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Dei conflitti e dei delitti statunitensi

di Mauro Tozzato - 10/01/2012


Il 06.01.2012 nei quotidiani sono apparsi diversi articoli riguardanti il presunto ridimensionamento delle spese militari degli Stati Uniti. Obama avrebbe tagliato, in particolare, gli investimenti in uo-mini e mezzi da attribuire all’esercito convenzionale e comunque, nelle nuove condizioni, a causa del riduzione generale del  budget federale, il Pentagono non dovrebbe avere più le risorse per conflitti delle dimensioni e della durata di quelli portati avanti in Iraq e Afghanistan. Come osservato più volte in questo blog si tratta di una nuova strategia che, ormai da un paio d’anni, l’attuale am-ministrazione Usa sta portando avanti con l’obiettivo di creare situazioni caotiche e disordini al”interno di alcuni Stati di importanza decisiva nello scenario globale. In prospettiva Obama pensa di servirsi sempre di più, per gli interventi militari, del supporto dei  “fedeli” alleati degli Stati Uniti con particolare riferimento ai suoi “scherani” europei. Questa nuova fase è già cominciata con l’intervento che ha posto termine alla storia della  Jamāhīriyya Araba Libica Popolare fondata da Muammar Gheddafi ad opera delle forze armate della Francia, dell’ Inghilterra e dell’Italia del go-verno Berlusconi. Sul Sole 24 ore del 06.01.2012 Marco Valsania scrive:
<<”Voltiamo pagina su un decennio di guerre”, ha sentenziato Obama. La dottrina della casa Bianca prevede adesso che gli Stati Uniti siano in grado di combattere e vincere un conflitto sul campo di battaglia alla volta, non due come in passato, accanto alla capacità di contenere un altro avversario e di gestire interventi umanitari, di anti-terrorismo e di embargo nei cieli con l’imposizione di “no fly zone”.>>
Obama, che era accompagnato dal Segretario alla Difesa Panetta e dal capo degli Stati maggiori riuniti Dempsey, ha voluto, comunque, precisare che le forze militari saranno sì più “snelle”, ma
<<il mondo deve sapere che gli Stati Uniti vogliono mantenere la superiorità militare grazie a forze agili, flessibili e pronte ad affrontare l’intero ventaglio delle minacce>>.
E’ proprio questo di tipo di forze armate quelle che appaiono più adatte a portare avanti la strategia che in un intervento del 28.04.2011 su questo blog La Grassa così descriveva:
<<Quando sono cresciuti nel mondo – di cui si enfatizzava invece (da perfetti liberisti, sempre su-perficiali e unilaterali come al loro solito) la “globalizzazione mercantile” – alcuni “muri” con-trapposti agli Usa […]che sono le varie potenze in pectore, si è inizialmente cercato di abbatterli tirando contro di loro pesanti “palle” di materiale solido. Queste, però, o abbattono il muro o ven-gono stoppate. Se invece si inclina il terreno – ma appena un po’, basta poco – verso il muro, e vi si versa sopra una quantità crescente di “liquido”, questo si infiltra in esso mediante vari canalicoli, lo rende umido e meno compatto, fino a sgretolarlo. Questa la nuova tattica (o strategia) che prende avvio con Gates più che con Obama.[…] Non mi si obietti che gli Usa non hanno tirato direttamente “palle” o indirizzato “liquidi” verso le suddette potenze in formazione. E’ ovvio che si agisce tutt’intorno, che ci si muove in date “aree d’influenza” divenute terreno di conflitti al momento indiretti. Tuttavia, si sono usate le tattiche diverse appena sopra accennate>>.
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Saranno la marina e l’aviazione a svolgere il ruolo principale nella strategia americana; gli Stati Uniti infatti non rinunceranno  a nessuna delle portaerei nella loro flotta e al riparo da tagli saranno anche i programmi del Pentagono per il cyberspazio , per le attività di intelligence e per le forze speciali. E se da una parte dovrebbe essere rinviato l’oneroso programma di acquisto di nuovi caccia interforze F-35, viene riconfermata la massima attenzione nell’impegno militare nei confronti del Pacifico e dell’Asia orientale ma anche nel Medio Oriente dove il livello di tensione nei confronti dell’Iran è in continuo aumento. In conclusione Obama ha ribattuto alle critiche del partito repubblicano sottolineando il fatto che il budget del Pentagono, nonostante i risparmi, continuerà ad aumentare anche se meno che in precedenza:
<<Nei prossimi dieci anni rallenterà il passo ma sarà superiore al bilancio alla fine della presidenza Bush, perché abbiamo responsabilità di leadership globale>>.
E per mantenere la supremazia mondiale uno degli “anelli” più importanti da rafforzare riguarda il monitoraggio degli sviluppi della “potenza” iraniana. Le ultime notizie, in proposito, dicono che l’Iran avrebbe cominciato le attività per l’arricchimento dell’uranio in una montagna a Fordow, nei pressi di Qom, città santa per i musulmani. Il tutto sotto la supervisione dell’Aiea (Agenzia interna-zionale per l’energia atomica). Le fonti dicono che l’arricchimento dell’uranio a una purezza del 20% ha preso il via in un impianto sotterraneo. Il sito, dislocato centinaia di metri sottoterra, è protetto dalle batterie missilistiche e dalle forze dei Pasdaran: all’interno sarebbero già attive 348 centrifughe, mentre altre sono in via installazione. Da mesi il governo iraniano ha deciso di continuare con il programma nonostante le sanzioni molto pesanti inflitte al Paese. Gli Stati Uniti e l’Europa accusano l’Iran di voler costruire l’atomica mentre Teheran ha sempre negato, spiegando che il programma mira soltanto ad ottenere una miglior efficienza energetica. Nuove sanzioni Onu sono state proposte, manco a dirlo, da Francia, Germania e Gran Bretagna supportate dalla “benedizione” degli Usa. Ora la crisi sullo stretto di Hormuz, che Teheran ha minacciato di bloccare se saranno applicate nuove sanzioni,  sta aumentando ogni giorno di più. L’importanza strategica dello stretto per il commercio del petrolio rende la situazione aperta a prospettive particolarmente rischiose per entrambi i contendenti. Viene da pensare che in questo momento – nonostante l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali negli Stati uniti (o magari proprio per questo) – per l’amministrazione Obama un conflitto con ampio spiegamento di forze in Medio Oriente rappresenterebbe un rischio troppo grande in termini economici e militari. Un rischio e un “passo” non coerente con la strategia com-plessiva che gli Usa vogliono portare avanti.