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Giordano Bruno: mago ermetico o scienziato premoderno?

di Michela Camellini - 02/01/2012




L’idea di un Giordano Bruno impegnato nel campo della scienza, difensore della 
nuova cosmologia e precursore degli studi baconiani sui rapporti naturali di causa ed 
effetto, non inscrivibili nella sfera della metafisica e della teologia, ha dato vita a 
vivaci discussioni nell’ambito della critica bruniana fin dall’inizio del diciassettesimo 
secolo, quando il filosofo nolano cominciò a essere studiato seriamente dagli 
scienziati e dai filosofi europei. 
Frances Yates, una delle maggiori autorità negli studi sull’età del Rinascimento, 
contesta fortemente quest’idea, sostenendo un’interpretazione dell’opera del filosofo 
come tutta incentrata sulla magia e sulla filosofia occulta, e in particolare sui testi 
facenti parte del cosiddetto Corpus Hermeticum, in cui viene esposta la visione di una 
natura divinizzata elaborata dal mitico Ermete Trismegisto. 
Questa posizione della Yates che assegna a Bruno l’epiteto di “mago ermetico” è 
nettamente contrastata da Hilary Gatti che sostiene invece l’inconsistenza di questa 
classificazione che non troverebbe riscontro nella posizioni del filosofo stesso.
In realtà, non sarebbe stato impossibile tentare una conciliazione tra questo Bruno 
ermetico e il Bruno scienziato tramandatoci dal diciannovesimo secolo: la stessa 
Yates sembra a volte contemplare tale soluzione, per esempio, quando descrive la 
rivoluzione scientifica come un evento a due fasi, con un primo stadio di tipo magico 
- animistico, seguito dalla visione di un universo di natura matematica retto dalle 
leggi della meccanica (ma, di fatto, nelle sue linee principali, la tesi della Yates 
negava tale possibilità, sostenendo piuttosto la radicale incompatibilità tra una visione 
magica e una visione meccanicistica del mondo). Per la Yates, come scriveva in 
Giordano Bruno e la  tradizione ermetica,  “i procedimenti per mezzo dei quali il 
mago tentava di operare praticamente non hanno niente [a] che vedere con i metodi 
rigorosi della scienza”.
1
Da allora, una notevole serie di lavori hanno sottoposto a un sostanziale riesame tanto 
l’opera bruniana, quanto la cosiddetta rivoluzione scientifica dei secoli sedicesimo e 
diciassettesimo. Il rinnovato interesse per gli studi bruniani, in particolare in Italia, 
ma con ramificazioni anche in Francia, Germania e Spagna, ha assunto proporzioni 
                                                
1
Frances A. Yates, Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica,Editori Laterza, Roma Bari 1981tali da far parlare di una vera e propria “Bruno-renaissance”. Pur nella varietà delle 
interpretazioni e degli approcci, questi studi sono caratterizzati da una comune consapevolezza della necessità di riesaminare il pensiero bruniano nell’ambito più vasto 
della tradizione filosofica europea (rispetto a molti dei cui aspetti centrali Bruno si 
presenta come epigono o precursore), anziché in relazione semplicemente 
all’occultismo e alla magia rinascimentali. Ed è in quest’ottica che Hilary Gatti, con 
atteggiamento critico nei confronti della Yates, sviluppa, nel suo libro dedicato a 
Giordano Bruno, il riesame della posizione di Bruno stesso nei confronti della scienza 
moderna, alla luce delle nuove valutazioni emerse dagli studi bruniani. E allo stesso 
modo Giuliana Conforto, scienziata impegnata in ricerche sulla relatività e sulla fisica 
quantica, nel suo libro intitolato  “La futura scienza di Giordano Bruno” rivede il 
pensiero di Bruno alla luce delle ultime scoperte in campo scientifico individuando 
nella parole del Nolano una sorta di profezia su quel che sarebbe avvenuto dopo 
centinaia d’anni.
“Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo, non servirà all’uomo per 
comprendere se stesso, finirà con il rigirarsi contro l’uomo”, fu una delle profezie di 
Bruno all’alba della scienza che oggi si gloria della sue scoperte e nasconde che ci sta 
raccontando solo ciò che vede, cioè il 5% di ciò che la stessa calcola.
2
Questo è solo uno degli esempi citati dalla scienziata che indubbiamente ci suona 
sbalorditivo se pensiamo al momento storico che stiamo vivendo: il progresso 
selvaggio è riuscito a sovvertire perfino i ritmi dell’ecosistema e spesso si ha la 
sensazione che la natura ci rimproveri una manipolazione pletorica ed esagerata. 
L’uomo si sta allontanando sempre più da sé stesso perché la sua attenzione è 
assorbita dalla bramosia di potere, da uno studio della natura finalizzato ad una 
strumentalizzazione della stessa a suo uso e consumo: l’uomo vuole dominare la 
natura e la natura si rigira contro l’uomo. Bruno lo disse quattrocento anni fa.
Bruno sostenitore e filosofo della nuova scienza
Al tempo di Bruno la parola “scienza” non era ancora di uso corrente e sarebbe stata 
utilizzata nel senso attuale solo in un momento successivo, da parte di studiosi quali, 
per esempio, Galileo Galilei. Bruno si sarebbe considerato ancora un filosofo della 
natura, per il quale la scienza era scientia, conoscenza in genere. Fermo restando ciò, 
i filosofi della natura del periodo, quali Paracelso, Johannes Kepler (Keplero), Tycho 
                                                
2
Giuliana Conforto, La futura scienza di Giordano Bruno e la nascita dell’uomo nuovo, Edizioni Macro, Diegaro di 
Cesena (FC), 2001.Brahe, William Gilbert, William Harvey e, in seguito, Galileo e Francis Bacon 
(Bacone), possono essere considerati anche veri e propri scienziati, per il loro attivo 
impegno nello studio più o meno metodico dei rapporti naturali di causa ed effetto. 
Ma se già l’inclusione di Bacone in questa categoria non susciterebbe un consenso 
del tutto unanime, quella di Bruno risulterebbe del tutto priva di fondamento. Bruno, 
infatti, non si dedicò mai in prima persona alle osservazioni astronomiche, e il suo 
contributo alla riscoperta dell’atomismo antico fu di carattere del tutto teorico, mentre 
solo qualche anno più tardi Keplero a Praga, Thomas Harriot in Inghilterra e Galileo 
in Italia avrebbero applicato la teoria atomistica alla spiegazione di fenomeni naturali 
da loro minuziosamente osservati, quali la rifrazione della luce e l’attrazione 
magnetica. Il contributo di Bruno a tali  questioni fu limitato alla discussione e al 
dibattito, sebbene gli andrebbero riconosciute maggiori conoscenze tecniche di 
quanto non si faccia solitamente. Bisogna comunque tener presente che a Bruno si 
devono innovazioni sostanziali e di duratura importanza nell’ambito delle teorie da 
lui prese in esame, innovazioni alle quali giunge, però, tramite un ragionamento di 
tipo logico-filosofico, caratterizzato da una forte tendenza alla visualizzazione per 
mezzo di immagini e simboli, anziché tramite la sperimentazione e l’osservazione 
metodica. Più che uno scienziato, Bruno può essere definito, dunque, un sostenitore 
della nuova scienza, o, secondo la terminologia attuale, un filosofo della scienza, 
affascinato dagli sviluppi della nuova disciplina, ma allo stesso tempo estremamente 
sospettoso nei confronti di alcune delle sue conseguenze.
E’ noto, per esempio, come Bruno esprimesse chiaramente la propria avversione per 
la nuova matematica, da lui vista come un astratto schematismo che tentava di 
imprigionare la vitalità della materia in formule statiche di validità universale.
