modelli culturali di vita e forme patologiche? C'è un rapporto tra il nostro attuale modo di considerare il cibo e vivere il nutrimento e la strada che quei giovani hanno iniziato a percorrere?» si chiede Rossi.

I disturbi del comportamento alimentare, dall'anoressia alla bulimia, all'abbuffata compulsiva, costituiscono oggi una vera e propria epidemia sociale che non sembra trovare un argine alla sua crescita esponenziale. Ogni epoca ha la sua malattia, e se come scriveva Susan Sontag la malattia può essere letta come una metafora: il nostro rapporto con il cibo oggi è malato.

I disturbi alimentari negli ultimi anni si sono diversificati al punto che nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il Dsm-IV, è stata inserita un'altra categoria, quella dei disturbi alimentari non specificati, come il «binge eating disorder», una forma di bulimia che non prevede contromisure compensatorie all'abbuffata, ossia il vomito.

«Sono persone che introducono grandi quantità di cibo senza una sensazione di fame, e lo fanno in segreto, provando disgusto e ribrezzo verso se stessi» spiega l'autrice. O, ancora, il disturbo da alimentazione incontrollata, in cui le pazienti riescono spesso a nascondere il problema, anche se non il sovrappeso.

Anoressia e bulimia rappresentano oggi gli estremi di un continuum, lungo cui si trova tutta una serie di disturbi ibridi, che non necessariamente sfociano in patologie ufficiali. Il problema è che queste forme spesso sfuggono alla diagnosi, ingannano e ritardano la possibilità di un intervento.