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Il tetamento di Augusto (seconda parte)

di René Naba - 08/01/2012

   
   

Copertina della rivista statunitense “Time Magazine” del 22 agosto 2011, un mese segnato dalle sommosse nel Regno Unito, dalla crisi dell’indebitamento europeo, dall’insabbiamento atlantista in Libia, dalla degradazione della rilevanza economica degli Stati Uniti e dalla mattanza di Oslo.

Il comandante Massoud, Rafic Hariri, Benazir Bhutto, Hosni Mubarak, Zine el Abidine Ben Ali: la decapitazione dei principali perni dell'influenza occidentale in terra di Islam.

Dieci anni dopo il suo lancio con grande fragore, "la strategia dello shock e dello stupore" - “Shock and Awe” (1) – è giunta in paesaggio devastato, sia per i paesi bersaglio che per gli assalitori. Il bilancio delle perdite causate dagli occidentali in Afghanistan e in Iraq ha raggiunto il 22 agosto del 2011, secondo "una stima estremamente prudenziale, 225.000 morti e circa 365.000 feriti".

Secondo questo studio realizzato nella primavera del 2011 dai professori Neta Crawford e Catherine Lutz per conto dell'università Brown, il numero dei soldati uccisi assomma 31.741, di cui circa 6.000 americani, 1.200 soldati alleati, 9.900 iracheni, 8.800 afgani, 3.500 soldati pakistani oltre a 2.300 membri di società militari private, diventando così, per gli Stati Uniti, la guerra più assassina dai tempi del Vietnam, e probabilmente la più onerosa dalla Seconda Guerra Mondiale (2).

Il costo totale delle guerre condotte dagli Stati Uniti in Afghanistan, in Iraq e in Pakistan ammonterebbe alla somma astronomica di 3,7 trilioni di dollari. L'Iraq, da solo, sarebbe costato al bilancio degli Stati Uniti un trilione di dollari. Questa cifra non tiene conto del costo dei 90.000 soldati americani mantenuti sul posto durante il periodo di transizione. Né la Corea né il Vietnam erano costati tanto, ma la guerra del Vietnam (1960 –1975) era durata quindici anni e il corpo di spedizione americano era composto da cinquecentomila soldati (3).

Le guerre americane successive all’11 settembre 2011 sono costate più della Seconda Guerra mondiale (1940 –1945), fino a questo momento la più onerosa (2 trilioni di dollari rapportati a oggi). Con la sovrapposizione dei danni collaterali per oltre 200.000 civili iracheni rimasti uccisi, quasi un milione di feriti e tre milioni di profughi.

L’ipotonia del mondo arabo nei riguardi della geostrategia tettonica sospinta dagli attentati anti-americani dell’11 settembre 2001 e della collusione frontale che ha dovuto subire in Afghanistan e in Iraq contro i due più importanti focolai di percussione della strategia regionale dell'asse saudo-americano nella sfera arabo-musulmana ha sconvolto la tradizionale dirigenza araba. Ha promosso nel firmamento dell'iconografia internazionale Osama Bin Laden, capo di Al Qaida, l'organizzazione clandestina sovranazionale, la scintilla di questo sconvolgimento, come il suo compare Mullah Omar, mai a corto di carburante, il più celebre motociclista della storia dell'umanità a dispetto del suo handicap visivo, così come il dignitario sciita libanese Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, il suo emulo iracheno Moqtada al Sadr, il solo dirigente iracheno marcato da un triplo sigillo di legittimità - spirituale, nazionalista e popolare -, il solo dirigente iracheno di rilevanza nazionale a non avere abdicato a questi principi, patteggiato ancor meno con quelli che ritiene i suoi "nemici", contrariamente alle altre fazioni irachene.

