Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'uomo di Obama che tira le fila

L'uomo di Obama che tira le fila

di Heike Buchter - 05/12/2011

  

Un tempo era l’ambiguo ministro delle finanze di Bill Clinton, poi inciampò come banchiere sulla crisi. Ora i suoi allievi fanno politica economica per il presidente.
 
Robert Rubin è pensionato. All’inizio dell’anno l’ex ministro delle finanze del presidente Bill Clinton ha cessato il suo lavoro come top consulente della Citigroup. La stella di un tempo di Wall Street e amore dei democratici di Washington era inciampato alla fine sulle enormi perdite alla grande banca, che senza i miliardi di stato non era più in vita. A Washington l’influenza del settantenne da allora è però ancora più cresciuta. Gli allievi di Rubin siedono nei posti di comando del governo Obama.
 
Conquista subito con la sua modestia chi lo incontra. In una intervista nel suo ampio ufficio alla Citigroup, alcuni mesi prima che la crisi finanziaria diventasse acuta, si siede con la reporter al tavolo del caffè, un po’ irrigidito a causa del suo mal di schiena. Parla a bassa voce, pesando ogni parola. In un mondo insicuro è il titolo delle sue memorie. “Non sono sicuro”, cominciano quasi tutte le risposte dell’uomo che può esibire titoli di studio di entrambe le università di elite Harvard e Yale.
 
Le insicurezze le fanno paura? “Con le insicurezze bisogna cavarsela dappertutto. Se prima si accetta questo, le decisioni dipendono da probabilità e compromessi”.
 
Dietro la titubanza si nascondono un’intelligenza tagliente e una forte capacità di imporsi. Nel suo periodo come ministro, il ruolo di Rubin andò oltre quello di un membro del gabinetto. Clinton lo chiamò una volta “il miglior ministro delle finanze da Alexander Hamilton”. Non è poco: Hamilton appartiene accanto a Washington e Jefferson ai leggendari padri fondatori USA, è considerato iniziatore del sistema finanziario americano.
 
Creò la ricetta per gli anni del boom
 
Era pochi giorni in carica che Rubin nel gennaio 1995 si vide a confronto con la minacciosa incapacità di pagare del Messico, che minacciava di trascinare con sé il sistema finanziario globale. Poté allontanare la dèbacle attraverso una abile diplomazia ed una garanzia USA di venti miliardi di dollari. Ancora più pericolose per l’economia globale furono le crisi in Asia e Russia alla fine degli anni 90. Questo portò al collasso dell’hedgefund LTCM, che sarebbe potuto sfociare in una grave crisi finanziaria.
 
Insieme con il suo vice Larry Summers, il governatore Alan Greenspan e gli esperti del Fondo Monetario Internazionale riuscì allora a Rubin di allontanare una più grande crisi. “Comitato per il salvataggio del mondo” chiamò il trio il Time Magazine in copertina. In Asia il ministro delle finanze di Clinton divenne una superstar grazie alla gestione della crisi. Ancora anni dopo si chiedevano a Rubin autografi durante i viaggi in Corea o Singapore.
 
Le sue impostazioni, di frequente riassunte come “Rubinomics”, valevano come ricetta per gli anni del boom sotto Clinton: raggiungere bassi interessi a lungo termine attraverso un bilancio in pareggio e con ciò rilanciare il consumo e gli investimenti. Nel periodo in carica suo e di Clinton gli USA vissero una fase di alti ratei di crescita e di bassa disoccupazione.
 
Quando il secondo periodo in carica di Clinton di avvicinava alla fine, Rubin cercò un nuovo compito. Sandy Weill, presidente della Citigroup, lo prese come consigliere (come la comunità finanziaria chiamava con riconoscimento il lavoro di consulente del capo) nella sua mega multinazionale finanziaria allora fresca di fusione. Con questo Rubin tornò alle sue origini. Prima che fosse capo delle finanze di Clint Rubin aveva alle spalle una carriere lunga 26 anni a Wall Street – che finì al piano del capo di Goldman Sachs.
 
Nella banca di investimenti, che per una cultura elitaria e per la sua ampia influenza era invidiata ed allo stesso tempo odiata, Rubin si era fatto un nome già come giovane. Era considerato come risk whiz, come uomo che con rischio calcolabile può massimizzare il guadagno.
 
