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I tecnocrati al governo dell'economia

di Francesco Mario Agnoli - 12/12/2011

   Non mancano fra i collaboratori  della “Voce” i sostenitori  del governo Monti e della sua manovra. Ovviamente tutte le opinioni  sono degne di rispetto e la “Voce” ha il grande merito di farle conoscere ai suoi lettori. Naturalmente ho letto con attenzione (non solo sulla “Voce”) le opinioni diverse dalla mia e ne ho valutato gli argomenti, ma, pur lasciando da parte   i  difetti di origine di questo governo connessi (democrazia e  sovranità popolare), le argomentazioni  dei  fans cozzano  contro due realtà inoppugnabili:  1) la manovra  diminuisce  visibilmente il potere d'acquisto dei cittadini e, quindi, aggrava la fase recessiva  già in corso; 2)  tranne rare eccezioni (vedi i proprietari di grandi  yacht, che potranno facilmente sottrarsi ormeggiando in Spagna o in Francia) la platea dei colpiti è quella dei soliti noti, il ceto medio, i cittadini comuni, mai come questa volta autorizzati a dire:”Capitano tutte a me!”. Sulle loro spalle si abbattono, difatti, l'aumento del prezzo dei carburanti (quasi il 100% degli italiani ha un mezzo a motore  a benzina o a gasolio); la reintroduzione dell'Ici sulla prima casa (circa l'80%  vive in abitazioni di proprietà); la diminuzione del trattamento pensionistico per la sostituzione  del contributivo al retributivo;  la crescita  dei prezzi per i due punti di IVA in più, che, in quanto consumatori finali, non possono scaricare; gli effetti della recessione (cassa integrazione e perdita di migliaia di posti di lavoro). E forse si è dimenticato qualcosa.

    E questi sono fatti riconosciuti, sia pure distinguendo e sottilizzando,  anche dagli editorialisti  di grandi giornali  certamente non avversi al governo Monti come il Corriere della  Sera, che lascia spazio ai dubbi e ai timori di Angelo Panebianco, che, pur non essendo del tutto contrario, teme gli  “effetti depressivi”, e di Dario  Di Vico. Scrive quest'ultimo: “Imprenditori e sindacati sanno che almeno sul breve l'introduzione di nuove imposte, necessaria come tampone, non potrà che acuire i segni della recessione e aprire un pericoloso gap temporale tra i sacrifici richiesti agli italiani e la tenuta dell'economia reale”.  Prudentemente,  Di Vico  dice  “sul breve”, ma tutto lascia credere che sul lungo non andrà meglio.

    Sacrifici  inevitabili – si obietta -  che  consentiranno all'Italia di uscire  dalla crisi. Ci si può sforzare di credere a questi profeti della buona ventura, ma riesce molto più persuasiva  l'analisi di Marcello Foà,  convinto che la manovra lacrime e sangue  soddisfi i mercati finanziari nell'immediato, ma ponga  le premesse per una nuova voragine nel medio periodo, perché  “tassare in modo massiccio e iniquo, come sta facendo Monti, significa causare una forte contrazione dei consumi, che farà sprofondare l’Italia nella recessione secondo questo schema: più tasse meno consumi, meno consumi più disoccupazione, più disoccupazione più spese sociali, dunque meno introiti Irpef, minor gettito Iva, il che significa nuovi imprevisti buchi di bilancio”.

   Rimane allora a favore della manovra e del  governo un unico argomento, del resto messo in campo dallo stesso Monti  nel discorso per ottenere dal Parlamento la collaborazione   per  ”invertire la spirale  della crescita del debito, che può arrivare ad avere conseguenze drammatiche sull'Eurozona”,  perché “se l'Italia non sarà  in grado di reagire le conseguenze saranno drammatiche, e potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza della moneta unica  con conseguenze destabilizzanti per l'economia mondiale”.

   Con ogni probabilità è tutto esatto. Senza l'Italia, che non è la Grecia e nemmeno la Spagna,  è probabile che  l'Eurozona vada a ramengo  e che i sussulti  investano, se non l'intera economia mondiale, tutto l'Occidente. Ma allora, a meno che non si  voglia chiedere  agli italiani di immolarsi sull'altare  dell'euro e di  una Unione europea   ormai coincidente in tutto e per tutto  con una Eurolandia governata dalla Bce e dal direttorio franco-tedesco, altra è la domanda da porsi: dando per scontato  che anche l'uscita dall'euro comporterà  grandi  sacrifici, il rapporto costi-vantaggi è più favorevole  (o meno sfavorevole) se si esce o se si resta? O altrimenti: è più probabile  che  portino gli italiani fuori dal tunnel della crisi i sacrifici  fatti per restare o quelli  per uscire?

   Dobbiamo riconoscere che la quasi totalità dei politici e la maggioranza  dei tecnocrati  profetizzano in caso di crollo dell'euro disastri da fare impallidire Nostradamus e i Maya.  Tuttavia resto perplesso e mi chiedo se questi signori, che dieci anni fa  ci avevano garantito l'epoca d'ora della moneta unica, meritano ancora la nostra fiducia.

    Per il momento Mario Monti un  risultato (buono o cattivo che sia) l'ha ottenuto: dopo quasi due decenni ha ricompattato le grandi Confederazioni  sindacali, separatesi durante l'era berlusconiana e ora nuovamente unite contro la manovra.