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Via dall’Afghanistan: trattativa allo scoperto tra Usa e Mullah Omar

di Massimo Fini - 09/01/2012


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Nelle more della crisi economica mondiale è passata quasi inosservata una notizia che potrebbe avere sviluppi clamorosi.
Zabibullah Mujiahid, portavoce del Mullah Omar, il leader storico dei Talebani, ha reso noto di aver raggiunto un accordo preliminare col Qatar per aprire a Doha una sede diplomatica dell’Emirato islamico d’Afghanistan (così era denominato l’Afghanistan nei sei anni, 1996-2001, in cui fu governato dai Talebani). Recita il comunicato: «Siamo ora pronti ad aprire un ufficio politico oltremare al fine di arrivare a un’intesa con la comunità internazionale. A questo riguardo abbiamo raggiunto un accordo preliminare col Qatar». Cosa significa? Che le trattative più o meno segrete che gli americani stanno conducendo da due anni con i Talebani per trovare una «exit strategy» dignitosa dall’Afghanistan, dove sono in guerra da dieci anni, diventano ora ufficiali e che gli Stati Uniti, dopo i vari tentativi falliti di prendere accordi con qualche scartina del movimento talebano, si sono decisi a «bere l’amaro calice» e cioè di trattare direttamente col Mullah Omar, il capo indiscusso degli insorti, sul quale pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari ma che è anche l’unico che ha l’autorità per fermare la guerriglia.
La storia delle trattative comincia nel 2008 quando in Arabia Saudita, sotto il patrocinio del re Abdullah, uomini di Omar si incontrarono con emissari del presidente-fantoccio dell’Afghanistan, Hamid Karzai. In quell’occasione Omar fu durissimo: promise a Karzai solo un salvacondotto per lui e la sua cricca. Karzai sarebbe stato ben felice di filarsela negli Stati Uniti con la montagna di soldi rapinati al suo Paese. Ma gli americani glielo impedirono e cercarono, con le elezioni-farsa del 2009, di trovare un altro presidente, più presentabile, ma non lo trovarono. Ultimamente Omar si era fatto più morbido con Karzai e gli aveva proposto due opzioni. 1) Tu sei per gli americani il legittimo presidente dell’Afghanistan, democraticamente eletto. In questa tua veste pretendi che le truppe straniere lascino immediatamente il Paese. 2) Unisciti a noi, alla guerriglia, riscatterai dieci anni di collaborazionismo con gli americani e poi potrai avere ancora un ruolo in Afghanistan. Karzai era lì lì per per accettare («Se le truppe straniere continuano a comportarsi con questa arroganza finisce che mi alleo con i talebani»). Questo ha convinto gli americani a rompere gli indugi e a trattare direttamente col Mullah Omar, tagliando fuori Karzai (che non è stato messo nemmeno al corrente delle trattative in Quatar).
La trattativa conviene a entrambe le parti, la situazione è infatti di stallo: i talebani, che godono ormai dell’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione che non ne vuole più sapere degli stranieri, hanno riconquistato l’80% del Paese, ma non sono in grado, per l’enorme sproporzione militare delle forze in campo, di prendere le grandi città. Gli americani, con la crisi economica, non possono più permettersi di spendere 40 miliardi di dollari l’anno per una guerra senza senso né scopo che può durare all’infinito («la guerra che non si può vincere»).
La trattativa si presenta difficilissima. Gli americani vogliono comunque mantenere in Afghanistan basi aeree e un contingente di terra sia pur molto ridotto. Il Mullah Omar ha posto come condizione che alla fine delle trattative non un solo soldato straniero rimanga sul suolo afgano. Non ha combattuto metà della sua vita (dieci anni contro gli invasori sovietici, due contro i «signori della guerra», altri dieci contro gli occupanti occidentali) per vedersi imporre, alla fine, una «pax americana».