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Il cristianesimo per Frédéric Ozanam è la formula necessaria all'umanità

di Francesco Lamendola - 02/01/2012





Quella di Federico Ozanam è la classica figura culturale e umana di indubbio spessore, e tuttavia “di nicchia”; mentre non c’è nessuno che non conosca, almeno di seconda mano, il pensiero di Marx e di Engels, né sappia (pur, magari, pensandola diversamente) che essi sono i mostri sacri dell’economia politica dell’Ottocento, ve ne sono relativamente pochi che conoscono Ozanam e che sanno chi egli sia stato, cosa abbia affermato, cosa abbia operato; e quei pochi sono quasi esclusivamente persone che gravitano nell’ambito del cattolicesimo.
Non dovrebbe essere così.
Infatti, se vivessimo in un Paese normale e in tempi normali, le persone di media cultura dovrebbero conoscere la figura e l’opera di Federico Ozanam, tanto quanto quella di Marx ed Engels; mentre così non è, poiché viviamo immersi in un clima di inguaribile provincialismo e poiché la Guerra fredda, da noi, non è mai finita, né forse finirà prima che cada anche il muro fra le due Coree, l’ultimo rimasto al mondo, di quella stagione.
Senza alcuna pretesa di esaurire qui, in poche righe, la sua figura e la sua opera, ricordiamo alcuni dati essenziali della biografia di Antoine-Frédéric Ozanam.
Nato a Milano nel 1813 da un ufficiale francese dell’esercito napoleonico, trasferitosi con la famiglia, all’età di due anni, a Lione, passò poi a Parigi per studiare Giurisprudenza, si laureò nel 1836 e due anni dopo conseguì una seconda laurea in Lettere, con una tesi su Dante, di cui fu profondo conoscitore; oltre a collaborare con numerosi giornali e riviste, dal 1841 succedette a C. Fauriel nella cattedra di Letterature straniere alla Sorbona.
Fin dal 1831 si era messo in luce per una polemica contro Saint-Simon, da posizioni cattoliche; dopo di che divenne uno dei principali esponenti del movimento neocattolico, insieme a F. R. de Chateaubriand e a J.-B. H. Lacordaire, ma con spirito meno aspro, più obiettivo e tollerante di entrambi; collaborò soprattutto con l’«Univers» e con l’«Ere nouvelle», organo della democrazia cattolica; fu, soprattutto, il fondatore della Conferenza San Vincenzo de’ Paoli, una delle più importanti associazioni caritative cattoliche, alla quale diede l’impulso decisivo e cui continuò a dedicare parte del suo tempo, anche ne pieno dell’attività accademica.
Come storico, e specialmente come medievalista, si propose di rovesciare il giudizio di Edward Gibbon, secondo il quale la Chiesa sarebbe stata il principale fattore di indebolimento dell’Impero Romano e avrebbe così contribuito alla vittoria dei barbari e al crollo della cultura in Occidente; Ozanam si sforzò di dimostrare, al contrario, e con discreto successo, che proprio la Chiesa, contribuendo all’integrazione dei popoli germanici nel mondo tardo romano e proponendosi come obiettivo specifico la preservazione della cultura classica, svolse una funzione decisiva per la salvaguardia della civiltà e per la nascita dell’Europa moderna.
Come pensatore sociale, fu contrario alla lotta di classe e al socialismo, che definì come il più grave pericolo per la società del suo tempo; ma fu anche un critico severo del capitalismo e del liberismo economico, sostenendo, senza mezzi termini, che i proprietari dovevano cessare di sfruttare gli operai e attuare una divisione più equa dei profitti; denunciò inoltre la condizione del lavoratore che, ridotto a servire una macchina, perdeva la sua dignità di persona e veniva equiparato egli stesso a un semplice macchinario.
Come pensatore religioso, cercò di coniugare cattolicesimo e liberalismo, un po’ come il nostro Manzoni, il che lo mise sovente in una posizione assai delicata rispetto alla gerarchia; sosteneva, infatti, che la Chiesa doveva tagliare ogni rapporto preferenziale con il potere politico e accettare il nuovo spirito del liberalismo, rivendicando per se stessa quella libertà e quella tolleranza che erano state le maggiori conquiste del XIX secolo.
Infine, sul terreno politico, sosteneva il diritto dei popoli alla libertà e all’indipendenza nazionale, dalla Polonia all’Irlanda e alla stessa Italia (ove volle fare il suo viaggio di nozze, dopo che ebbe superato la sua lacerazione tra vocazione sacerdotale e matrimonio, in favore del secondo), pur difendendo il buon diritto del Papa alla conservazione del potere temporale.
