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Scrittore e (presunto) killer. La doppia vita di Boris Vian

di Stenio Solinas - 08/01/2012


Nel 1959, Boris Vian fu ucciso da Vernon Sullivan, il più incredibile caso di omicidio-suicidio-resurrezione della letteratura. Nella seconda metà degli anni '40, scritto e fintamente tradotto dal primo, ma firmato con il nome del secondo, era uscito un romanzo giallo di scuola americana, J'irai cracher sur vos tombes, Sputerò sulle vostre tombe.
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Era la storia di un killer negro-bianco che aveva morte, sesso e violenza come laica trinità. Vian non era mai uscito dalla Francia, per non dire dall'Europa, ma aveva facilità per le lingue e una fidanzata che sapeva bene l'inglese, a guerra finita si era trasformato in una sorta di cicerone per militari e intellettuali anglosassoni in giro e in cerca di Saint Germain-des-Pr´s, era un patito del jazz e un lettore dell'hard boiled alla Chandler e alla Chase.
Il romanzo ebbe un successo clamoroso, tanto quanto fallimentari risultarono quelli che, più o meno in contemporanea, apparivano con il suo vero nome e lo stesso Vian si trovò come prigioniero di questo suo eteronimo. A completare il quadro, ci si mise un assassino reale, strangolatore della propria amante in un albergo a ore. Sul letto, a fianco del cadavere, la polizia aveva trovato una copia di J'irais cracher sur vos tombes e la stampa si era scatenata: e se il vero killer, almeno come mandante morale, fosse stato l'autore del libro? E se questi non fosse stato altro che il suo traduttore?
All'inizio degli anni '50, l'accoppiata Vian-Sullivan sembrò esaurirsi. Il primo continuava a non vendere una copia, l'ultimo romanzo del secondo, Elles se rendent pas compte, poche centinaia, dopo che processi e polemiche avevano contribuito a minare la salute, la reputazione e il portafoglio dell'inventore di quella doppia identità. Aveva il cuore fragile, Boris, fin dall'infanzia, e questo trasformava in rischio persino il suo suonare la tromba per quel jazz tanto amato. Sembrava anche lui un negro-bianco, pallido e fragile, ma il pubblico lo intimidiva e sulla scena la sua timidezza aveva qualcosa di gelido. Decise allora che forse il cinema avrebbe potuto riportare in vita quel successo clamoroso degli esordi, e cominciò a lavorare a una sceneggiatura di J'irai cracher sur vos tombes. Vendette i diritti, pasticciò sui contratti, il film alla fine si fece, regia di Michel Gast, con Christian Marquand e Antonella Lualdi interpreti principali, ma non era quello che lui avrebbe voluto e intanto il produttore aveva deciso di fare a meno della sua collaborazione. Dopo molte esitazioni, andò comunque alla proiezione privata prevista per la sera del 23 giugno 1959. Un infarto se lo portò via in platea, e ci fu chi disse che Lee Anderson, il killer del film e del romanzo, era il colpevole di quella morte... Negli anni successivi, la fama di Vian sarebbe andata alle stelle e il suo alter ego Sullivan ridotto a puro gioco d'invenzione.

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La mostra «Boris Vian» (a cura di Anne Mary, Bibliothèque National de France, catalogo Gallimard, fino al 16 gennaio) racconta questo incredibile caso e molto altro ancora, perch´ Vian fu paroliere, cantante, musicista, direttore artistico, autore di teatro e di cabaret, giornalista. Fotografie, manoscritti e prime edizioni, copertine di dischi, manifesti cinematografici, illustrano una personalità complessa, discreta e ribelle, allegra eppure malinconica, nella consapevolezza di un'esistenza condannata a essere breve.
Da quella morte, più di mezzo secolo fa, periodicamente ci si interroga sulla legittimità del suo successo postumo e sulle ragioni del continuo interesse che a ogni generazione si rinnova. Chi lo considerava un fenomeno di moda degli anni '60, nei '70 lo collegò a una certa ondata protestataria (Le deserteur era una delle sue canzoni pacifiste più famose) e negli '80 a una componente ludica e insieme pedagogica... La realtà è che quando un autore dura così tanto nel tempo possiede un accento senza tempo, quindi sempre e comunque riconoscibile.
Dei suoi romanzi mai apprezzati finch´ visse, L'´cume des jours resta un grande libro, così come L'arrache-coeur, mentre Vercoquin et le plancton vale ancora come testimonianza di un'epoca; le sue canzoni hanno segnato compositori come Gainsbourg, interpreti come Serge Reggiani e Henri Salvador; la sua attività di critico musicale, e più in generale di cronista-protagonista dell'esistenzialismo del secondo dopoguerra, resta esemplare. In meno di quarant'anni di vita, Vian passò come una folgore e sparò tutti quanti i fuochi d'artificio che aveva a disposizione, ben sapendo che non ci sarebbe stato tempo per esplosioni successive. Da alcuni emana ancora l'aura geniale di un'esistenza consapevolmente bruciata.