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Affari di cuore

di Valerio Zecchini - 21/12/2011



In un'epoca prosaica, materialista e superficiale come la nostra, la poesia e' rigorosamente relegata ai margini del circuito mediatico; e' pero' questa anche un'epoca di velocita', frenesia, affanno, e c'era forse da aspettarsi che prima o poi la poesia, linguaggio sintetico per eccellenza, si sarebbe imposta come la forma di espressione piu' adatta a rappresentare lo spirito del tempo. E invece no. Come ormai si sente ripetere con sempre piu' insistenza, la soglia dell'attenzione dei nostri contemporanei e' bassissima, e quindi tale attenzione e' poco propensa a concentrarsi su un'arte si' sintetica, ma profonda, simbolica e spesso astratta.
Nell'ottocento ma anche nel primo novecento la situazione, almeno in Italia, era ben diversa se non opposta: la poesia, cosi' come l'opera lirica in campo musicale, incarnava l'autentico spirito nazionale, anzi ne era forse la piu' alta espressione. Artisti come Pascoli, Carducci, D'Annunzio erano di fatto le superstars dell'epoca. Dobbiamo allora pensare che l'italiano di cent'anni fa, che capiva e amava la complessita' della poesia e dell'opera lirica, era meglio di quello di oggi? No, dobbiamo soltanto rassegnarci al fatto che l'italiano contemporaneo, che consuma quasi esclusivamente romanzi gialli e canzonette, e' in linea di massima un sempliciotto. Nel senso che, con estrema disinvoltura, ha abbandonato il sentimento tragico della vita, il quale era l'essenza stessa della cultura europea.
Se oggi un Marinetti o un Pound o qualcuno ancora piu' grande di loro si presentasse a un editore, questi gli risponderebbe: “Lei scrive dei versi straordinari, ma perche' non scrive un bel romanzo giallo, o una bella raccolta di racconti erotici? Altrimenti la dovremo inserire nella nostra raffinatissima collana di poesia, che vende ben trenta copie a volume”. Marinetti fu il primo a capire il carattere effimero della modernita' (“L'effimero e' l'eterno”), e infatti pensava i suoi versi (in buona parte onomatopeici) per la declamazione dal vivo, accompagnata da percussioni o dall'Intonarumori di Russolo e in seguito dalla danza di Giannina Censi. E in pratica cio' che oggi funziona e' proprio questo: la poesia musicata (spoken word), oppure cantata ma comunque sempre con accompagnamento musicale. I versi piu' belli che si sono ascoltati negli ultimi decenni provengono da questo ambito; basti pensare a Jim Morrison, Lou Reed e Patti Smith in America, a Morrissey, Anne Clark e la coppia Elton John/Bernie Taupin in Inghilterra, ma anche a chansonniers piu' tradizionali come il belga Jacques Brel. E in Italia, le coppie Battisti/Mogol o Battiato/Sgalambro non sono certo da meno, cosi' come espressioni piu' recenti del rock o dell'elettronica letteraria, in particolare Massimo Volume e Post Contemporary Corporation. Per non parlare poi dell'ormai sterminato territorio del rap e dell'hip-hop, che si puo' gia' definire come la poesia popolare di oggi, con le sue declinazioni vernacolari in ogni paese del mondo.
Tuttavia, dalla rarefatta dimensione della poesia tradizionale giungono ancora, di tanto in tanto, voci degne di attenzone: e' il caso di Paolo Ruffilli, che ha da poco fatto uscire una sua nuova raccolta di liriche per Einaudi. Il tratto distintivo della scrittura di Ruffilli e' l'eleganza espressiva, che qui ritroviamo sotto forma di versi brevi ma molto cadenzati. Si tratta dell'accurata cronaca dei suoi trasalimenti sentimentali e delle sue vicissitudini erotiche, tra spietati duelli amorosi e seduzioni mancine.
Come si sa, nella storia della poesia il genere amoroso e' quello piu' frequentato, insieme a quello bellico, e hanno anche molto in comune. Cio' che qui ambiziosamente tenta l'autore e' di tracciare una vera e propria fenomenologia dell'amore eterosessuale, di elaborare una casistica che ne abbracci ogni aspetto anche il piu' recondito. In questo senso sono assai eloquenti i titoli dei quattro capitoli in cui si divide il libro: Per amore, Canzonette della passione amara, Guerre di posizione, Al mercato dell'amor perduto.
C'e' pero' nei versi di Ruffilli un eccesso di narrativita', che spesso li rendono troppo lineari e prevedibili, e cio' va a discapito della musicalita' del tutto. Paradossalmente,e' questo uno scrittore che e' piu' poetico quando scrive in prosa che quando scrive in versi – ne e' testimonianza il suo eccellente romanzo biografico su Ippolito Nievo dello scorso anno, “L'isola e il sogno” (Fazi). E' l'ambiguita' che genera lo scarto poetico, ed e' solo quando si inoltra nel territorio dell'ambiguita' che Ruffilli crea versi dotati di un autentico, enigmatico slancio lirico. E' il caso de “Il letto”, uno dei componimenti migliori del volume, che vale la pena di riportare per intero: “Il letto per l'amore/e' un campo di battaglia/del mistero:/vi dura la pace/nella guerra e nel conflitto,/piu' si e' morti/piu' si vive meglio/da risorti/e, colpendo,/ognuno/vuole essere trafitto”.