Sintesi notevole di spirito attivo e contemplativo, di organizzatore e di studioso, di filantropo e di accademico; scrittore, giornalista e conferenziere instancabile, concluse la sua beve ma intensissima esistenza nel 1853 a Marsiglia, di ritorno da un viaggio in Italia, ove si era nuovamente recato in cerca di sollievo per la sua declinante salute, a soli quarant’anni. I funerali ebbero luogo nella chiesa di San Sulpice a Parigi.
È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 22 agosto del 1997, nella cattedrale di Notre-Dame, nel corso della XII Giornata Mondiale della Gioventù.
Di particolare interesse per conoscere l’uomo e le sue idee è l’Epistolario, dal quale traspare una personalità molto sensibile, irrequieta ed esigente con se stessa, pacata nei giudizi, capace di dialogare con gli altri, umile, costruttiva, scrupolosa e profondamente retta; una personalità che viveva in una intensa dimensione di fede, speranza e carità; che affrontava con virile energia i propri conflitti interiori e che sapeva praticare la virtù della coerenza tra il pensare e l’agire, in una misura che non può non destare ammirazione, anche fra quanti non condividono i presupposti religiosi e politici del suo pensiero.
Nell’Epistolario si trova anche l’esposizione semplice e piana del suo credo politico e sociale, dal quale emergono la cristallina limpidezza del suo impegno, così come il realismo e la concretezza della sua filosofia, sempre intimamente permeate di spirito cristiano.
Scriveva, dunque, Federico Ozanam nella lettera da Parigi a Ernest Falconnet del 21 luglio 1834 (in: F. Ozanam, «Lettere», a cura di Nicola Pavoni, Tipografia vaticana, Roma, 1994, pp. 78-9):

«… Così senza vederci, pellegrini novizi, siamo arrivati per strade simili alla soglia dello stesso tempio.
Solamente, ma questo non è il luogo per spiegare le mie idee, io considero il cattolicesimo in maniera forse più assoluta: cioè il cristianesimo mi sembra la formula necessaria all’umanità. Io credo che la Chiesa sia al di sopra delle cose di questo mondo, ma le riconosco il diritto di indicare a se stessa il limite del suo intervento e della sua potenza: credo anche al culto come espressione della fede, come simbolo della speranza, come realizzazione terrena dell’amore di Dio. Per questo, secondo le mie forze e secondo le abitudini che mi sono state date fin dall’infanzia, ne osservo le pratiche e trovo nella preghiera, nei sacramenti, l’indispensabile sostegno alla mia moralità in mezzo alle tentazioni di una immaginazione divorante e di un mondo allucinante,.
Riguardo alle opinioni politiche, anche lì siamo d’accordo; vale a dire che come voi io vorrei l’annientamento dello spirito politico a vantaggio di quello sociale; come voi saluto con speranza la bandiera di Lamartine e di Sauzet, di Pagès de l’Arièges, di Hennequin, e di Janvier. Ho, senza dubbio, per il vecchio realismo tutto il rispetto che si deve ad un glorioso invalido, ma non mi appoggerei a lui perché, con la sua gamba di legno, non sarebbe in grado di marciare al passo delle nuove generazioni. Io non nego e non respingo alcuna delle varie combinazioni di governo, ma solamente le accetto come strumenti per rendere gli uomini più felici, e migliori.
Se volete delle formule eccole:
Io credo all’autorità come mezzo, alla libertà come mezzo, alla carità come scopo.
Ci sono due specie principali di governo e queste due specie di governo possono essere animate da due opposti principi. O lo sfruttamento di tutti a profitto di uno solo: ed è la monarchia di Nerone, monarchia che io aborrisco. O il sacrificio di uno solo a profitto di tutti: ed è la monarchia di San Luigi che io venero con amore. O è lo sfruttamento di tutti a profitto di ciascuno:  ed è la repubblica Ateniese e quella del Terrore e questa repubblica io la maledico. O è il sacrificio di ciascuno a profitto di tutti: ed è la repubblica cristiana della Chiesa primitiva di Gerusalemme, che forse è quella della fine dei tempi, il grado più alto a cui possa salire l’umanità.