Dopo il suo cambio a Washington il settore approfittò della sua esperienza. Egli spinse i governi dei paesi emergenti in Asia a fondare il loro sistema finanziario secondo il modello degli USA – ed aprì così alle banche nuovi mercati. Il suo successore in Goldman Sachs (e più tardi ministro delle finanze di George Bush), Henry Paulson, si vantava di essere andato in Cina 70 volte durante il suo periodo come presidente. Goldman Sachs è l’unica banca di investimenti estera che ha una filiale in Cina.
 
Il lascito più duraturo di Rubin è stato il suo impegno per la deregulation. Spinse per abolire il Glass Steagall Act. Questa legge degli anni Trenta prescriveva una netta separazione tra assicurazioni, banche d’affari e società di broker. Con questa i rappresentanti del popolo avevano voluto portare di nuovo fiducia nel sistema finanziario dopo il crash del 1929. La fine per il Glass Steagall arrivò sotto Summers poco dopo l’uscita di Rubin.
 
Soprattutto l’abolizione della legge rese possibile a Sandy Weill di costruire il suo supermercato finanziario Citigroup – quella istituzione presso la quale Rubin assumeva il suo nuovo lavoro. Più di ogni altra cosa gli viene oggi rimproverato che impedì la regolamentazione dei derivati. Quando controllori preoccupati lo spinsero a porre sotto il loro controllo nuovi strumenti finanziari come i derivati, i cui rischi ed effetti erano ampiamente sconosciuti, Rubin si rifiutò. Come il governatore Alan Greenspan, temeva di frenare le innovazioni e di moderare la competività delle banche USA. Rubin e Greenspan “mi convinsero che una regolamentazione avrebbe provocato il caos”, si lamentò più Arthur Levitt, l’allora capo della SEC, la sorveglianza della borsa USA.
 
I derivati non trattati in borsa si svilupparono nel grande mercato di crescita del settore finanziario. Nell’anno 2000 il valore nominale dei contratti secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali era a 100 billioni di dollari, alla fine del 2007 essi raggiungevano la somma incredibile di 600 billioni di dollari. I complessi strumenti si dimostrarono alla fine fatali per le banche. I derivati portarono il sistema finanziario globale sull’orlo del collasso, dopo che la banca di investimenti Lehman Brothers era scivolata nel fallimento. Essi furono la causa principale del crollo di AIG, un tempo il più grande assicuratore del mondo. “Coloro che avevano creduto nell’autocontrollo degli istituti di credito per proteggere i propri azionisti sono in stato di shock”, confessò Greenspan in ottobre ad una audizione di fronte al Congresso USA.
 
Il salvatore del mondo di un tempo sottovalutò i rischi nella propria banca
 
Citigroup apparteneva alle banche che la dèbacle colpì nel modo più duro. Nello sforzo di egugliare le banche di investimenti che avevano introitato guadagni record, Citi aveva ampliato l’affare con i titoli ipotecari e si era rovinata in modo catastrofico. Anche Rubin risk whiz finì sotto tiro. Non avrebbe avuto nessuna responsabilità operativa, si difese l’attaccato in una intervista con il New York Times all’inizio dello scorso anno. Alcuni Citi-banchieri avevano un’altra impressione. Descrissero ai redattori del Times Rubin come l’eminenza grigia dietro allo sfortunato successore di Weills Charles Prince. Questo era considerato come una scelta debole. Rubin sarebbe “il mago di Oz, che tira le fila sullo sfondo”, disse un Citimanager che vorrebbe rimanere anonimo.
 
Durante il periodo di Rubin alla Citi la banca non uscì mai dai titoli dei giornali: era coinvolta in tentativi di manipolazione del mercato. Infrazioni in Giappone portarono al fatto che Prince dovette chiudere là il ramo della banca privata. Anche negli scandali di bilancio Parmalat e Enron era coinvolta Citi. Rubin non si è tenuto fuori allora. Quando la multinazionale dell’energia Enron si trovava prima dell’implosione egli chiamò un conoscente al ministero delle finanze. Se il ministero avesse potuto esercitare influenza sulle agenzie di rating a far cadere la valutazione di Enron. Citi era uno dei più grandi clienti.
 
