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Quel magico ponte fra realtà e illusione

di Marcello Veneziani - 09/01/2012


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Qual è la pittura che meglio esprime la vostra visione del mondo, della vita e del pensiero? Lancio questo referendum artistico-filosofico sulla pittura che ciascuno porta negli occhi e nel cuore.
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Per aprire le danze vi dico qual è l’opera che compendia al mio sguardo il triangolo di mente, esperienza e realtà. Pur esprimendo la realtà, l’opera a cui penso è surreale. E pur riflettendo la mente e la vita umana, non ritrae figure umane, anzi è un paesaggio disabitato di presenze, salvo tracce allusive di opere umane.
È Il ponte di Eraclito, un’opera di René Magritte del 1935 e condensa pensiero, vita e mondo in una visione. C’è un ponte rotto o interrotto a metà che si riflette nel fiume per intero. Il fiume va a perdersi in un cielo di nuvole. È un’opera perfettamente simbolica, perché il simbolo è composto, anche etimologicamente, da due tessere, una parte visibile e una invisibile.
Il Ponte di Magritte è un vero trattato in sintesi visiva sulla realtà e l’illusione, sull’essere e il divenire, sul visibile e l’invisibile, sulla fisica e la metafisica. Eraclito, come è noto, è il filosofo fluviale ed ermetico di «panta rei», Tutto scorre, ma anche di «non ci si può bagnare due volte nelle stesse acque».
La verità è nel fiume che riflette il ponte intero o nel ponte tronco che ci appare nella realtà? Il ponte intero è la verità oltre le apparenze, è l’immaginazione oltre la realtà o è la memoria del passato perduto, l’integrità di quel tempo? L’acqua che scorre allude al dimenticare, ma di recente si è scoperta la memoria dell’acqua, ipotesi scientifica ancora controversa. Quel ponte sembra essere la profezia di quella teoria: l’acqua serba il ricordo di quel che il tempo ha spezzato e dissolto. Ma potrebbe anche trattarsi di un ponte incompiuto, lasciato a metà, di cui l’acqua annuncia il presagio della sua compiutezza, come in un rapporto tra la potenza e l’atto. Il riflesso intero nell’acqua del ponte troncato può essere dunque memoria o annuncio, illusione o allusione.
La vita, come la verità, è un gioco tra l’essere e il fluire, tra quel che appare e quel che scompare, ma anche tra il ricordo e la percezione. L’uomo abita inevitabilmente due mondi, due regni. E il ponte, spezzato nella realtà e intero nella rappresentazione fluida, è la più suggestiva immagine del rapporto tra fisica e metafisica. Nel caso del ponte, con facile gioco, potrebbe dirsi metà fisico e metafisico; quest’ultima è l’altra metà invisibile della realtà, che ne dà compiutezza, come l’anima rispetto al corpo. L’immagine d’insieme è quel che Aristotele definiva il sinolo, sintesi di forma e materia.
L’Artista è attirato dal ponte intero riflesso nello specchio d’acqua dove l’immagine supera la realtà, fino a beffarla; il Poeta canta la nostalgia della metà invisibile inseguendo il mito dell’integrità perduta; il Filosofo cerca la relazione tra la visione e la realtà per dare una ragione all’essere e allo svanire.
Il ponte di Eraclito appare infine la metafora dell’anno che nasce, la parte visibile da cui partiamo, che si affaccia nel vuoto e si proietta verso la parte ancora da compiersi. Ma quel che accadrà traspare, già riflessa o pre-vista nel destino dell’acqua.
Infine una notazione di ordine generale. La grande forza attrattiva del cattolicesimo rispetto alle altre religioni monoteiste e alle sue stesse eresie protestanti fu la figurazione del sacro, la rappresentazione visiva di Dio, di Gesù bambino e poi in croce, della Madonna, dei Santi, e perfino del Diavolo. L’icona rese viva la fede nell’invisibile e fu la vera base della carità e dell’umanità, perché se vedi nel luogo sacro le immagini e i volti di bambini, di donne, di mendicanti, di morenti e di assurti in cielo, sei indotto a dar valore alle persone, ai loro volti, alla loro umanità. Li ami non in astratto ma in concreto. La quotidianità entra nella santità e le persone acquistano nel loro incarnarsi in figure, una loro effettiva sacralità.
Allo stesso modo, la filosofia dovrebbe accompagnarsi ad una iconografia, farsi immagine, specchio, figurazione e allusione, per trasformare i concetti in mondo, i pensieri in vita, la realtà in rappresentazione. Magritte è tra i pochi pittori in grado di esercitare questo ruolo: come Michelangelo, Caravaggio e Bernini dettero carne e materia, colore e vita al sacro, al santo e all’invisibile; così Magritte e pochi altri pittori (penso a Dalì, a de Chirico, a Duchamp e non solo) possono dare colore, vita ed espressione alla filosofia, alla metafisica, perfino alla verità del filosofo. E qui torno alla domanda iniziale: c’è un’opera, una pittura, un ritratto che rappresenta e condensa la vostra visione della vita, del mondo, o se preferite, dell’amore o della bellezza? La parola agli occhi.