Ogni governo mi sembra rispettabile in quanto rappresenta il principio divino dell’autorità:; in questo senso capisco l’”omnis potestas a Deo” di San Paolo. Ma io credo che di fronte al potere sia necessario anche il sacro principio della libertà, penso che si possa rivendicare energicamente questo posto, penso che si debba ammonire con voce coraggiosa e severa il potere che sfrutta invece di sacrificarsi; la parola è fatta per essere la diga che si oppone alla forza: è il granello di sabbia su cui viene ad infrangersi il mare.
L’opposizione è una cosa utile e lodevole, ma non l’insurrezione. Obbedienza attiva, resistenza passiva: le “Prigioni” di Silvio Pellico e non le “Paroles d’un Croyant” [“Parole d’un credente” di Lamennais, di critica radicale verso la Chiesa].
Ora, noialtri, siamo troppo giovani per intervenire nella lotta sociale: resteremo dunque inerti in mezzo al mondo che soffre e che geme? No, ci è stata aperta una via preparatoria: prima di fare il bene pubblico, possiamo provare a fare il bene individuale e privato, prima di rigenerare la Francia, possiamo alleviare alcuni dei suoi poveri. VORREI ANCHE CHE TUTTI I GIOVANI CHE HANNO TESTA E CUORE SI UNISSERO PER QUALCHE OPERA DI CARITÀ E CHE SI FORMASSE PER TUTTO IL PAESE UNA VASTA E GENEROSA ASSOCIAZIONE PER IL CONFORTO DELLE CLASSI POPOLARI. [Questa frase è evidenziata anche nell’originale.]»

Si capisce che queste idee non erano, né sono tali da accendere gli “eroici furori” delle generazioni romantiche, le quali, dal 1848 al 1968, si sono abituate a credere che solo chi predica la rivoluzione violenta ha veramente a cuore il progresso dell’umanità e la liberazione dei poveri e degli oppressi dalle loro catene.
Il pensiero di Ozanam è realistico, perché vede chiaramente quale tragico errore sarebbe, per la Chiesa cattolica, restare abbarbicata al vecchio tronco dello spirito monarchico; egli ha la piena consapevolezza che una svolta epocale come l’avvento della Rivoluzione industriale, con i radicali mutamenti sociali da essa introdotti, esige uno sforzo di comprensione e di adattamento da parte dello spirito cristiano; e che, con i processi della modernizzazione, anche il cristianesimo deve rivedere e aggiornare il suo ruolo all’interno della società, per poter operare in essa in modo incisivo e per stare al passo con i tempi, senza venir meno al suo principio ispiratore: l’amore.
La sua volontà di dialogare con le forze nuove e la sua accettazione sincera e non strumentale dei principi fondamentali del liberalismo è stata motivo di una certa tensione con il clero; ma, a differenza di Lamennais, la sua volontà di condurre la propria battaglia all’interno e non all’esterno della Chiesa ha sempre prevalso su ogni difficoltà: e questo, secondo i punti di vista, può essere considerato come l’aspetto più bello della sua forte personalità, capace di moderare il proprio slancio in nome della salvaguardia dell’unità del mondo cattolico, oppure come un limite, un segno di debolezza o di scarsa autonomia del suo pensiero; a ciascuno la scelta.
Sia come sia, non si può fare a meno di restare colpiti dalla prodigiosa saldezza, tenacia e coerenza della sua opera di studioso, di pubblicista e di organizzatore; egli, pur ammirando molto le strutture medievali che preservarono per secoli il delicato rapporto tra la sfera dell’individuo e quella della società, non si ripiegò in una sterile nostalgia del passato, ma seppe raccogliere la sfida del mondo moderno e farsi propugnatore di una presenza attiva, dinamica, disinteressata dei cattolici nella vita pubblica, senza complessi, né di superiorità, né di inferiorità.
Mentre Marx predicava la lotta di classe e insegnava che la religione è stata «l’oppio dei popoli», Ozanam sosteneva che i cristiani potevano andare a testa alta per le strade del mondo, essendo gli eredi di una tradizione che aveva permesso all’Europa di evolvere nel solco delle proprie radici greco-romane, ed essendo portatori, per il presente, di un progetto di vita comunitaria che è perfettamente all’altezza dei nuovi compiti, delle nuove tensioni e contraddizioni della società; un progetto basato sul binomio inscindibile della giustizia e della fratellanza.
È difficile sottrarsi alla curiosità di chiedersi cosa sarebbe accaduto se, nei quasi due secoli che ci separano da lui, il suo messaggio fosse stato valutato serenamente, senza pregiudizi ideologici…