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Belpaese: appunti di viaggio

di Enzo Chiaradia - 02/01/2012

Fonte: liberaopinione


BOCCA, SANTO SUBITO
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con commozione la triste notizia della scomparsa di Giorgio Bocca, giornalista e scrittore, morto a 91 anni il giorno di Natale, si è premurato di inviare  un messaggio alla famiglia nel quale lo ha subito beatificato ricordandone la “figura di spicco del movimento partigiano rimasto sempre coerente con quella sua fondamentale scelta di campo per la libertà e la democrazia”.
Se per  una questione etica di ossequio al “parce sepulto”, avremmo preferito non imbastire polemiche su una persona scomparsa, un’altra ragione etica  ci induce però a contestare affermazioni come quelle di un Napolitano che, passato dal plauso all’invasione sovietica dell’Ungheria alla cordiale intesa con i signori dell’usura, ultimamente  è arrivato a giustificare la stangata di Monti ritenendo giusto chiedere “sacrifici anche ai ceto meno abbienti”.
Giorgio Bocca, di cui ricordiamo alcune pagine scritte nel dopoguerra in difesa delle sanguinarie azioni gappiste che tante rappresaglie tedesche vittime provocarono nella popolazione civile, nel 1940 sottoscrisse il “Manifesto della razza italiana” con uno zelo certamente maggiore a quello di Mussolini, a tal punto da arrivare a scrivere su “La Provincia Granda”(4 agosto 1942):”…questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa della guerra attuale…A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di essere lo schiavo degli ebrei?”. Sostenendo poi “la necessità ineluttabile di questa guerra ariana intesa come ribellione dell’Europa al tentativo ebraico di porla in schiavitù”.
Un razzismo che gli restò poi dentro tant’è che,  oltre ad un mai celato astio anti-meridionale  che lo portò, lui “socialista puro”, a votare Lega Nord, “un ringraziamento-come poi disse- per il fatto che ci aveva liberato da Craxi e dai democristiani”.
Prima fascista, poi partigiano, quindi  arci-italiano borghese della Piemonte bene, Bocca non ha  mancato di regalarci  altre perle, come quelle relative alle  Brigate Rosse che non sarebbero mai esistite (almeno per  il suo compare Sandro Pertini erano “nere”, ma esistevano) e che poi, una volta accertatane l’esistenza, risultarono essere “meno antipatiche dei professorini del ‘68″. O come quella omofoba del Pasolini che se l’era andata a cercare. Omofobo-militarista che sentenziò  che solo  “gli uomini veri vanno a fare il soldato”.
Come ha scritto  Eugenio Del Vecchio ”Bocca si palesava quotidianamente per quel che era: un razzista classista. Ma scriveva su La Repubblica. Non si chiamava Umberto Bossi o Roberto Calderoli. Era a pieno titolo parte integrante dell’establishment culturale italiano…”. Quello coccolato da  Giorgio Napolitano, anch’egli integro e coerente. Santo subito.
CASTE 1: MINISTERO DELLA GUERRA
Mentre la più potente casta imperversante in Italia, quella dei giornalisti, sta attaccando a fondo il fortino della “casta politica” per indebolirla e permettere a Monti di far piazza pulita dei risparmi e del futuro degli italiani per fare i comodi di banche, grande finanza, usurai e speculatori, nel Paese di Bengodi c’è qualche isola che non risente minimamente della crisi. Una di queste è il Ministero della Difesa, giunto nel 2010 a circa 27 miliardi di spesa e aggravato nel 2011 dalla costosissima aggressione Nato alla Libia. Scrive “Rinascita” del 21 dicembre: “Delle 19 Maserati belliche si sa già tutto. Dei nuovi 131 esemplari di caccia F35 (per un costo progettuale lievitato da 5 a 16 miliardi di euro e un totale da sborsare negli anni di 61 miliardi) si sa quasi tutto. Dei 2 sommergibili da un miliardo, degli otto droni da un miliardo e mezzo, delle dieci fregate da 3.5 miliardi, del costo personale in trasferta nei Balcani o in Libano per 2 miliardi e passa, si potrebbe anche, volendo, sapere qualcosa. Ma del prestito-regalo-  annunciato  dall’Herald Tribune il 19 dicembre - di 137 milioni di euro per l’aeroporto di Herat al governo fantoccio afghano, qualcuno sa forse qualcosa? No. Ai soldi regalati per consolidare il dominio anglo-americano sul mondo non si guarda in bocca. Non esiste alcun problema di risparmio, in questo caso. Quanto serve non si discute e viene detratto subito quota-parte ad ogni cittadino italiano così da soddisfare gli ordini del padrone delle colonie. Noi siamo soltanto i sudditi, i servi e i taglieggiati”.
CASTE 2: FIAT E  GRANDI IMPRESE
Importanti personaggi dell’economia, a cominciare dalla signora Marcegaglia, attaccano la classe politica, fonte di sprechi e privilegi. Alla Signora ha già risposto Marco Cobianchi, consigliere economico di Panorama, che ha recentemente dato alle stampe un interessante saggio intitolato Mani bucate, nel quale, dopo aver scartabellato migliaia di documenti ufficiali – Gazzette italiane ed estere, Archivio dell’Antitrust, sentenze della Corte dei Conti, delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e dei ministeri – arriva alla conclusione che un gran numero di società, banche e multinazionali hanno incassato miliardi di euro pubblici, dimostrando come i sussidi alle imprese abbiano determinato un impoverimento dell’intero sistema Paese. Ogni anno – scrive Cobianchi – un fiume di denaro passa dalle casse pubbliche a quelle private”. Per ricostruire la storia di questi traffici Cobianchi si è spostato negli Uffici del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica e si è letto e riletto migliaia di faldoni (“faldoni che se fossero messi l’uno di fianco all’altro coprirebbero ventuno chilometri”) e, all’interno dei quali “c’è la storia industriale italiana come nessuno l’ha mai raccontata. C’è una parte delle ragioni del nostro debito pubblico (4° al mondo), dell’assistenzialismo eletto a metodo di governo, del paternalismo di stato finanziato con le tasse di tutti”. In quei faldoni c’è di tutto, a cominciare dalle “delibere, revisioni, autodichiarazioni, leggi che dal 1980 ad oggi hanno permesso a milioni di imprese italiane di ricevere soldi pubblici, incentivi, sussidi” di ogni genere. In quegli elenchi di beneficiati compare anche il nome della FIAT che, contrariamente a quanto affermato di recente dal suo amministratore delegato Sergio Marchionne  - e cioè che la sua “è stata l’unica azienda che non ha bussato alle casse dello Stato” – secondo Cobianchi  dal 2004 avrebbe “chiesto e ottenuto soldi pubblici allo stesso identico ritmo degli anni precedenti”.
Marchionne non è nuovo a questo genere di sortite senza paracadute. Di recente ha sostenuto che “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”, omettendo di valutare quanto l’Italia potrebbe fare di più senza la Fiat , ad esempio con quei 300 milioni assegnati dal CIPE nel 2009 per sostenere gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Termini Imerese; o con i poco meno di 16 milioni chiesti e ottenuti dall’Italia all’ Unione Europea per sostenere la Fiat Powertrain di Verrone (Biella); o con i più di 37 milioni di euro chiesti e ottenuti dall’UE per le linee di produzione della “Ypsilon” di Termini Imerese. Tutto ciò mentre migliaia di piccoli imprenditori, di piccole e medie imprese, chiudono i battenti non ricevendo aiuti né dallo stato, né dalle banche.

