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Banche Usa, le prescelte dal mercato liberista

di Roberto Marchesi - 27/12/2011

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Comincia come le favole, questo racconto, ma favola non è. E’ tutta storia vera, solo che nessuno (in Italia almeno) l’ha mai raccontata. E comunque, è materia tenuta normalmente molto riservata, quindi difficile da venire a galla.
Nessuno probabilmente sapeva fino ad ora, per esempio, che il famoso fondo TARP (“Trouble Asset Relief Program” ovvero “Programma di sostegno ai patrimoni pericolanti”) di 780/miliardi di dollari messo a disposizione dal Tesoro americano, con la collaborazione della Federal Reserve guidata da Ben Bernanke e la benedizione dell’allora presidente Bush, era solo la punta dell’iceberg del patrimonio impiegato per sostenere gli allegri banchieri a stelle e strisce quando stavano per franare tutti nell’abisso allo stesso modo della Lehman Brothers. La vera cifra che lo Stato americano ha messo a disposizione dei banchieri, tra patrimonio liquido, impegni di firma (garanzie di vario genere) e aperture di credito è almeno dieci volte tanto. Una cifra davvero impressionante, perché arriva a 7,77 trilioni di dollari (cioè settemilasettecento miliardi di dollari) pari a circa metà di tutto il prodotto interno lordo Usa di quell’anno (2008) e pari anche a circa metà di tutto l’attuale debito Usa.
“Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per troppo tempo” dicono per giustificare le attuali “purghe” che fanno inesorabilmente cadere sulle spalle dei ceti medi e bassi del paese. Certo che abbiamo vissuto tutti al di sopra delle nostre possibilità, ma la colpa non è certo del comune cittadino che si adegua sempre al ritmo che gli impongono dall’alto (finché ce la fa, poi si rivolta anche violentemente). La colpa è sempre di chi comanda, di chi ha il potere. E negli ultimi otto anni fino al 2008 tutto il potere, o quasi, ce l’hanno avuto proprio loro, i liberisti nemici del governo e delle regole (perché, dicono, soffoca la libera impresa e il mercato). Infatti il mercato lo hanno lasciato talmente libero che si è gonfiato fino a scoppiare.
E loro, i banchieri, che sicuramente non sono degli sprovveduti al pari di quei poveretti che si sono illusi di poter comprare mega-case senza averne i soldi, negano sempre qualunque colpa. Persino nel pieno della crisi, quando avevano l’acqua che gli arrivava già alla gola, sentite cosa ci venivano a raccontare per tranquillizzare i risparmiatori.
Lloyd Blankfein, amministratore delegato di Goldman Sachs, 16 dicembre 2008: “Our deep and global client franchise, experienced and talented people and strong balance sheet position our firm well” (La profondità e globalità della nostra clientela e del nostro personale, insieme alla solidità della nostra situazione economico-patrimoniale, ci mettono in posizione di assoluta tranquillità).
Infatti era appena passato col cappello in mano, senza vergogna, alla cassa del TARP ad arraffare 10 miliardi di dollari raccolti dai contribuenti americani. A che scopo? Lui solo lo sa. E non si è mica fermato lì, perché prima della fine dell’anno, tra soldi liquidi e linee di credito concesse dal Tesoro, il suo utilizzo è arrivato a 69 miliardi di dollari. Ma lui ha sempre negato, anche nelle inchieste della SEC (Security Exchange Commission), di averne mai avuto veramente bisogno. E allora perché li ha presi?
Vikram Pandit, Amministratore Delegato di Citigroup, 16 gennaio 2009: “We have an irreplaceable franchise” (Siamo una rete operativa insostituibile). In quegli stessi giorni però, per sopravvivere, incassava 45 miliardi di fondi “TARP” dal Tesoro, e altrettanti ne utilizzava, in modo coperto, fino alla cifra di quasi 100/miliardi di dollari.
Stessa storia più o meno per Kenneth D. Lewis, Amministratore Delegato di Bank of America, che il 22 gennaio 2009 dichiarava: “The diversity and strenght of our company is allowing us to continue to invest in our business to drive future profit growth” (La diversità e la forza del nostro gruppo ci consentono di continuare a investire nel nostro settore per indirizzare la crescita dei futuri profitti). Ma anche lui allungava la mano per prendere 45 miliardi di fondi “TARP”, poi diventati circa il doppio calcolando le linee di credito utilizzate.
Jamie Dimon, Amministratore Delegato di JP Morgan Chase, 26 febbraio 2009: “We believe we have a fortress balance sheet” (Siamo convinti che la nostra situazione economico-patrimoniale è una fortezza solidissima). Può darsi, ma intanto a quella data aveva già incassato 25 miliardi di fondi TARP più altri 23 miliardi generosamente messigli a disposizione da Paulson, Bernanke e dal neo arrivato Geithner, nuovo responsabile del Tesoro nell’amministrazione Obama, che per evitare di dispiacere agli ex colleghi della FED di New York, ha confermato tutto.
E’ vero che tutte queste banche hanno già restituito i fondi ricevuti, pagando anche gli interessi previsti nell’impegno sottoscritto, ma sappiamo anche che la fretta di restituire quei soldi non era dettata dall’impegno morale di restituire soldi avuti a prestito dai contribuenti, ma dall’insopportabile clausola, voluta da Obama, inserita nel prestito, e approvata dal Congresso, di mettere i “bonus” di quei banchieri sotto controllo governativo fino alla completa restituzione del prestito. Infatti Goldman Sach ad aprile 2009 aveva già restituito tutto, compreso gli interessi.
L’avidità dei banchieri è nota in tutto il mondo, ma forse non tutti sapevano che anche nel prendere in giro la gente con frottole confezionate ad arte sono dei veri campioni.
Stando a quanto loro affermano dovremmo credere che quei soldi li hanno presi, anche se non servivano, magari solo per fare un favore all’amico Paulson, che voleva essere sicuro che quelle banche, a quel tempo troppo grandi per fallire, non fallissero anche loro come la Lehman Brothers. Scampato il pericolo ci sarebbe stato tempo per aggiustare le cose.
Infatti adesso quelle stesse banche sono persino più grandi di prima e se qualcuno cerca di mettere qualche regola ci pensano gli amici nel Congresso, tornato sotto controllo delle lobby pro-banchieri, a stoppare queste “assurde iniziative contro la libertà d’impresa”.