Copernico, che Bruno considerava l’araldo di una nuova era in cui si sarebbe vissuti 
in un universo non più “fuor di sesto”, era colpevole, secondo la sua opinione, di 
essersi dedicato troppo alla matematica e troppo poco alla fisica, e di non aver tentato 
di comprendere l’assetto delle forze e delle energie all’interno del suo nuovo universo 
eliocentrico. Per parte sua, Bruno continuò a aderire a un simbolismo numerico di 
stampo  pitagorico, che utilizzò, insieme alla geometria euclidea, per tentare di 
comprendere le trasformazioni della materia nello spazio. Il metodo bruniano 
sfociava, così, in una sorta di fisica matematica in cui permaneva uno stretto collegamento tra il sistema dei numeri e le trasformazioni in atto nel mondo materiale. A 
ogni modo, la fisica, la biologia e le scienze umane erano campi di ricerca più congeniali a Bruno di quanto non lo fossero le astrazioni matematiche.
3
Il “De vinculis in genere”: un trattato con valore scientifico
Non sorprende, dunque, che Bruno scrivesse un trattato di un certo valore scientifico, 
in quanto effettivamente basato sull’esperienza e sull’osservazione diretta, 
concernente le dinamiche incessanti della mente umana. Il breve trattato De vinculis 
in genere,  benché incompiuto, rappresenta un interessante tentativo di dimostrare 
come ogni forma di linguaggio agisca sul comportamento umano, influenzando la 
volontà fino ad assoggettarla totalmente. In questo testo Bruno porta a conclusione la 
sua meditazione sulla magia, analizzando il potere di determinati simboli, immagini e 
parole, nonché il modo in cui la mente reagisce ai messaggi, sia verbali che simbolici, 
lanciati da chi è dotato della capacità, troppo spesso accompagnata dal desiderio 
senza scrupoli di servirsene, di piegare alla propria la volontà altrui. Questa precoce 
consapevolezza da parte di Bruno dei pericoli inerenti alle nuove forme di conoscenza e di comunicazione che erano emerse gradualmente nel corso nel sedicesimo 
secolo può essere considerata uno dei suoi contributi più personali e originali allo 
sviluppo della nuova scienza. Un altro aspetto della meditazione bruniana sulla nuova 
scienza che risulta di grande interesse, tanto per la storia dei suoi tempi quanto per 
l’anticipazione di aspetti della nostra epoca, è la consapevolezza dimostrata da Bruno 
del fatto che ogni cambiamento rivoluzionario nell’ambito di una teoria scientifica su 
cui sia basata una visione del mondo, quale, per esempio, l’avvento di una nuova 
cosmologia (all’epoca di Bruno, con il prevalere della teoria eliocentrica copernicana 
sulla visione di un universo che gira intorno alla Terra) o l’affermarsi di una nuova 
teoria della materia (come avvenne allora con la rinascita dell’antico atomismo), 
provoca inevitabilmente uno sconvolgimento radicale della cultura e della società in 
cui tale cambiamento si verifica. E non si tratta semplicemente di un’intensa 
consapevolezza da parte di Bruno del modo in cui la nuova scienza stesse “mettendo 
in dubbio ogni cosa”. 
                                                
3
Hilary Gatti, Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001 pp. 2-4Un brano dal sapore marcatamente precartesiano: la prescientificità di Bruno
Hilary Gatti, nel suo libro “Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento” cita il 
brano introduttivo a quella che è l’ultima opera di Bruno, la trilogia di Francoforte, 
pubblicata nel 1591 ma probabilmente iniziata alcuni anni prima durante il soggiorno 
in Inghilterra, dove Bruno insiste sulla necessità, nella speculazione filosofica, di 
mettere sistematicamente in dubbio tutte le idee ortodosse acquisite:
“Chi desidera filosofare, dubitando all’inizio di tutte le cose, non assuma alcuna 
posizione in un dibattito prima di aver ascoltato le parti in contrasto e dopo aver 
bene considerato e confrontato il pro e il contro, giudichi e prenda posizione non per 
sentito dire, secondo le opinioni dei più, l’età, i meriti e il prestigio, ma sulla base 
della persuasività di una dottrina organica e aderente alla realtà, nonché di una 
verità che si comprenda alla luce della ragione.”
