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Che cos’è la Natura?

di Francesco Lamendola - 08/01/2012

 

 

Che cos’è la Natura?

La parola “natura” viene dal latino ed è il participio futuro del verbo “nasci”, “nascere”: significa, pertanto, “quello che sta per nascere”, “ciò che è sul punto di nascere”.

Vi è dunque, nella parola, il concetto di una realtà non statica, ma dinamica; di una realtà non solo attuale, ma potenziale e futura. E in questo senso la adopera anche il grande poeta-filosofo epicureo Lucrezio, nel suo capolavoro «De rerum natura».

A sua volta, “natura” è la tradizione del vocabolo greco “physis”, dalla radice “phyo”, che significa “genero”, “cresco”: per i Greci, dunque, la natura è l’insieme delle cose che vivono, nascono, crescono e muoiono (senza peraltro distinguere quali cose propriamente “vivano” e quali semplicemente “esistano”).

“Fisici” o “fisiologi” sono chiamati da Aristotele i primi indagatori della natura, ossia gli esponenti della scuola di Mileto, in Asia Minore: Talete, Anassimandro, Anassimene; da lui stesso verrà poi distinta una “filosofia prima”, ossia la metafisica, e delle “filosofie seconde”, tra le quali si colloca lo studio della natura o “filosofia naturale”.

Questo significa che, nella cultura occidentale, la filosofia nasce insieme allo studio della natura, anzi, nasce come indagine sul mondo della natura, sul suo movimento, sul suo divenire: i primi filosofi greci sono anche, secondo il nostro modo di pensare, i primi scienziati; essi, da un lato, vedono il mondo “pieno di dèi” (l’ilozoismo di Talete), dall’altro sono ben decisi ad analizzare le cause dei fenomeni secondo un approccio rigorosamente razionale.

Nemmeno Platone aveva operato una vera distinzione tra la metafisica e la filosofia della natura; nel «Timeo» egli delinea un grandioso affresco sull’origine del mondo che è, al tempo stesso, ricerca delle cause prime (l’opera del divino artefice, il Demiurgo) e descrizione degli stati della materia (i cinque poliedri regolari come struttura di base di tutto ciò che esiste nelle forme del fuoco, dell’aria, dell’acqua, della terra e dell’etere: tutti gli esseri viventi si formano a partire da essa (cfr. il nostro precedente articolo: «Il mistero dei poliedri regolari nella teoria platonica del “Timeo”», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 10/10/2011).

La distinzione è presente, come si è visto, in Aristotele, e più ancora nei suoi discepoli, ma non nel senso, tutto moderno, tra filosofia e scienza: per Aristotele, infatti, la metafisica è la filosofia prima e anche, nello stesso tempo, scienza assoluta.

Lentamente, mano a mano che la filosofia prima incominciava a perdere il consenso dei pensatori, la filosofia naturale si è distaccata dal ramo della filosofia ed è divenuta una scienza autonoma, specie con il naturalismo rinascimentale di Telesio, Bruno e Campanella e poi, soprattutto, con la cosiddetta rivoluzione operata da Francis Bacon, Galilei, Cartesio e Newton; infine, con Kant, la metafisica è stata definitivamente spodestata dal suo trono e relegata in soffitta, mentre la scienza naturale, reciso anche l’ultimo legame con colei che l’aveva generata, si è data una struttura del tutto indipendente, rivendicano per sé sola la “verità” del conoscere.

Oggi noi diamo quasi per scontato che la conoscenza scientifica, intesa nel senso galileiano e cartesiano, sia la modalità del conoscere fondamentale; la sola che, trovando riscontro oggettivo nella realtà delle cose, mediante l’esperimento e la formulazione di leggi, possa ambire allo statuto di conoscenza realistica e “vera” (le due cose appaiono ormai intercambiabili), mentre tutte le altre forme di conoscenza, ivi compresa quella filosofica (magari ridotta ad analisi logica del linguaggio) non appaiono altro che speculazioni più o meno relative, più o meno fantasiose.

Di conseguenza, diamo anche per scontato che “natura” sia l’insieme delle forze, dei fenomeni e delle qualità del mondo visibile, considerando quest’ultimo concetto come sinonimo di “realtà”, sic et simpliciter: il mondo che vediamo è la realtà e la realtà è il mondo che vediamo.

