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Congo: brogli e violenze

di Michele Paris - 30/11/2011

 
    


Nella Repubblica Democratica del Congo, lunedì ha avuto inizio il secondo voto ufficialmente democratico nella travagliata storia del paese centro-africano. I 32 milioni di elettori registrati si sono recati alle urne tra violenze, intimidazioni e accuse di brogli per scegliere i membri del nuovo Parlamento e, soprattutto, il prossimo Presidente, una carica contesa tra Joseph Kabila (in carica dal 2001) e il principale esponente dell’opposizione, il veterano Étienne Tshisekedi.

Il primo voto organizzato interamente dal governo locale senza l’aiuto della comunità internazionale ha fatto registrare da subito una serie infinita di difficoltà. Oltre agli svariati assassini tra le varie fazioni alla vigilia dell’appuntamento elettorale, lunedì in molti seggi sono emersi innumerevoli problemi logistici, come la mancanza di schede o l’assenza di nomi di elettori dai registri ufficiali.

Alla luce delle difficoltà riscontrate quasi ovunque nel paese, la commissione elettorale del Congo ha alla fine deciso di prolungare le operazioni di voto nella giornata di martedì. I risultati finali sono attesi non prima della prossima settimana, visti anche i tempi necessari per il trasferimento delle schede elettorali dalle località più remote alla capitale, Kinshasa, in un paese che dispone di una rete stradale a dir poco disastrata.

Nelle settimane che hanno preceduto il voto, le violenze sono state attribuite soprattutto alle forze di sicurezza del presidente Kabila, le quali si sono rese protagoniste di arresti e torture nei confronti dei sostenitori dell’opposizione. Uno degli episodi più gravi fin qui registrati durante il voto è avvenuto invece a Lubumbashi, capitale della provincia meridionale di Katanga al confine con lo Zambia. Secondo quanto riferito dal Ministero degli Interni, in questa città, ritenuta una delle più prospere e pacifiche del Congo, un gruppo di ribelli mascherati avrebbe attaccato un seggio e un mezzo che trasportava materiale elettorale, causando la morte di cinque persone nel conseguente scontro a fuoco con polizia.

Inoltre, nella provincia del Kasai occidentale, baluardo dell’opposizione, alcuni attivisti hanno dato fuoco a decine si seggi, mentre a est, nel Nord-Kivu, ufficiali dell’esercito sarebbero andati di villaggio in villaggio intimando ai residenti di votare per il presidente Kabila.

I timori più diffusi per la possibile esplosione di nuove violenze riguardano in ogni caso il probabile esito incerto della corsa alla presidenza. Degli undici candidati alla guida del paese, gli unici due con concrete possibilità di successo sono appunto Kabila e Tshisekedi. Quest’ultimo, oppositore storico del deposto dittatore Mobutu Sese Seko e tre volte primo ministro tra il 1991 e il 1997, si é infatti già autoproclamato vincitore delle elezioni, minacciando di far scendere per le strade i suoi sostenitori se i risultati ufficiali non dovessero premiarlo.

Il quasi 79enne Étienne Tshisekedi risulta molto popolare a Kinshasa ed è il leader del gruppo etnico Luba, uno dei più numerosi del paese. Pur essendo in assoluto il politico di opposizione più conosciuto, le divisioni sul fronte anti-Kabila potrebbero penalizzarlo. Il 40enne presidente in carica, oltretutto, è favorito da una modifica costituzionale che ha fatto approvare recentemente e che ha soppresso il secondo turno di ballottaggio nelle elezioni presidenziali. Eventuali dispute, inoltre, saranno decise da una commissione elettorale affollata da membri fedeli a Kabila e guidata dall’amico personale del presidente, Daniel Ngoy Mulunda.

Pur essendo favorito, per molti osservatori Kabila potrebbe essere costretto a far ricorso a brogli elettorali per rimanere in sella. Nel voto del 2006 fu decisivo per il suo successo l’appoggio delle regioni orientali del paese, dove oggi deve invece far fronte alla candidatura autorevole di Vital Kamerhe, ex speaker dell’Assemblea Nazionale e già ministro dell’Informazione. Joseph Kabila è al potere in Congo da quasi undici anni, da quando cioè è succeduto al padre, Laurent-Désiré Kabila, protagonista della deposizione di Mobutu Sese Seko nel 1997 e assassinato nel gennaio del 2001.

I problemi legati ad un voto caotico e dalla più che dubbia regolarità sono comunque molteplici, a cominciare dalla quantità dei candidati. In corsa per i 500 seggi della camera bassa (Assemblea Nazionale) ci sono addirittura 18 mila candidati, mentre in un solo distretto elettorale sono in corsa 1.400 candidati per un singolo seggio.

Inoltre, la legittimità di molti candidati solleva perplessità. In un distretto nella parte orientale del paese, ad esempio, il comandante Ntabo Ntaberi Sheka è alla ricerca di un seggio nel Parlamento nonostante nei suoi confronti il governo centrale abbia emesso un mandato di arresto. Sheka è a capo della milizia paramilitare Mai Mai che nel luglio dello scorso anno commise centinaia di stupri durante un blitz in alcuni villaggi nella stessa area dove ora è candidato.

Secondo quanto riportato dalla testata americana The Christian Science Monitor, l’esito del voto potrebbe avere conseguenze molto gravi sulla stessa integrità nazionale della Repubblica Democratica del Congo. In particolare, in caso di mancata rielezione di Joseph Kabila, le province orientali di Nord e Sud-Kivu sarebbero pronte a dichiarare la secessione. Qui opera il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), una milizia armata Tutsi sostenuta dal governo ruandese che nel 2009 aveva siglato un accordo di pace con Kabila, trasformandosi in un partito politico e integrando i suoi membri nell’esercito regolare.

Il CNDP ha fornito tutto il suo appoggio alla candidatura di Kabila, per il quale ha svolto un’aggressiva campagna elettorale, e una sua eventuale sconfitta potrebbe far riesplodere le tensioni nell’area più precaria del paese. Soprattutto, il CNDP teme un successo di Tshisekedi, il quale recentemente ha affermato che, nel caso fosse eletto presidente, procederebbe a cacciare dal Congo tutti i ruandesi e i loro simpatizzanti, riferendosi precisamente a Kabila e al CNDP stesso.

Dopo il periodo coloniale belga, il Congo (ex Zaire) è stato sottoposto a 31 anni di durissima dittatura sotto Mobutu Sese Seko, deposto solo nel 1997 dalle forze ribelli appoggiate dagli eserciti dei vicini Ruanda, Burundi e Uganda. Da allora il paese, ribattezzato Repubblica Democratica del Congo, è sprofondato nelle violenze di due guerre civili che hanno fatto più di un milione di vittime. La situazione nel paese è tuttora drammatica, soprattutto nelle province orientali, dove continuano ad imperversare svariati gruppi paramilitari.

Tutto questo nonostante il Congo sia uno dei paesi con le maggiori ricchezze naturali del continente africano, con vaste riserve di diamanti, oro, cobalto, rame, petrolio e legname. I benefici di queste risorse, tuttavia, sono andati puntualmente ad una ristretta élite di potere, mentre la gran parte della popolazione è costretta a vivere in estrema povertà, come conferma l’ultimo posto occupato dal Congo nella classifica stilata dall’ONU sull’indice di sviluppo umano di 187 paesi.

Il Congo, infine, ha anche una enorme importanza strategica per l’intera regione centro-africana. L’eventuale instabilità in cui il voto di questi giorni potrebbe far ripiombare il paese potrebbe infatti avere conseguenze pericolose su molti dei nove stati con i quali confina, come i fatti del recente passato hanno già ampiamente dimostrato.