4
Gatti vuole qui sottolineare il tono marcatamente precartesiano delle parole del Bruno 
che ha destato l’ammirazione dei commentatori ottocenteschi, e sostiene che il fatto 
che sia Frances Yates che gli studiosi successivi abbiano praticamente ignorato questo 
passo significativo dell’opera bruniana non costituisce un buon motivo per continuare 
a non prenderlo seriamente in considerazione, anche se è ormai chiaro che Bruno non 
può essere visto semplicemente come un precursore del razionalismo secentesco.
Infatti, la posizione bruniana per quanto riguarda quella “verità che si comprenda alla 
luce della ragione” era particolarmente complessa. Bruno sapeva bene che la nuova 
scienza richiedeva nuovi procedimenti logici e nuove forme di linguaggio e di 
comunicazione; alle nuove idee sul mondo naturale, diceva, dovevano accompagnarsi 
parole nuove. Egli, tuttavia, rifiutava il nuovo grande linguaggio simbolico che stava 
emergendo all’epoca sotto forma di una nuova matematica, preferendogli una logica 
basata su figure o immagini. Secondo molti studiosi, questa preferenza, chiaramente 
ricollegabile a un noto brano del De anima di Aristotele, assegna il pensiero bruniano 
a un’era prescientifica. Frances Yates, in quello che è forse il suo lavoro principale, 
L’arte della memoria, avrebbe insistito molto su questa “prescientificità” di Bruno, la 
cui arte della memoria la studiosa inglese vedeva perentoriamente, e ancora una volta 
                                                
4
Hilary Gatti, Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento, op. cit., p. 5quasi esclusivamente, in termini di risonanze mentali di tipo magico e occulto.
In contrapposizione a ciò, i più  recenti studi di Rita Sturlese sulle maggiori opere 
bruniane relative all’arte della memoria, il  De umbris idearum  e il  De imaginum 
signorum et idearum compositione,  mostrano come le immagini mnemoniche 
formino, in realtà, in tali testi un sistema di comunicazione basato sulla connessione 
logica: il che suggerisce che le immagini mnemoniche di Bruno siano da considerarsi 
come veri e propri strumenti logici e non come il riflesso nella mente umana di idee 
trascendenti di tipo magico o neoplatonico.
Nel mondo computerizzato di oggi, in cui la visualizzazione di informazioni tramite 
un sistema interconnesso di immagini, icone e simboli è divenuto il linguaggio 
scientifico per eccellenza, prendendo il posto di una matematica ormai divenuta 
tradizionale, l’idea bruniana di una logica per immagini sembrerà meno antiquata e 
più rispondente alle necessità della ricerca scientifica di quanto non si sia supposto 
finora.
