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Giocare con il fuoco: le minacce di Obama alla Cina

di Micheal Klare - 22/12/2011

   
   

Obama afferma che l’influenza statunitense si sposterà dal Medio Oriente al "vasto potenziale della regione dell’Asia Pacifico".

Per ciò che riguarda la sua politica verso la Cina, l'amministrazione Obama non saltando direttamente dalla padella alla brace? Nel tentativo di voltar pagina dopo due guerre disastrose nel Grande Medio oriente, potrebbe aver appena iniziato una nuova guerra fredda in Asia, un'altra volta col petrolio come base per la supremazia globale.

La nuova politica segnalata il 17 novembre dal Presidente Obama in un discorso di fronte al Parlamento australiano punta a una visione geopolitica ambiziosa, ed eccessivamente pericolosa. Invece di incentrarsi nel Grande Medio oriente, come è avvenuto nell’ultimo decennio, ora gli Stati Uniti concentreranno le proprie forze in Asia verso il Pacifico. "Il mio orientamento è chiaro", ha dichiarato a Canberra: "Quando stileremo i progetti e i fondi per il prossimo futuro, assegneremo le risorse necessarie per mantenere una nostra forte presenza militare in questa regione".

Anche se i funzionari dell'amministrazione si sono sforzati nel segnalare che la nuova politica non è diretta specificamente contro la Cina, l'implicazione è evidente: da questo momento in poi, l’obbiettivo primario della strategia militare statunitense non sarà la lotta contro il terrorismo, quanto di questo territorio in boom economico, a qualunque rischio o costo.

Il nuovo centro di gravità planetario

La nuova enfasi sull’Asia e il contenimento della Cina sono necessari, così hanno reiterano gli alti funzionari del governo, perché la regione dell’Asia Pacifico costituisce in questo momento il "centro di gravità" dell'attività economica mondiale. Mentre gli Stati Uniti si stavano impantanando in Iraq ed Afghanistan, prosegue l’analisi, la Cina ha avuto il margine di manovra per estendere la sua influenza sulla regione. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Washington non è l'attore economico dominante. Se gli Stati Uniti devono mantenere il proprio potere assoluto sul mondo, è necessario, secondo questo pensiero, ripristinare la sua primazia nella regione far retrocedere l’influenza cinese. Nei prossimi decenni, non ci saranno aspetti di politica estera più importanti di questo.

In linea con la sua nuova strategia, l'amministrazione ha implementato una serie di iniziative per rafforzare il potere nordamericano in Asia, così da mettere la Cina sulla difensiva. Queste azioni includono la decisione di mobilitare una forza di 250 marines – che verranno portati a 2.500 in un prossimo futuro – presso una base aerea australiana a Darwin, sulla costa settentrionale di quel paese, e l'adozione, il 18 novembre, della "Dichiarazione di Manila", un impegno a rafforzare i legami militari tra Stati Uniti e Filippine.

Allo stesso tempo la Casa Bianca ha annunciato la vendita di 24 jet da combattimento F-16 all’Indonesia e una visita di Hillary Clinton all'isolata Birmania, un vecchio alleato della Cina, la prima visita di un Segretario di Stato statunitense da 56 anni. Anche la Clinton ha parlato di un maggiore ravvicinamento diplomatico e militare con Singapore, Tailandia e Vietnam, tutti essi paesi prossimi alla Cina o che si affacciano su rotte commerciali fondamentali per l'importazione di prodotti lavorati.

Per come vengono descritte dai funzionari dell’esecutivo degli Stati Uniti, queste iniziative sono destinate a massimizzare i vantaggi degli USA in campo diplomatico e militare nel momento in cui la Cina domina l'ambito economico regionale. In un recente articolo nella rivista Foreign Policy, la Clinton ha suggerito che, dopo anni di indebolimento economica, gli Stati Uniti non possono più sperare di prevalere simultaneamente in più regioni. Devono scegliere accuratamente i campi di battaglia e dispiegare con cautela le proprie limitate risorse – per la gran parte di natura militare - per ottenere il massimo profitto. Data la centralità strategica dell'Asia per il potere globale, ciò significa concentrare le forze in quella zona.

"Durante gli ultimi dieci anni", ha scritto la Clinton, “abbiamo destinato ingenti risorse a [Iraq ed Afghanistan]. Nei prossimi dieci anni, dovremo essere intelligenti e sistematici su dove investire il nostro tempo e le nostre energie, in modo da ottenere la migliore posizione possibile per mantenere la nostra leadership [e] garantire i nostri interessi. […] Uno dei compiti più importanti della politica estera degli Stati Uniti nel prossimo decennio sarà quello di assicurare maggiori investimenti – diplomatici, economici, strategici tra gli altri – nella regione dell’Asia Pacifico."