Alla vista di questa ecatombe che dovrebbe ormai bazzicare l'America, non si parla tanto dello spettro del Vietnam quanto piuttosto di una sorte identica a quella dell'impero di Alessandro Magno, di cui la Mesopotamia fu il becchino. Alla vigilia dell'intervento americano in Iraq, George Bush Jr, riannodando le vecchie abitudini dei cowboy americani, aveva riproposto un gioco con 52 carte che illustravano i 52 dirigenti iracheni più ricercati dai suoi servizi. Ebbro della propria vittoria e fiducioso della loro cattura, Bush non aveva prestato attenzione al fatto che questo gioco di carte aveva ormai invertito il giro e che ricadeva sui protagonisti americani del conflitto.

La guerra anglo-americana contro l'Iraq ha provocato la distruzione di uno dei rari stati laici del mondo arabo, l'Iraq, e del binomio diplomatico franco-statunitense sul Libano, con il vuoto del potere presidenziale del solo paese arabo diretto da un presidente cristiano. Un precedente ricco di conseguenze per l’avvenire.

Il grande committente di questo "caos costruttore" è George Bush, già precedentemente oggetto di insegnamento nelle accademie diplomatiche e militari come perfetto contro-esempio di governo, oramai certo di togliersi di dosso la nomea poco invidiabile di "peggior presidente della storia americana", scacciato dall'immaginario mondiale dal giornalista iracheno Mountazar al Zayedi, il più celebre lanciatore di scarpe della storia dell'umanità, lo Spartaco dei tempi moderni.

Jacques Chirac, l'oppositore alla guerra in Iraq ma coinvolto nell'avventura americana del Libano, gode oramai, da parte sua, di una pensione lauta ma non paciosa nella precaria residenza del suo benefattore libanese. L'ex presidente francese che minacciava con i fulmini della Giustizia Internazionale gli assassini del suo amico miliardario, è, a sua volta, in frizione con la giustizia del proprio paese per alcuni affari in cui avrebbe ricevuto del denaro illecito per aver assunto responsabilità fittizie in impieghi fittizi finanziati totalmente dai denari sonanti dei contribuenti francesi.

Il “grande gioco” afghano per un “Grande Medio Oriente” si è rivelato calamitoso per i suoi iniziatori, sradicando i pilastri principali dell’influenza occidentale in terra d’Islam: il comandante Massoud Shah, il Leone del Panjshir in Afghanistan, i due vecchi ex primi ministri, Rafic Hariri e Benazir Bhutto, il sunnita libanese nel 2005 e la sciita pakistana nel 2007, due personalità collocate all’estremità dell’asse che doveva servire a facilitare l’avvento del “Grande Medio Oriente” entrambi ugualmente carbonizzati da un attentato, vittime rilevanti della contorta narrativa occidentale. Ancor peggio , nello stesso Libano - zona di liberazione della pressione americana sull'Iraq - , la scomparsa di Rafic Hariri è stata seguita dalla decapitazione dei suoi principali supporti mediatici sulla scena occidentale, il direttore del giornale An Nahar, Gebrane Tueni, e del giornalista Samir Kassir. Un massacro con la motosega che non sarebbe riuscito neppure al più metodico degli assassini seriali. Un risultato davvero sbalorditivo.

Sotteso a questo epilogo, c’è il grosso problema dello spostamento nella percezione che l'Occidente si fa della realtà orientale, particolarmente della visione che gli intellettuali occidentali si sono fatti di Benazir Bhutto, così come del comandante Massoud Shah o di Rafic Hariri, che permettono a ragione di poter parlare di psicanalisi. Benazir costituisce per loro, clinicamente, un fantastico e assoluto esotismo: la bella sultana senza veli, l'anti-burka, la guida dell’Harem politicamente loquace. Gli intellettuali occidentali hanno sviluppato su di lei una sorta di "narrativa sulla schiavitù volontaria".

Ereditiera di una dinastia politica il cui tragico destino è probabilmente unico al mondo - con quattro personalità assassinate di cui due ex primi ministri, record mondiale assoluto di tutti i tempi -, questa donna glamour dalla grande "modernità", invece di spingere verso una dinamica di cambiamento democratico del proprio paese e fornire un esempio per la lotta di liberazione della donna nel terzo mondo arabo-musulmano, si è riversata sul conformismo di una gestione burocratica che ha preso in prestito dalle società patriarcali i metodi più scalcagnati, abusando del proprio potere in disprezzo dei più elementari principi di saggezza politica.

