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No ai sacrifici imposti dalla tecnocrazia del governo Monti

di Costanzo Preve - 30/11/2011

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Note sulla crisi dell’anti-berlusconismo

    Ho messo recentemente in rete due brevi saggi, Berlusconeide e Il tempo della vaselina. L’oggetto era lo stesso, e cioè la riflessione sulla nuova situazione politica italiana caratterizzata dalla fine , o forse soltanto del declino, del berlusconismo. A proposito del secondo saggio, mi è stato fatto notare che davo troppo credito al nuovo gruppo tecnocratico di Monti, ritenuto capace non di lacrime e sangue e di macelleria sociale, ma solo di “vaselina”. E’ un equivoco. Il mio giudizio su questo gruppo tecnocratico è terribile, ma per arrivarci bisogna prima chiarire alcuni punti preliminari.
    1. La ragione del No ai sacrifici di Monti deve essere ben chiarita, e non basta dire che i sacrifici li faranno sempre e soltanto i “soliti noti”: è possibile, ma non sicuro. L’ICI, la possibile patrimoniale, il peggioramento del welfare, eccetera, non la pagheranno soltanto i “soliti noti”. La pagheranno strati ben più ampi. Per questo considero insufficiente la solita retorica pauperistica e miserabilistica. Bisogna andare molto più a fondo nella questione.
    La gente è sempre disposta a fare sacrifici, se pensa che ne valga la pena e possa servire a qualcosa, soprattutto per i propri figli e nipoti. Quindi, non ha senso alzare la solita retorica sui “sacrifici”. Il punto non sta qui. Il punto sta nel fatto che questi sacrifici servono esclusivamente a garantire la riproduzione allargata così com’è di questo schifoso capitalismo finanziario globalizzato, e sono quindi in prospettiva sacrifici contro di noi e contro i nostri figli.  Se questi sacrifici fossero inseriti non dico in una prospettiva socialista, comunista o comunitaria, ma anche solo in una prospettiva di correzione qualitativa di questo capitalismo, allora diciamoci la verità: varrebbe la pena farli!
    Ma non è così. Questi sacrifici sono inseriti in una prospettiva di radicalizzazione e di allargamento del nuovo modello liberale-anglosassone di capitalismo assoluto, totale e totalitario. Ed è questa, e solo questa, la ragione per cui il No a Monti e alla sua giunta neoliberale deve essere assoluto.
    2. Purtroppo siamo lontani da questa comprensione, che pure sarebbe limpida e facilmente spiegabile. Ne siamo lontani non certamente per le “eredità del berlusconismo”, come dice unanime il concerto operaista-azionista degli intellettuali di sinistra con accesso ai foglietti politicamente corretti (Manifesto, Liberazione, eccetera), ma proprio per la ragione opposta, e cioè l’eredità mefitica dell’anti-berlusconismo.
    L’anti-berlusconismo ha funzionato nell’ultimo ventennio come un fattore di oscuramento della comprensione dei rapporti sociali, in direzione di una loro moralizzazione, nel caso migliore, o di una loro estetizzazione, nel caso peggiore. Il sociologo cattolico Giuseppe De Rita ha parlato di “soggettivismo etico”, collegando intelligentemente Berlusconi al nefasto e mefitico “spirito del Sessantotto”. Più recentemente Mario Perniola (cfr. Berlusconi o il Sessantotto realizzato, Mimesis 2011) è andato più in profondità , collegando il libertarismo sessuale del vecchio satiro con la fine della moralità borghese facilitata dall’orrendo Sessantotto. De Rita e Perniola si avvicinano al punto cruciale della questione, ma lo sfiorano senza riuscire a coglierlo, perché partono in modo geocentrico dalla identificazione fra borghesia e capitalismo, tipica della cultura di “sinistra” in tutte le sue varianti. Non capiscono che si tratta di fenomeni distinti, essendo la borghesia un soggetto sociale dialettico e contradditorio, e invece il capitalismo un processo anonimo e impersonale rivolto soltanto al proprio autoaccrescimento illimitato. Su questo rivendico pienamente di aver capito da tempo il cuore della questione, ed è solo questione di tempo perché essa arrivi a quel torpido corpaccione lento di riflessi e in preda alla sindrome del “politicamente corretto” chiamato “intellettuali”.
    3.  I foglietti sinistroidi anti-berlusconiani (Manifesto, Liberazione, eccetera) non hanno potuto neppure avvicinarsi lontanamente a questa comprensione, perché hanno delegato la comprensione al gruppo intellettuale più retrivo ed incapace della cultura italiana, quello degli operaisti-azionisti torinesi (Revelli, De Luna, D’Orsi, eccetera). Vediamo il più goffo e banale dei tre, lo storico di regime De Luna (cfr. Liberazione del 13 novembre 2011): “Come fu per il fascismo, il berlusconismo non è stato una parentesi, ma una rivelazione che ha messo in luce i guasti profondi della nostra società … la dimensione valoriale degli italiani è stata completamente risucchiata dentro gli angusti spazi degli interessi privati”. Revelli e D’Orsi si sono subito sintonizzati su questa lunghezza d’onda: esultiamo, perché il Puzzone Numero Due (il puzzone numero uno era Mussolini) è caduto!!
    Chi ha avuto l ventura di vivere a Torino conosce bene questo modello culturale, di lontana origine gobettiana mediata dalla tradizione di Bobbio, pessimista antropologico (Hobbes) e moralista individuale (Kant), ostile sopra ogni altra cosa al concetto hegelo-marxiano di comunità. Gli italiani sono un popolo di scimmie, risultato di un risorgimento senza eroi. E’ un modellino pronto all’uso tuttofare: coniato per Mussolini, è stato in seguito applicato prima alla DC, poi a Craxi, infine a Berlusconi.
    Faccio questi rilievi perché ogni corrente politica ha sempre e solo gli intellettuali “organici” che si merita, chi conosce Sorel e Gramsci potrà capire meglio. Le due baracchette parassitarie di Diliberto e Ferrero, in circa vent’anni dal 1991, non hanno saputo, voluto e potuto dotarsi di gruppi intellettuali capaci di interpretare le nuove contraddizioni sociali apertesi dopo la fine della funzione geopolitica del sistema di stati del socialismo reale (la cui funzione, in Italia, è stata colta solo dalla rivista “Eurasia”, che paradossalmente l’ha colta proprio perché era sempre stata estranea alle prospettive socialiste e comuniste). Il monopolio interpretativo riservato alla patetica baracchetta azionista-operaista (Revelli-De Luna-D’Orsi) ne è stata una conseguenza.
    4. Voltare le spalle alla baracchetta operaista-azionista è quindi un atto preliminare di igiene mentale. Questo implica, in linguaggio scientifico, il “tornare ai fondamentali”. E i fondamentali, secondo il vecchio metodo inaugurato da Marx e poi abbandonato dagli straccioni positivisti che ne hanno usurpato il nome per un secolo, è sempre e solo la riproduzione allargata potenzialmente illimitata del rapporto di capitale. Se uno parte da questi “fondamentali” si accorgerà che i sacrifici della giunta Monti sono rivolti a questa riproduzione, laddove i conflitti d’interesse, le squinzie di Arcore, i soggettivismi etici, il popolo delle scimmie, la corte dei miracoli del cavaliere, eccetera, sono sempre e solo stati particolari pittoreschi da commedia dell’arte.
    Le mie sono, ovviamente, prediche inutili. La corruzione degli intellettuali italiani di “sinistra” è infatti profonda e incurabile. Speriamo in una generazione nuova, meno rincoglionita dall’abbietta eredità sessantottina.