CAZZULLO, NOMEN OMEN
Il giornalista Aldo Cazzullo, balzato all’onore delle cronache con la pubblicazione del libello“W l’Italia”, in cui si esibisce in una serie di madornali bestialità su Risorgimento e Resistenza (http://roccobiondi.blogspot.com/2010/11/le-cazzate-del-libello-di-cazzullo.html), arrivando ad affermare che non furono gli angloamericani a sonfiggere i tedeschi nel secondo conflitto mondiale, bensì …le truppe partigiane, è tornato a dire la sua alla vigilia di Natale sulla prima pagina del quotidiano di via Solferino scoprendo che “la Milano preoccupata di questi giorni è in realtà un giardino dell’eden rispetto a quella semidistrutta dei natali di guerra” e che “l’anno che si chiude verrà ricordato come l’avvio di una nuova ricostruzione…, un anno in cui il Paese si è ritrovato unito”. Scopiazzando il Berlusconi dei “ristoranti pieni di gente”, Cazzullo esorta poi i suoi lettori a pensare “alla grande domanda di Italia che c’è non soltanto nel resto d’Europa o in America ma anche nel mondo di domani; a quanti cinesi, indiani, brasiliani vorrebbero vestirsi come noi, comprare i nostri prodotti, adottare il nostro stile di vita”. Cosa che non dovranno aspettare a lungo dal momento che, proprio il giorno precedente l’uscita dell’articolo in questione, lo stesso “Corriere” aveva pubblicato le proiezioni sul Pil  dei prossimi anni che prevedono un calo di Europa e Nord America rispettivamente di 16 e 16.5 punti a favore di Asia (+32.5) e Sud America. Insomma, nonostante la distruzione dello stato sociale in atto, la paurosa disoccupazione giovanile e la caduta di ogni  valore morale, secondo Cazzullo nel mondo  tutti ci invidiano e vorrebbero poter avere anche loro guide politiche come Ciampi, Napolitano e Monti. E magari giornalisti come Cazzullo.