Un spostamento identico si è verificato a proposito del Comandante Shah Massoud, ucciso in un attentato alla vigilia degli attentati anti-americani dell’11 settembre del 2001. Massoud era apprezzato dai soli francesi, i cui intellettuali di fama si pregiavano di averlo incontrato anche se in luoghi virtuali e solo nell'immaginario del narrante del racconto. Alunno del liceo francese di Kabul, di Massoud si dice che abbia fornito la propria luce ai servizi francesi nel labirinto afgano. Francia a parte, è stato per molto tempo quasi uno sconosciuto. Alla sua morte è stato elevato a martire della Libertà, allo stesso modo di Rafic Hariri in Libano, pur essendo uno dei principali finanziatori delle guerre tra le fazioni libanesi.

Il tropismo occidentale nei riguardi dell'Islam fa sì che ogni eminenza intellettuale disponga della propria "minoranza protetta": per il filosofo André Glucksmann i Ceceni (anche se il suo nuovo amico, il presidente Nicolas Sarkozy , è diventato il migliore amico occidentale del presidente russo Vladimir Putin), per Bernard Henry Lévy il Darfur (anche se la sua azienda familiare è coinvolta nella deforestazione della foresta africana) e per Bernard Kouchner i curdi, le truppe di complemento degli americani nell'invasione dell'Iraq. È come se queste eminenze grigie cercassero di compensare la loro ostilità alle rivendicazioni arabe, particolarmente quelle palestinesi, con un sostegno all'Islam periferico.

Vittima di un danno susseguente che risulta dal ribaltamento pro-americano del suo amico francese, l'eliminazione di Rafic Hariri (febbraio 2005) (4) è sopraggiunta nello stesso anno del decesso del suo protettore, il Re Fahd di Arabia, morto sei mesi più tardi nell'agosto del 2005, lo stesso mese in cui Mohamad Ahmadi-Nijad, il rappresentante dell'ala dura del regime islamico, era stato eletto alla presidenza della Repubblica iraniana. L'annuncio della fine della missione di combattimento dell'esercito americano in Iraq, il 21 agosto 2010, è giunto nel giorno dell’inaugurazione della centrale nucleare iraniana di Boucher. Sono coincidenze spiacevoli che risuonano come vittorie per i beneficiari.

Come se non fosse bastato, il Mondo arabo, una delle principali vittime collaterali della strumentalizzazione dell'Islam come arma di lotta politica contro il blocco sovietico - uno dei principali contributori alla liberazione dell'Europa dal giogo nazista e comunque il principale sconfitto della sua scommessa persa contro l'America: in una parola, lo scemo del villaggio - ha avuto un sussulto liberatorio, liberandosi nel 2011, in occasione del decimo anniversario dell’11 settembre, delle figure emblematiche della sottomissione all'ordine israelo-americano - l'egiziano Hosni Mubarak, il tunisino Zine el Abidine Ali - mentre la contestazione si diffondeva in una decina di paesi arabi, particolarmente in Siria, Libia, Yemen, Bahrein, risparmiando curiosamente l'Arabia Saudita, uno dei principali responsabili di questo caos.

Certo, Osama Bin Laden, al termine di dieci anni di bracconaggio, è stato ucciso il 2 maggio 2011 in Pakistan nel corso di uno spettacolare raid americano, come il suo successore in Yemen, Anouar Al Awlaki, mentre gli Stati Uniti si impossessavano durevolmente del petrolio iracheno, facendo sloggiare il loro alleato francese del posto. Ma i luogotenenti del capo di Al Qaida sono disseminati in tutto l’Arco dell’Islam, in Iraq, in Yemen, i due vecchi poli strategici dell'Arabia Saudita, in Somalia, nel Sahel, pedinati con più o meno di successo da corpi di commandos unicamente americani, dispiegati in quasi 120 paesi, con i costi finanziari corrispondenti.