Per la cultura moderna, una piano di realtà soprannaturale non esiste, così come non esiste un piano di realtà preternaturale: il materialismo non è più una scuola filosofica fra le tante, ma il sottinteso universalmente ammesso di qualunque discorso sulla realtà.

Tuttavia, a questo punto ci potremmo chiedere: siamo proprio sicuri che una tale impostazione, che identifica la realtà visibile, esperibile con i sensi e indagabile con gli strumenti della scienza materialista, sia la realtà tout-cort, la realtà in quanto tale?

Siamo sicuri che non resti fuori da una tale prospettiva una bella fetta di realtà, ossia quella che non si vede, che non si esperisce con i sensi, che non si può sottoporre a verifica sperimentale e nemmeno formalizzare in leggi e ipotesi matematiche; e che tuttavia gli antichi, così come i medievali, consideravano il cuore vivo e pulsante della realtà, dal quale tutto ciò che esiste e che cade sotto i nostri sensi viene generato?

Forse è giunto il momento di riconsiderare la vicenda del concetto di “natura”, liberarlo dalle incrostazioni illuministe e positiviste che hanno fatto il loro tempo e appartengono ad una fase ben precisa della storia del pensiero occidentale, e tornare a pensarlo così come lo pensavano Platone, Aristotele, Agostino e Tommaso d’Aquino, ma anche Leibniz, Pascal, Berkeley, Kierkegaard e tutto quel filone minoritario, ma niente affatto insignificante, del pensiero moderno, che non ha ripudiato e cancellato la dimensione spirituale; e che, fra l’altro, sembra trovare sempre più significative conferme proprio nelle più recenti acquisizioni della scienza moderna, a cominciare dalla fisica delle particelle sub-atomiche.

Alla domanda: «che cos’è la natura?», quindi, non dovremmo aver fretta di rispondere: «l’insieme dei fenomeni e delle forze esistenti e osservabili a livello fisico», ma pensare ad una risposta che tenga conto di tutta quella porzione del reale che non può essere direttamente osservata e nemmeno ipotizzata o dedotta in senso materialistico, ma che funge da substrato, da sostegno e, nello stesso tempo, da causa efficiente e da causa finale al mondo dei fenomeni fisici, degli enti fisici e di tutto ciò che possiamo vedere, toccare, misurare e sperimentare.

La natura, dunque, è molto di più della somma dei singoli enti materiali, della loro azione reciproca e dei rapporti che li legano gli uni agli altri; la natura non è soltanto la successione dei minerali, delle piante, degli animali, dei pianeti, delle stelle, delle nebulose, ma è la manifestazione di una realtà profonda, invisibile, luminosa: secondo Heidegger, infatti, “physis” è imparentata con “phàos”, “luce”, essendo la luce un attributo di ciò che vive.

Così riassumeva la questione Domenico Tricerri (in: «Meraviglie della natura», Edizioni Paoline, Vicenza, 1967, pp. 9-11):

 

«Varie e discordi sono le definizioni che gli scienziati danno della Natura; ma tutti convengono nel dire che è qualche cosa di finito.

William Wollaston si domanda: “Che cosa è la natura, da attribuirle opere così meravigliose?”. E risponde: “Essa non è che u’astrazione gettata come polvere jei nostri occhi per impedirci di vere le opere di una Causa Prima intelligente” (cit. Torcoletti, “Alla ricerca di Dio”, Milano, S. Lega,  1925, p. 17).

G. Buffon a sua volta scrive: “La natura è il sistema delle leggi stabilite dal Creatore per l’esistenza delle cose e la successione degli esseri. La natura non è una cosa…, non è un essere, ma si può considerare come una potenza che abbraccia tutto.  Questa potenza è la parte della potenza divina che si manifesta; è un’opera sempre viva, un artefice che lavora senza interruzione, un agente che sa tutto impiegare al raggiungimento del suo scopo.  Il tempo, lo spazio e la materia ne sono i mezzi; l’universo è il suo soggetto; il moto e la vita sono il suo scopo; i fenomeni del mondo  suoi effetti; le forze di attrazione e di repulsione i suoi principali strumenti;  il calore e le molecole organiche attive i suoi principali principî attivi per la formazione e lo sviluppo degli esseri” (G. Buffon, “Histoire universelle”, X, 2).