Lo scetticismo di Bruno: la limitatezza della mente umana e 
l’incommensurabilità
dell’universo
La fede, che Bruno pur riponeva nel passo avanti necessariamente rappresentato da 
un’indagine di tipo metodico del mondo naturale, era accompagnata da una notevole 
dose di scetticismo riguardo alla possibilità effettiva che la mente umana raggiunga 
una conoscenza esatta e incontrovertibile delle leggi che governano l’universo, 
laddove questo si presenta come una serie immensamente ricca e varia di metamorfosi ed eventi accidentali. Tale scetticismo si sarebbe, naturalmente, rivelato 
essere in contrasto con il clima culturale dei secoli successivi, dominato da una 
concezione dell’universo di tipo matematico e meccanicistico, e dalla fede ottimistica 
nelle capacità dell’indagine scientifica di arrivare a delle verità assolute: il che ha 
portato molti studiosi a concludere che le riflessioni di Bruno sul mondo fisico siano 
antiquate e prive di valore dal punto di vista moderno. Si potrebbe tuttavia vedere in 
Bruno il propugnatore di un’idea dell’universo come entità incommensurabile 
rispetto alle limitate capacità della mente umana, la quale è dunque condannata a non 
raggiungere mai una conoscenza esatta e definitiva dei suoi meccanismi; in questo 
senso, Bruno anticiperebbe molte delle idee ormai correnti in un’epoca posteinsteiniana, dominata da approcci scientifici basati su concetti di 
approssimazione, quali la teoria della relatività e la meccanica quantistica.
Così come alcuni studiosi ottocenteschi salutarono in Bruno il precursore 
dell’evoluzionismo darwiniano, altri aspetti della filosofia bruniana della natura 
potrebbero essere messi in relazione con i dibattiti scientifici più recenti. Nel 
momento in cui la scienza di Galileo e di Newton si rivela appartenere ormai a un 
ciclo di scoperte conclusosi con la fine del diciannovesimo secolo, la filosofia della 
natura di Bruno acquista sempre maggiore attualità nell’ambito del dibattito 
scientifico in corso ai nostri giorni.
Bruno va considerato come uno dei primi filosofi della nuova scienza, anziché come 
uno scienziato egli stesso. Ciò che più caratterizza il suo rapporto con le nuove 
discipline è il suo interesse per la teoria piuttosto che per l’osservazione empirica: per 
esempio, ogni suo contributo originale alla nuova cosmologia è basato su premesse 
teoriche definibili come una forma avanzata e molto estesa di copernicanesimo. 
Questa insistenza sulla teoria come premessa necessaria di ogni progresso scientifico 
suonerà oggi familiare, mentre può sembrare sorprendentemente lontana dalle 
tendenze che, nel corso del diciassettesimo secolo, porteranno all’elaborazione di una 
immagine meccanicistica del mondo, basata in modo sempre più esclusivo 
sull’osservazione empirica da un lato e sulla dimostrabilità matematica dall’altro. 
Non sorprende, dunque, che Bruno sia stato relegato ai margini  del nuovo discorso 
scientifico fino all’avvento della filosofia romantica, la quale pose nuova enfasi sui 
paradigmi mentali, propugnando una concezione della natura come processo 
vitalistico, il che sarebbe poi culminato nella teoria dell’evoluzione naturale. 
La concezione mistico ermetica di Frances Yates e le nuove prospettive
Frances Yates, mossa da un’evidente avversione nei confronti della scienza empirica 
moderna, sembrò ignorare quegli elementi che facevano di Bruno un prestigioso 
precursore della filosofia della natura di tipo romantico, volta com’era a tentare di 
esonerarlo da ogni significativo coinvolgimento con la scienza moderna. Pur avendo, 
dunque, la Yates contribuito agli studi bruniani in modo illustre e duraturo, avendo 
gettato luce su aspetti poco noti del pensiero del filosofo, quali i testi lulliani e l’arte 
della memoria, e avendo così aperto nuove, stimolanti aree di discussione, 
l’interpretazione offerta dalla studiosa inglese del rapporto di Bruno con la nuova 
scienza è per lo  più limitativa e di carattere fortemente negativo, tendendo a circoscrivere il discorso scientifico bruniano nell’ambito dell’occultismo e delle 
dottrine ermetiche. In questo modo, l’effettiva capacità da parte di Bruno di 
contribuire alle discussioni scientifiche del periodo, sulla base dell’osservazione delle 
nuove comete o della lettura dei testi copernicani, risulta sostanzialmente misconosciuta e sottovalutata. Persino la rivendicazione bruniana della libertà di 
indagine in campo filosofico e scientifico è stata ridotta dalla Yates a una semplice 
questione di integrità morale, priva di ogni connessione con la ricerca scientifica in 
quanto attività, che, secondo la studiosa inglese, sarebbe stata da Bruno osteggiata e 
derisa. In contrapposizione a questa visione a senso unico c’è chi azzarda una figura 
di Bruno dalla doppia immagine: un personaggio immerso nella realtà storica 
rappresentata dalle straordinarie innovazioni scientifiche del suo tempo, e un filosofo 
in grado di offrire un interessante contributo al dibattito teorico in atto ai nostri 
giorni.