Dotato di un budget di 9,8 miliardi di dollari, il SOCOM, (Special Operations Command) può contare su un organico di 65.000 effettivi, di cui l’85 per cento dai venti paesi del CentCom che coprono il “Grande Medio Oriente”, dall’Afghanistan al Marocco: Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Giordania, Kazakistan, Kuwait, Kirghizistan, Libano, Oman, Pakistan, Qatar, Siria, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen. Il resto del personale è schierato in America latina e nel sud-est asiatico.

In aggiunta, la perdita di 25 trilioni di capitalizzazione di borsa all'epoca della crisi bancaria del 2008 a causa dei fondi speculativi gestiti da esseri senza scrupoli sullo stile di Robert Madoff – in ogni caso un notabile dell'establishment americano -, abbinata tre anni più tardi alla crisi dell'indebitamento europeo e alla degradazione della rilevanza economica degli Stati Uniti - un unicum negli annali economici -, favorendo così l’ascesa al potere dei fondi sovrani del sud - con la Cina nel ruolo di arbitro - hanno reso davvero fragili le economie occidentali, mettendo i paesi occidentali su una posizione ancora più difensiva della Cina, che gestisce la strategia dello yuan per poter instaurare una nuova moneta di riferimento internazionale al posto del dollaro, riuscendo ad aggirare l'Europa in Africa, soppiantandola, senza colpo ferire, nella sua riserva di caccia (5).

Certo, quarantadue anni di cooperazione strategica con gli Stati Uniti sono sfociati nella giudeizzazione quasi completa di Gerusalemme, nella colonizzazione quasi totale della Palestina, nell'implosione dell'Iraq e nella perdita del potere sunnita a Baghdad, nello smembramento del Sudan per la pianificazione di un’enclave pro-israeliana sul percorso del Nilo, nell'implosione della Libia, senza che per questo l'Arabia Saudita non debba rimettere in discussione la propria collaborazione col Grande Protettore di Israele, la cauzione da versare per tutti i diritti passati.

E il migliore alleato dei paesi occidentali contro il nazionalismo arabo e il suo partner essenziale nell'implosione dell'Unione Sovietica – con la guerra dell'Afghanistan - è, paradossalmente, il figlioccio di uno dei fondatori della confraternita dei Fratelli Musulmani, Tareq Ramadan, la figura più stigmatizzata dagli intellettuali più pro-americani della scena europea, come testimoniano le imprecazioni quasi quotidiane di Santa Catherine Fourest contro il "Fratello Tariq”.

Ma l'inverno 2011 è germogliato in una dolce "primavera araba" e ha prodotto un'estate omicida per il campo occidentale.

La prima grande contro-iniziativa dell'alleanza atlantica in un'operazione diretta contro un paese del contesto arabo africano, l'insabbiamento della NATO in Libia, concomitante allo sviamento della sollevazione libica in un regime cripto-islamico, alla carneficina xenofoba di Oslo (luglio 2011), alla repressione poliziesca delle sommosse del Regno Unito (agosto 2011), alla crisi dell'indebitamento europeo sancito dalla pulizia di tre primi ministri dell’eurozona, Georgos Papandreou (Grecia), Silvio Berlusconi (Italia) e Jose Luis Zapatero (Spagna), ha macchiato di caducità il ruolo di prescrittore morale dei paesi occidentali nella denuncia delle contestazioni popolari a Damasco, Teheran, Pechino e altrove.

La controffensiva portata dalle petromonarchie del Golfo contro il flusso delle contestazioni arabe, così come la strumentalizzazione del Tribunale speciale per li Libano a proposito dell’assassinio di Rafic Hariri, hanno permesso la destabilizzazione della Siria, anello essenziale del dispositivo antioccidentale regionale, in una guerra di sostituzione contro l'Iran. Non hanno comunque impedito alla Repubblica islamica, sotto embargo da trent'anni, di accedere al rango di "potenza nucleare", né all'America di essere costretta a ordinare il suo ritiro dall'Iraq.