Tale forma di pensiero, con un approccio chiaramente militare, sembra pericolosamente provocante. I passi annunciati implicano una sempre maggiore presenza militare nelle acque confinanti con la Cina e un importante avvicinamento nelle relazioni militari coi paesi vicini, iniziative che certamente aumenteranno i livelli di allerta di Pechino e induriranno le posizioni della cerchia di governo (specialmente dei dirigenti militari) che suggerisce una risposta più attiva, militarmente parlando, alle incursioni statunitensi.

Qualunque direzione verrà presa, una cosa è certa: i leader della seconda potenza economica mondiale non si faranno vedere deboli e indecisi di fronte a una concentrazione di forze militari statunitensi nella propria periferia. Tutto questo potrebbe instillare i germi di nuova guerra fredda in Asia nel 2011.

L'incremento della presenza militare degli USA e la possibile risposta cinese sono già stati oggetto di dibattito nella stampa americana e asiatica. Ma un aspetto fondamentale di questa lotta incombente non ha ricevuto attenzione alcuna: la misura in cui le recenti azioni di Washington siano il risultato di una nuova analisi dell'equazione energetica globale che rivela (sotto gli occhi dell'amministrazione Obama) una maggiore vulnerabilità della parte cinese e nuovi vantaggi per Washington.

La nuova equazione energetica

Per decenni gli Stati Uniti sono stati molto dipendenti delle importazioni di petrolio, in larga misura da Medio Oriente e Africa, mentre la Cina era in gran parte autosufficiente. Nel 2001 gli Stati Uniti hanno consumato 19,6 milioni di barili di petrolio al giorno, mentre ne hanno prodotti solo 9. La dipendenza dalle forniture per quei 10,6 milioni di barili per giorno è stata una costante fonte di preoccupazione per i politici di Washington. E la risposta tradizionale è stata quella di stabilire legami militari più forti coi produttori di petrolio del Medio Oriente e ricorrere talvolta al conflitto per garantire la somministrazione.

Nel 2001, dall’altro lato, la Cina ha consumato solo cinque milioni di barili al giorno con una produzione nazionale di 3,3 milioni, dovendo quindi importare solo 1,7 milioni di barili. Questi freddi dati duri facevano sì che i suoi dirigenti fossero poco preoccupati per l'affidabilità dei suoi principali fornitori stranieri e che, pertanto, non avesse bisogno di imitare i sotterfugi di politica estera a cui Washington ha sempre confidato.

Ora, il governo di Obama ha concluso che la situazione sta incominciando a invertirsi. Per via della vigorosa economia cinese Cina e la nascita di un'importante e diffusa classe media che ha iniziato a comprarsi le prime automobili, il consumo di petrolio del paese sta esplodendo: secondo le ultime proiezioni del Dipartimento di Energia degli Stati Uniti, passerà da 7,8 milioni di barili al giorno del 2008 a 13,6 milioni di barili nel 2020, e a 16,9 milioni nel 2035. Ci si aspetta che le importazioni cinese dovranno crescere dai 3,8 milioni di barili al giorno del 2008 a 11,6 milioni nel 2035, quando supereranno quelle degli Stati Uniti.

Nel frattempo gli Stati Uniti potrebbero migliorare la propria situazione energetica. Grazie all'aumento della produzione in aree di difficile estrazione, come nei mari dell’Artico in Alaska, le acque profonde del Golfo del Messico e le formazioni di scisto in Montana, North Dakota e Texas, ci si aspetta una diminuzione delle future importazioni, nonostante l'aumento nel consumo energetico.

Inoltre, è probabile vedere un aumento della produzione nell'emisfero occidentale per sostituire le fonti mediorientali o africane. Ancora una volta ciò sarà possibile grazie allo sfruttamento di aree di petrolio di difficile estrazione, tra cui le includendo le sabbie di catrame di Athabasca in Canada, i campi petroliferi nelle profondità dell'Atlantico brasiliano e le regioni ricche in petrolio di una Colombia pacificata. In accordo col Dipartimento di Energia, la produzione combinata di Stati Uniti, Canada e Brasile dovrebbe aumentare di 10,6 milioni di barili al giorno tra il 2009 e il 2035, un salto enorme, considerando che la gran parte del pianeta si aspetta di assistere a un calo della produzione.

A chi appartengono queste rotte marittime?

Da una prospettiva geopolitica, tutto questo sembra conferire un vantaggio reale agli Stati Uniti, soprattutto quando la Cina diventa sempre più vulnerabile ai capricci degli eventi lungo le rotte marittime che portano alle terre lontane. Ciò significa che Washington potrà prevedere un rilassamento graduale dei legami militari e politici con gli stati petroliferi del Medio Oriente che hanno dominato a lungo la sua politica estera e che hanno portato a guerre tanto devastanti e costose.

In realtà, come disse a Canberra il presidente Obama, gli Stati Uniti sono ora nella posizione di dover riorientare le proprie forze militari: "Dopo un decennio in cui abbiamo combattuto due guerre che ci sono costate care", ha dichiarato, "gli Stati Uniti ora hanno lo sguardo rivolto al vasto potenziale della regione Asia Pacifico".