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Hilary Gatti sottolinea che la posizione di Bruno nei confronti della scienza va a 
coincidere, sotto un punto di vista essenziale, con quella di Bacone: per Bruno sarà la 
crescita della nuova scienza a rappresentare il vero processo di riforma 
cinquecentesco, più rivoluzionario e radicale della controriforma cattolica, della 
riforma protestante e persino del neoplatonismo rinascimentale. La lettura della 
rivoluzione scientifica in questi termini sembra essere il tema comune che sottende 
gli ultimi tre dei sei dialoghi italiani composti a Londra tra il 1583 e il 1585.
6
Oggi ci aspettiamo che le scoperte della nostra scienza producano nuove terapie, 
nuovi vantaggi di tipo pratico, senza contemplare la possibilità che esse possano 
migliorare le nostre strutture politiche, le nostre pratiche religiose e le nostre 
convenzioni sociali. Era precisamente questa invece, la speranza di Bruno, e va 
riconosciuto, che da un punto di vista storico le sua aspettative sarebbero state ben 
presto deluse. Già agli inizi del diciassettesimo secolo, la netta distinzione operata da 
Bacone tra cause prime e cause seconde equivarrà ad un tipo di separazione di ambiti 
non previsto da Bruno. E’ vero che nella  Nuova Atlantide Bacone sembra aver 
modificato alquanto la sua posizione, poiché propone una nuova figura di scienziato 
che agisce anche da padre fondatore della società in cui vive, fungendo oltre che da 
scienziato professionista, da sacerdote, principe e consigliere; ma tale opera si 
presenta già come un’utopia, mentre, in quegli stessi anni, il dualismo cartesiano 
                                                
5
Hilary Gatti, Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento, op. cit., pp. 7-11
6
Ibidem, p. 270infliggerà un altro duro colpo a quell’unità di pensiero ancora sostenuta da Bruno; 
tanto che quando, alla fine del secolo, lsaac Newton dedicherà molto del tempo 
lasciato libero dalle ricerche scientifiche a quegli studi biblici e alchemici che stanno 
ora suscitando tanta attenzione, li relegherà tra carte private, tendendo a eliminare il 
riferimento a essi nelle pubblicazioni scientifiche che gli avrebbero procurato tanta 
fama. Oggi che l’indagine filosofica affronta il compito di colmare il divario apertosi 
agli albori dell’era moderna tra il soggetto e l’oggetto, la materia e lo spirito, il 
tentativo da parte di Bruno di porsi come il profeta di una nuova scienza, in cui il 
pensiero si muova dinamicamente verso il ricongiungimento con le vicissitudini di un 
universo infinito nelle cui forme sono assorbiti tutto il potere e l’ordine perfetto di 
Dio, ci può sembrare una posizione sconfitta, da un punto di vista storico, ma certo 
non priva di interesse. L’idea di una riforma morale e spirituale, oltre che intellettuale, viene a identificarsi con l’indagine sistematica del mondo naturale, dal 
momento che l’approfondimento della nostra comprensione dell’ordine insito nella 
sostanza infinita del mondo porterà anche, infine, alla scoperta del pozzo sacro, o 
della verità infinita.
7
                                                
7
Hilary Gatti, Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento, op. cit., pp. 291-292