Il veto brandito dagli Stati Uniti a proposito dell’ammissione della Palestina all’ONU, la rinuncia degli Stati Uniti di fronte a Israele per il gelo della colonizzazione strisciante della Palestina, sovrapposto all'effetto cumulativo e corrosivo dell'alleanza contro-natura tra Israele e le destre estreme europee compiuta in modo sintomatico dalla carneficina di Oslo, ha sigillato l'impostura morale dell'alleanza dei discendenti delle vittime del genocidio hitleriano con gli eredi spirituali dei loro vecchi boia, e sancito allo stesso tempo il fallimento morale dell'Occidente, assieme a cinque secoli di egemonia assoluta occidentale sul resto del pianeta.

Un ex alcolista riconvertito al messianismo evangelico, un "rinato" che gioca a fare l'angelo purificatore, a rischio di fuorviare il suo paese e di mettere in gioco lo status di prima potenza planetaria di tutti i tempi, un militare impetuoso ebbro di rumore e di furore, "borderline", pantagruelico, un presidente di un paese prescrittore di un ordine morale trasformato in squatter abusivo di lusso, un pensionante postumo dei propri amici assassinati (6).

Anche a costo di esasperare il proprio campo, non avrebbe potuto sognare una tripletta migliore per la promozione della democrazia, per la difesa del mondo cosiddetto "libero" e la sopravvivenza dei propri seguaci in tutto il Mondo.

Bis repetita placent: chi non ha riletto i classici? "Non bisogna superare l'Eufrate. Al di là dell'Eufrate, è il campo degli avventurieri e dei banditi." Il Testamento di Augusto.

Note:

1. Dottrina della guerra post-sovietica formulata da Harlan Ullman e James Wade nel 1996 per conto della Difesa nazionale degli Stati Uniti, “Shock and awe” è una dottrina militare basata sull’utilizzo di una potenza soverchiante e di spettacolari manifestazioni di forza per paralizzare l'avversario nella percezione del campo di battaglia e per distruggere la sua volontà di battersi.

2. I civili pagano il tributo più pesante: 172.000 morti (125.000 iracheni, 35.000 pakistani e 12.000 afgani. I ricercatori in compenso non hanno preso in considerazione il numero totale degli insorti eliminati, tra 20.000 e 51.000. Circa 168 giornalisti e 266 lavoratori umanitari sono stati poi uccisi da quando gli Stati Uniti si sono addentrati in questi paesi nella "guerra al terrore". Questi conflitti hanno generato un flusso consistente di più di 7,8 milioni di profughi, soprattutto in Iraq e in Afghanistan. Secondo il sito Internet indipendente icasualties.org, così come per antiwar.org, il 16 Agosto 2011 il bilancio delle perdite in Iraq e Afghanistan assommava a 7.453 soldati morti, di cui 74 francesi in Afghanistan. A ciò si aggiunge il numero dei 430 suicidi tra i militari in attività, secondo il Department of Veteran Affairs.

3. “The Price of Liberty: Paying for America’s Wars” (“Il prezzo della libertà: il costo delle guerre dell’America”) di Robert Hormats, alto responsabile della banca d’affari Goldman Sachs.

4. La stratégie chinoise du yuan ruine les finances occidentales, Le Monde, 8 agosto 2008.

5. Sulla strategia finanziaria della Cina, , vedi Géo-économie mondiale : Un basculement stratégique.

6- Per uno studio documentato su questo periodo, “Hariri de père en fils, hommes d’affaires, premiers ministres”, René Naba Harmattan, 2001. Sul capovolgimento della politica francese nei confronti degli Stati Uniti dopo la disputa sull'Iraq, vedi Richard Labévière, "Il grande ribaltamento Baghdad Beirut", Editions Seuil, ottobre 2006.

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Fonte: Le testament d’Auguste 2/2

16.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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