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Il tempo della decrescita

di Mario Grossi - 07/12/2011


Siamo arrivati a un bivio decisivo.
Una strada ci porta all’estinzione della specie,
l’altra alla disperazione

Woody Allen

In tempi come questi può sembrare grottesca la lettura di un libro che si somma alla corposa letteratura sul tema.

Parlare ancora una volta, e leggere ancora una volta un testo che enumera i capisaldi della decrescita felice, alla vigilia della nuova manovra finanziaria “equa e solidale” che il governo dei tecnici guidati da Monti si appresta a rendere pubblica dal salotto di Porta a Porta, appare quasi una presa in giro.

I nostri tempi ultimi contraddicono in toto quelli che sono i principi cardine della decrescita felice e lasciano attuale solo l’ammonimento che da tempo si sente ripetere ma in negativo.

Anche Il tempo della decrescita scritto in coppia da Serge Latouche e Didier Harpagès e pubblicato da Elèuthera dichiara con straziante preoccupazione “Prima che qualcuno ce la imponga è meglio scegliere la svolta della decrescita”.

I tempi sono arrivati e, visto che questa opzione abbiamo pensato bene di non farla nostra, ci sta pensando Monti che in realtà ratifica scelte coatte non sue, forte del consenso di coloro che pensano che la panacea di tutti i nostri mali sia dare un’impennata ulteriore alla crescita che non può che non passare attraverso il risanamento dei conti che, guarda caso, toccherà pagare ai soliti noti che di fatto saranno costretti a imboccare una via di decrescita, questa volta infelice proprio perché saranno i soli costretti a subirla e perché non sono riusciti ad uscire da questo circolo vizioso che è prima di tutto mentale.

Tutto concorre a minare i presupposti della decrescita liberamente scelta.

Se da un lato il cardine primo è quello della decolonizzazione del nostro immaginario che dovrebbe liberarci dal falso mito della necessità di crescere e crescere a un tasso sempre più accelerato, per permettere una sostenibilità di tutto il sistema, dall’altro si assiste invece a una massiccia campagna mediatica tesa a dimostrare la bontà della crescita per la crescita, unica strada per dare sostegno al lavoro, alle pensioni, alla democrazia stessa.

Se da un lato i tempi per realizzare il programma di decrescita descritto da Latouche e Harpagès sono lunghi se non lunghissimi, dall’altro ci troviamo immersi in una realtà che il tempo lo ha compresso tanto da arrivare ad affermare che non ce n’è più, costringendoci all’immediato impoverimento generalizzato (la decrescita negativa).

Se da un lato la decrescita parla di un ritorno alla localizzazione, al rilancio del commercio vicinale che taglierebbe consumi intermedi, come quelli energetici dovuti al trasporto, dall’altro si assiste a una sempre più massiccia volontà di restare attaccati, costi quel che costi, al carrozzone delle grandi unità economiche (anche se prive di un’anima politica unitaria) e a una globalizzazione assunta integralmente come un bene comune, un totem da idolatrare.

Se da un lato ci si auspica un rilancio forte di quei beni intangibili fatti di relazioni umane, di solidarietà limitrofe, di sostegni non monetari, di ricchezza non misurabile dai PIL, dall’altra si assiste a un inaridimento e a uno sfilacciamento del tessuto sociale, strappo che, sotto la maschera della manovra “equa e solidale”, nasconde una contrapposizione sempre più feroce tra gli asini pagatori e le volpi che la fanno franca.

Insomma la lettura di questo manualetto, alla luce, nel suo piccolo, del Montismo arrembante lascia un po’ interdetti e sconsolati.

La contrapposizione è fortissima e inconciliabile e l’accusa verso l’utopismo dolce della decrescita felice si fa sempre più stringente se a parlare sono i Soloni del numero, i realisti che, più realisti del re, irridono a scelte considerate impraticabili e degne solo dei salotti radical chic.

Forse non ci credono più tanto neanche gli stessi autori che confezionano il loro libro come un piccolo testo di catechesi.

I brevi capitoletti riportano, al loro interno, frasi in caratteri più grandi che poi sono chiosate brevemente nel testo che le contiene e che formano l’impianto delle regole o del canone per la decrescita felice.