Per la Cina tutto questo comporta un possibile deterioramento della propria posizione strategica. Anche se, in futuro, una parte consistente del petrolio importato dalla Cina viaggerà via terra attraverso gli oleodotti dal Kazakistan e dalla Russia, la maggior parte continuerà ad arrivare con petroliere da Medio Oriente, Africa e America Latina, su rotte marittime vigilate dalla Marina degli Stati Uniti. In realtà, quasi tutte le petroliere che vanno in Cina viaggiano attraverso il Mare Cinese Meridionale, un bacino che l'Amministrazione Obama cerca di mettere sotto costante controllo navale.

Assicurandosi il dominio navale sul Mare Cinese Meridionale e sulle acque adiacenti, il governo di Obama vorrebbe acquisire nel XXI secolo l'equivalente energetico del ricatto nucleare del XX. Vai troppo in là, per via politica, e ci vedremo obbligati a mettere in ginocchio la tua economia col blocco delle vie di approvvigionamento di energia.

Ovviamente, niente di tutto questo verrà mai riferito in pubblico, ma è inconcepibile che i funzionari dell’amministrazione non stiano pensando in questi termini e ci sono dimostrazioni che i cinesi sono seriamente preoccupati per questi rischi, come suggeriscono, ad esempio, i suoi sforzi frenetici per costruire gasdotti tremendamente cari attraverso tutta l’Asia fino alla conca del Mar Caspio.

A mano a mano che verranno chiariti i nuovi piani strategici di Obama, non ci potranno essere dubbi che la leadership cinese prenderà misure per garantire la sicurezza delle linee di fornitura energetica. Alcune di queste iniziative, senz’altro, saranno economiche e diplomatiche, includendo, per esempio, sforzi per corteggiare attori regionali come Vietnam e Indonesia così come i principali fornitori di petrolio come Angola, Nigeria e Arabia Saudita. Ma non ci sbagliamo: ce ne saranno altre di carattere militare.

Sembra inevitabile un significativo aumento delle forze navali cinese, ancora piccole e arretrate rispetto alla flotta degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati. Allo stesso modo possiamo esser certi che la Cina stringerà i legami militari con la Russia e con gli stati centro-asiatici membri dell'Organizzazione di Shangai per la Cooperazione (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan).

Inoltre, Washington potrebbe avviare una vera corsa alla militarizzazione in Asia, sullo stile della Guerra Fredda, che nessuno dei due paesi può permettersi di finanziare nel lungo periodo. Tutto ciò potrebbe condurre a maggiori tensione e al rischio di un’escalation involontaria che derivi da incidenti futuri tra navi degli Stati Uniti, di Cina e degli alleati, come quello avvenuto nel marzo 2009 quando una flotta di navi da guerra cinesi circondarono un’imbarcazione di sorveglianza anti-sottomarina statunitense, l'Impeccable, evitando per poco lo scambio di fuoco. Quante più navi da guerra circoleranno in modo sempre più provocatorio in queste acque, tanto più crescerà il rischio di assistere a simili incidenti.

Ma i rischi potenziali e i costi di questa politica principalmente militare nei confronti della Cina non si restringono all'Asia. Nel tentativo di promuovere una maggiore autosufficienza nella produzione energetica, l'amministrazione Obama ha dato l’approvazione a varie tecniche di produzione: la perforazione nell’Artico, la perforazione profonda in alto mare, il fracking idraulico, che garantiranno altre catastrofi ambientali sulla falsa riga della Deepwater Horizon.

Una maggiore dipendenza delle sabbie di catrame canadesi, la più sporca tra le fonti energetiche - si tradurrà in maggiori emissioni di gas a effetto serra e in una moltitudine di altri pericoli ambientali, quando anche l’estrazione di petrolio dalle acque profonde dell'Atlantico davanti alle coste brasiliani e altrove, ha la propria fosca trama di pericoli.

Tutto questo ci assicura che, ambientale, militare ed economicamente, ci troveremo in un mondo più, e non meno, pericoloso. È comprensibile il desiderio del governo statunitense di allontanarsi dalle disastrose guerre di terra nel Grande Medio Oriente per trattare questioni fondamentali in Asia, ma scegliere una strategia che mette tanta forte enfasi nel dominio e nella provocazione militare può solo provocare una risposta analoga.

Non si può certo parlare di una scelta prudente, tanto meno che promuova gli interessi degli Stati Uniti nel lungo termine, in un momento in cui la cooperazione economica mondiale è cruciale. E sacrificare l'ecosistema per ottenere una maggiore indipendenza energetica non ha alcun senso.

Una nuova Guerra Fredda in Asia e una politica energetica emisferica che potrebbe mettere in pericolo il pianeta: si tratta di una miscela fatale che va riconsiderata prima di assistere a uno scontro e di subire un disastro ambientale irreversibile. Non bisogna essere indovini per sapere che questo non ci offre la definizione di un buon uomo di stato, ma solo la strada verso la follia.

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Fonte: Playing with fire: Obama's threat to China

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE