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Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente…

di Mario Grossi - 08/01/2012

Lista di ciò che fa riconoscere … il mostro

È a favore del voto per alzata di mano
Prende ostaggi o trova naturale che se ne prendano
Organizza la delazione
Difende la violenza
Non ride mai

Charles Dantzig

 

Proprio nel momento in cui è divampata, sul web, la polemica (a seguito dell’omicidio a Firenze di due senegalesi e con l’accusa a CasaPound di essere incubatore di quel crimine) sulle liste di proscrizione, quegli elenchi che, palesemente o occultamente, additano a reprobi coloro che vi compaiono (nel caso specifico, tutti quei giornalisti che hanno sottoscritto nel passato una petizione per la libera espressione di tutti), mi è tornato alla mente un libro che avevo letto qualche mese fa.

Proprio in questo momento è interessante riprenderlo in mano per meglio specificare il senso della lista, già indagato nel recente passato da Umberto Eco nel suo Vertigine della lista, di cui quella di proscrizione è chiaramente una sottospecie.

Può aiutarci, oltre al divertimento che si prova nel leggerlo, l’Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente di Charles Dantzig, edito da Archinto, che si propone già dal titolo in tutta la sua completezza.

Il libro è una vera e propria enciclopedia, costruita per capitoli che mettono insieme delle liste compilate dall’autore su argomenti miscellanei: luoghi, popoli, cose, familiari e parenti, nomi, parole, paragoni, in un minestrone caotico e divertente, che mescola tutto e non parla di niente.

Si scopre un primo elementare elemento, da questa lettura: la lista può essere un elenco di nomi o di cose o di luoghi, ma può essere un elenco di nomi con commenti o ancora un elenco di giudizi o di sensazioni, è un oggetto assai più variegato e complesso di quanto appaia, e non può essere letto con superficialità.

Alcuni esempi chiariscono.

Nella lista degli “uomini più ridicolmente vestiti al mondo” si legge solo una lista di nomi:

«David Beckham, Silvio Berlusconi, David Bowie, Fidel Castro, Johnny Depp, John Galliano, Brad Pitt, qualsiasi rapper francese in tuta bianca».

Nella lista “sono stati belli per una settimana”, ai nomi sono aggiunti dei commenti:

«Il principe William d’Inghilterra. Si è equinizzato. L’infante di Spagna Filippo, principe delle Asturie. Sembra un bravo vecchietto che sonnecchia seduto alla terrazza di un caffè. Mohammad VI del Marocco. È incredibile come la volgarità del potere si sia fatta strada sul suo volto, appesantendolo, gonfiandolo, rimpicciolendo gli occhi che ora sembrano occhi di serpente. Jude Law. Dopo i trentacinque anni, l’inglese carino comincia spesso a somigliare a uno stalliere. Vincent Pérez. Vincent chi?».

Nella lista del “dandismo” sono elencati giudizi e sensazioni:

“… Il dandismo è la provocazione della vergogna. Un dandy è spesso il figlio di un duca in rovina o il figlio di un custode che ama la propria famiglia e soffre nel vedere che essa non vale nulla.

L’infanzia è l’età dei creatori. Il dandismo è adolescenziume”.

 

Da questo miscuglio informe, che ha il pregio di poter essere letto saltando da un punto all’altro del libro, insieme a tante spigolature, chicche, slogan, affiora un piacere sottile e coinvolgente che rende il lettore protagonista attivo e che fa nascere una riflessione sul significato della lista.

 

La lista è la forma più semplice e primordiale di scrittura, come può essere ad esempio la lista della spesa o dei regali da fare per il Natale incombente.

Esiste dalla notte dei tempi, come testimoniato ad esempio dal Codice di Hammurabi.

 

La lista è un’opera basale, fondante, tanto che ogni cosmogonia è, in buona sostanza, una lista: i sette giorni della Creazione sono un elenco delle cose che affiorano dall’indistinto e prendono forma.

La Repubblica Italiana si fonda sulla sua Costituzione, una lista. Così come la sua lingua è basata sull’alfabeto che, guarda caso, è una lista di vocali e consonanti. Come pure una lista sono le regole della grammatica.

In altri ambiti la lista compare sempre e comunque come spina dorsale attorno a cui ruota tutto. Le regole monastiche, i comandamenti, i precetti per la religione. Il codice penale e civile per l’amministrazione della giustizia. La dichiarazione dei redditi, il conto economico o lo stato patrimoniale di una società sono anch’essi un elenco. Gli album di figurine della Panini, il Guiness dei primati, la Storia, le Scienze, le conquiste amorose.

E si potrebbe continuare all’infinito.

 

La lista è uno specchio di chi la scrive ed è pertanto assolutamente soggettiva (sia che il soggetto sia individuale o collettivo). È un oggetto poi che, anche quando appare chiuso, definito nella sua totalità, è una realtà aperta, nel senso che, a torto o a ragione, può sempre offrire la possibilità di un’aggiunta. È quindi un motore instancabile per il lettore, che si fa parte attiva, e non solo per l’estensore.

La lista ha dunque un carattere di pericolosità perché è stimolo costante ad agire, allungandola con aggiunte, ed è stimolo all’emulazione. Ognuno di noi, ne può produrre di sue, oppure può decidere di utilizzare le altrui, talvolta per fini perversi.

La lista infine è la volontà classificatoria di elencare, nel tentativo di mettere ordine nel proprio caos interiore, perché non si hanno i mezzi per affrontarlo direttamente. È una risposta facile e semplificatoria a un quesito complesso, una scorciatoia castrante e allo stesso tempo un moltiplicatore delle nostre ansie (ogni nuova aggiunta, nell’illusione di chiarire meglio il panorama, lo complica a dismisura allargando il problema invece di circoscriverlo). È una litania, un mantra che tenta di depotenziare il pensiero razionale, a favore di una sedazione decerebrata che si sfoga nella ripetizione ossessiva di nomi e di azioni stereotipate che cercano di fissare un canone a un mondo che non ne è informato.

La lista ha questo pericoloso e affascinante duplice carattere, è fondamento e perdizione, fisiologia fondante e patologia disgregante.

Da un lato, nella sua ingenua proposizione, la lista di proscrizione, da cui sono partito, è volontà salvifica di porre un confine tra i sommersi e i salvati, un Giudizio Universale che tenta di arginare le orde di Gog e Magog, senza però riuscirci. È la costruzione della Grande Muraglia che crea l’illusione, a coloro che se ne sentono protetti, di dormire sonni tranquilli.

Non saranno i 144.000 di Geova che si salveranno ma un numero che non ci è dato sapere, forse non si salverà nessuno, oppure tutti quanti.

Dall’altro, è l’ingenua riproposizione dei tribunali rivoluzionari che, in base ad un canone soggettivo, e sempre aggiornato, tentano di tagliar teste fino al giorno in cui, splendida aurora, saranno rimasti solo i puri, i senza macchia, i servitori indefessi di Lei: la Rivoluzione.

A rendere fosco quest’auspicio, e la lista conseguente, è la consapevolezza che ci sarà sempre un Robespierre ulteriore, più rivoluzionario del precedente, che ne estenderà il criterio all’infinito fino  all’autodecapitazione.

La lettura di questo libro intrigante può aiutare i novelli Robespierre a ritrovare il naturale e fisiologico senso della lista, ripudiandone la patologia.