La telefonata fu più tardi oggetto di una inchiesta interna del Senato, in cui a Rubin non fu però rimproverata nessuna inosservanza di legge. Quando le perdite di Citi raggiunsero l’ordine di miliardi a due cifre, divennero più forti le richieste degli investitori per una cacciata di Rubin. A gennaio 2009 la cosa era a tal punto: ci si separò.
 
Rubin andò via come uomo ricco. Mentre le perdite in Citi assommavano fino a quel momento a 19 miliardi di dollari ed il governo dovette aggiustare le entrate fiscali di 45 miliardi ed assunse garanzie per titoli traballanti, egli aveva incassato per i suoi servizi in totale 150 milioni di dollari secondo il servizio di informazioni finanziarie Bloomberg.
 
Nonostante la dèbacle di Citi Rubin non è fuori dal gioco. Dispone di una grande rete. L’uomo, che come capo del National Economic Council coordina la politica economica del nuovo presidente, è Larry Summers. Rubin ne aveva fatto nel 1999 il suo successore alle risorse finanziarie di Clinton. Anche il ministro delle finanze di Obama Tim Geithner deve la sua ascesa al suo legame con Rubin. Summers aveva preso Geithner un tempo come vice internazionale e lo aveva presentato a Rubin, così cominciò la carriera politica dell’ex funzionario finanziario. Il direttore del bilancio di Obama, Peter Orszag, dirigeva fino ad allora l’Hamilton Project, un think tank che Rubin fece nascere tre anni fa. Ed il figlio di Rubin James apparteneva all’organo che sceglieva i candidati per posizioni chiave come la direzione della sorveglianza sulla borsa USA SEC e la sorveglianza del mercato a termine CFTC. Già prima delle elezioni Obama era ricorso alla “Rubinistas” – così lo sfottò a Washington: anche Jason Furman, consigliere di politica economica di Obama, veniva dall’Hamilton Project. Oggi è vice di Summers.
 
I primi legami con Obama Rubin li strinse già anni fa. Quando festeggiò la partenza del suo Hamilton Project, il senatore nominato di fresco faceva parte degli oratori fissi. E quando nella campagna elettorale si prefigurava che la competenza in economia avrebbe avuto un ruolo determinante Obama ebbe bisogno alla svelta di una squadra di esperti. Rubin aiutò volentieri.
 
Questo non piace a tutti. In relazione alla sua capacità di togliersi di dosso errori che pesano, a uno il “teflon sembra un superadesivo”, imprecò Robert Kuttner, cofondatore dell’istituto liberale di economia Economic Policy Institute, in un saggio per l’American prospect.
 
“Obama ha promesso di consultare diverse opinioni, ma non c’è un solo dissidente nella squadra”, si lamenta un sindacalista di alto rango, che non vuole essere nominato. Obama ha vinto la sua campagna elettorale con l’aiuto dei sindacati. Essi vedono nella formula economica di Rubin una preferenza per il capitale ed uno svantaggio per i lavoratori.
 
La politica di Rubin dell’interesse basso sarebbe corresponsabile per la bolla speculativa, giudica Kuttner, critico di Rubin – innanzitutto la bolla di internet fine degli anni ’90, poi la bolla immobiliare ed alla fine la bolla dei crediti: “Rubinomics are bubblenomics!”. Vede in modo scettico le riforme promesse da Obama: “E’ sorprendente che un grande numero di quelli che ora devono risolvere i problemi nati con la deregulation devono la loro carriera all’uomo che in fondo li ha provocati”.
 
Anche Simon Johnson crede che l’eredità di Rubin è viva. “Sono postumi della Rubinomics”, dice l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, che insegna al Massachusetts Institute of Technology come professore di finanza. Non solo per lo stile intellettuale. Senza il lavoro preliminare di Rubin dei bilancio in pareggio gli USA non si sarebbero potuti assolutamente permettere le azioni di billioni di salvataggio. “Dal punto di vista della politica fiscale hanno fatto in modo che in tempi di emergenza potessero tirar fuori i loro amici con un pacchetto di salvataggio”. Egli non vede affatto Rubin in scacco. Al contrario: “E’ il suo trionfo successivo”.

fonte:    Die Zeit  

Traduzione Franz Carinci