Il Lamarck dicendo che la natura “è il prodotto meraviglioso della volontà divina” e che bisogna concepirla “come un tutto formato dalle sue parti a uno scopo conosciuto dal suo Fattore” (G. S. A. Monet de Lamarck, “Hist. Nat. Des animaux  sans vertèbres”, I, Paris, Balliére, 2 ed., 1835, p. 178), si avvicina già alla  definizione realistica ed oggettiva del P. Secchi  che dice: “Ciò che noi chiamiamo la Natura non è altro che il lavoro dell’arte del Supremo Artefice” ossia l’intera creazione.

La Natura insomma - dice il Premoli - è tutto ciò che è nell’universo” (Palmiro Premoli, “Nomenclatore scolastico”, voce “Natura”), diviso in regni e dotato di forza generatrice d i leggi.  I tre regni nei quali l’universo è divido, diconsi regni della natura; le forze che producono tutti i cambiamenti che avvengono in essi,  distruggendo alterando alcuni esseri e generandone altri, diconsi forze della natura;  le leggi fisse ed immutabili secondo le quali gli esseri si costituiscono, operano e si distruggono, si dicono leggi della natura; il succedersi continuo di generazioni e alterazioni  per cui nel tramonto delle cose vediamo sorgere altre cose  che le sostituiscono, dicesi corso della natura, a somiglianza del corso di un fiume, che alle acque che vanno al mare  sostituisce quelle che vengono dal monte, ed è sempre in moto.

La Natura dunque non è una pura astrazione, non è un semplice sistema di leggi, non è soltanto  un ordine di cose o una potenza che abbraccia tutto; ma è “il complesso di tutti gli esseri che sono nel mondo, dotato di forze e di leggi per conservarsi e per rinnovellarsi” (. Può tuttavia dirsi una astrazione e una personificazione  nel senso che noi siamo portati a concepire la Natura come  un essere pensante ed operante, alla maniera  dei poeti che danno anima e vita anche alle cose che non l’hanno.  Con linguaggio abbastanza comune, infatti, noi diciamo: “la natura è bella, la natura opera, la natura si rinnova, la natura parla, la natura distrugge continuamente gli esseri a cui dà la vita”. La contrapponiamo a Dio e diciamo: “Dio e la Natura”; la contrapponiamo all’uomo e diciamo: “La Natura e l’uomo”; la contrapponiamo all’arte e diciamo: “L’Arte imita la Natura”; anzi la contrapponiamo a se stessa e diciamo: “la natura e le sue forze, la natura e le sue leggi, la natura e i suoi effettui”; concepiamo cioè la Natura come un gran tutto operante e vivente.

Ne è bellissimo esempio il sonetto “Natura ed Arte” dello Zanella:

 

“Disse Natura all’Arte: “Io tutto quanto

nel mondo appare, dall’atomo alla stella,

dall’elefante al fiorellin che abbella

della ridente primavera il manto,

 

tutto creo, tutto avvivo,. E tu col canto

angustio e con la tacita favella

de’ tuoi colori, temeraria ancella,

di meco gareggiar t’arroghi il vanto?”

 

L’Arte rispose: “Se tu crei, non curi

L’opere tue: di fiori ammanti il campo,

poi con rapida vece a noi li furi,

 

qual se i tuoi patti abbia tu stessa a scherno;

io colgo a volo un tuo fuggiasco lampo,

e con la rima e col pennel lo eterno.”»

 

Già; Giacomo Zanella: un grande filologo, un grande poeta: una voce ormai quasi dimenticata, che molti studenti liceali e perfino universitari non hanno mai avuto occasione di incontrare nel loro percorso di studi, pur avendo affrontato, o creduto di affrontare, tutto ciò che è stato di maggiore rilevanza letteraria e cultuale nel corso del nostro Ottocento.

Zanella, riflettendo con una sorta di sgomento sul mistero del cosmo, per esempio davanti a una conchiglia fossile poggiata sul suo tavolo, sapeva, sentiva, che la natura è solo la manifestazione visibile della potenza luminosa dell’Essere; e che limitarsi al suo studio quantitativo e descrittivo, come se ciò esaurisse il campo del reale, significa escludere l’essenza ultima del mondo…