E come sempre succede, quando la fede cede il passo al catechismo, la religione perde la sua forza rivoluzionaria e si trasforma in una serie di piccole raccomandazioni a supporto di un pensiero debole che non crede più, ma tenta di scimmiottare, con formule stereotipate, la grandiosità dell’impianto che l’ha preceduto.

Si passa così dalla Rivoluzione culturale al libretto rosso, dalle grandi dispute teologiche alle formule come “Dio è l’essere perfettissimo creatore del cielo e della terra”, dalla lotta per i diritti civili delle minoranze al politically correct.

Peccato, perché nel libro ci sono comunque degli spunti interessanti che potrebbero indirizzare in maniera diversa il corso degli eventi, nel tentativo di dare una sterzata al ristagnante mondo delle idee compresso tra sviluppo e recessione.

Uno di questi, lo cito solo a titolo d’esempio, riguarda la delocalizzazione e la necessità di introdurre monete locali per farla sviluppare.

“Occorre impegnarsi per inventare una vera politica monetaria locale”.

“Il ruolo delle monete locali, sociali o complementari è di mettere in relazione i bisogni insoddisfatti con risorse che altrimenti resterebbero non sfruttate”.

“Ci sono diverse esperienze in questa direzione che vanno estese e alle quali occorre ispirarsi. Si sono visti circolare i creditos argentini in occasione della grave crisi monetaria del decennio 2000. Queste monete complementari, che si sono sostituite al peso in caduta libera, hanno permesso ai più di sei milioni di persone, per lo più povere, di effettuare gli scambi quotidiani e assicurarsi la sopravvivenza. È stato così possibile rimettere in movimento le capacità inutilizzate dei singoli a vantaggio di tutti”.

E ancora in Baviera ha avuto grande successo l’introduzione del chiemgauer.

«Un buono d’acquisto espresso in chiemgauer è valido per tre mesi, dopodiché scade e perde il 2% del suo valore nominale. Per circolare nuovamente, gli deve essere apposto un timbro che lo convalida per un altro trimestre. Quella leggera perdita di valore spinge il proprietario a utilizzarlo anziché cercare di risparmiare. Il piccolo commercio e l’artigianato smaltiscono così localmente propri prodotti, grazie  a questo mercato limitato e resistono alla potenza devastante delle multinazionali».

Concetto, quello della deperibilità della moneta, non nuovo e che rimanda al caro vecchio Pound, in lotta titanica contro l’usura, e agli eccentrici dell’economia ma che almeno potrebbe coniugare sostegno solidale e rilancio delle piccole economie vicinali.

Mai come adesso sarebbe necessario trovare vie diverse, alternative alla dicotomia sviluppo illimitato/crescita negativa, avendo il coraggio di affermare che la strada dell’imposizione sempre più gravosa, nella speranza di crescere ancora, non è più via praticabile, visti gli enormi costi sociali cui andrebbe incontro. Per non parlare della predazione del pianeta che ormai lo ha svuotato di ogni possibile futuro.

Bisognerebbe pensare in grande, rischiando anche in grande ovviamente, perché quando si parla del famoso patto generazionale, non si dovrebbe pensare che la sua soluzione sia quella di introdurre il sistema contributivo per tutti o bloccare gli adeguamenti al costo della vita di pensioni già falcidiate ma ad una vera e propria rivoluzione nel modo di interpretare le cose.

A cominciare dal tempo che non dovrebbe essere accelerato a dismisura ma rallentato per far sì che scenari più grandi e duraturi prendano il sopravvento per ipotizzare la vera e unica solidarietà tra noi e i posteri.

Consegnare un pianeta ancora in grado di sopportare il carico crescente di vite umane che lo popolano.

Tra l’estinzione del pianeta e la disperazione forse esiste una via stretta che passa per un cambio deciso del nostro modo di pensare e di intendere le cose.

Consiglio dunque a Monti e ai suoi tecnici che, si dice, siano persone dalle buone letture, questo breve testo per raccogliere qualche spunto interessante che potrebbe aprirgli gli occhi verso un nuovo modo di vedere lo stesso vecchio mondo in cui viviamo.