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Gli uccelli selvatici nel nostro giardino portano una fresca ventata di musica e vita

di Francesco Lamendola - 10/01/2012


 

Scusi, lei è pro o contro il giardino?

Posta così, sembrerebbe una domanda decisamente assurda: come si potrebbe essere contrari al giardino, specie nella nostra società antiecologica e nei nostri ambienti largamente cementificati e sempre più inquinati, con le aree urbane così povere di spazi verdi?

Eppure esiste un pensiero ecologista “duro e puro”, secondo il quale le piante non devono venir trattate come oggetti, non devono subire violenza nei loro tempi e modalità di crescita, non devono venir piegate alle mode con il loro ordine effimero; e che, pertanto, guarda con estrema diffidenza, se  non con aperta ostilità, al giardino in quanto simbolo di una manipolazione della natura, di una volontà di imporle delle logiche artificiali, mentre si finge di esaltarne la spontaneità; si veda, ad esempio,  il libro di Pia Pera e Antonio Perazzi «Contro il giardino. Dalla parte delle piante» (Ponte alle Grazie editore), il cui titolo pare già un grido di guerra della wilderness offesa contro la subdola strategia di dominio dell’uomo padrone.

Premesso che certe potature leziose e invasive degli alberi a scopo ornamentale, certe pratiche realmente manipolatrici, fra le quali quella del bonsai, si configurano, in effetti, come sgradevoli manifestazioni di una volontà di dominio dell’uomo sulla vegetazione, diciamo subito che le tesi “estreme” di certo pensiero ecologista non ci trovano minimamente d’accordo; e che preferiremmo veder sorgere dieci, cento e mille giardini, urbani, suburbani o rurali, piuttosto di villette a schiera anonime e tuttavia pretenziose; di case lussuose, ma quasi prive di verde; di nuovi quartieri residenziali, con il loro rumoroso traffico automobilistico, con le loro antenne televisive paraboliche, con l’inquinamento luminoso che, di notte, fa scomparire il cielo stellato, rendendo la nostra vita sempre più artificiale e sempre più povera di bellezza e di armonia.

L’ideale sarebbe che la cultura del giardino pubblico prendesse piede nel nostro Paese, così come esiste in Austria, in Svizzera, in Germania; purtroppo, ci vorrà ancora molto tempo, stante la scarsa sensibilità naturalistica e l’ancor più scarso senso civico dell’Italiano medio, che nelle aree pubbliche, verdi o non verdi che siano, altro non vede che una “terra di nessuno” in cui abbandonarsi a ogni sorta di inciviltà e sporcizia.

In attesa che le cose cambino, non abbiamo nulla in contrario alla diffusione del giardino privato: sia come sia, l’importante è che la cultura del verde riprenda piede nelle nostre città e nelle nostre periferie; l’importante è che i nostri amici canori, sempre più scacciati dal prepotente dilagare della società del cemento, riescano ancora a trovare qualche macchia alberata ove posarsi e, magari, ove nidificare, restituendoci un po’ di serenità e di dolcezza.

Certo, esistono giardini e giardini; e molto vi sarebbe da dire, ad esempio sulla mania del prato all’inglese, che, oltre a far sparire ogni minima traccia di vegetazione spontanea, richiede una continua manutenzione a base di macchine rasaerba dal motore a scoppio, tanto inquinanti quanto rumorose; molto vi sarebbe da dire anche sulla mania di potare la chioma degli alberi ornamentali per ricavarne figure geometriche più o meno eccentriche, pratica che ricorda quella, non meno esecrabile, di vestire certi cagnolini con indumenti umani, facendone delle involontarie caricature di ciò che un animale, per quanto domestico, dovrebbe essere.

Tuttavia, andiamoci piano con le critiche sterili e massimaliste: forse che, al posto di quel giardino mal fatto, sarebbe preferibile veder sorgere un capannone industriale o, magari, un “bel” centro commerciale, con il suo maxiparcheggio perennemente ingorgato di traffico?

Per chi ha la fortuna di possedere un giardino, la familiarità con le piante si traduce, comunque, in moltissimi casi, in una maggiore comprensione dei ritmi della natura, in un più consapevole rispetto dell’ambiente, in una acuita sensibilità nei confronti dei valori delle piante, della loro bellezza, della loro armonia, rispetto a quelli puramente utilitaristici, che in modo sempre più implacabile dominano le nostre menti e i nostri cuori.

Una maniera di interpretare la cultura del giardino come un ponte fra la realtà umana e quella naturale consiste nel fare di quest’ultimo, almeno in parte, un punto d’appoggio per gli uccelli selvatici; per invogliarli ad entrarvi, a soffermarvisi e, se possibile, a stabilirvisi, consci che non riceveranno offese o molestie e che vi troveranno sempre un piccolo rifugio di pace e tranquillità, in mezzo al caos dei ritmi cittadini.

Vi sono dei proprietari di giardini che, per difendere i loro beni, tengono liberi dei cani da guardia estremamente aggressivi, come i rottweiler, i quali si slanciano con rabbia contro qualunque intruso, fosse pure un piccolo ospite dalle ali variopinte e dal canto melodioso, del peso di qualche grammo appena, come se costituisse chissà quale terribile minaccia.

Vi sono anche delle persone che, pur di tener lontani eventuali ospiti clandestini, non esitano a spargere veleni a profusione e a disseminare i cespugli di trappole.

Dipende da quel che si considera più importante; certo, gli uccelli selvatici devono pur vivere e, quindi, mangiano i frutti del giardino: ma siamo proprio sicuri che si tratti di un danno così grave, rispetto ai vantaggi che la loro presenza comporta, a cominciare dal canto, ma senza dimenticare gli aspetti pratici, come l’eliminazione di svariati insetti nocivi per le piante?

Bisognerebbe tener conto anche di tali aspetti, allorché si tratta di valutare l’impatto che la presenza di uccelli selvatici potrebbe avere nel nostro giardino.

Certo, se la sensibilità del padrone di casa si manifesta nel far tagliare un bellissimo ciliegio, perfettamente sano, con la sola motivazione che le sue foglie, in autunno, cadendo provocano “sporco” e danno un certo lavoro per la raccolta, allora non c’è da stupirsi affatto se essa non riesce a vedere che danni e fastidi nell’intrusione degli uccelli selvatici.

In un certo senso, «dimmi che giardino hai e ti dirò chi sei»: dal tipo di giardino che circonda la tua casa, da quello che vi è e da quello che non vi si trova, è possibile formarsi una idea abbastanza precisa del padrone di casa.

Scrive Fausta Mainardi Fazio ne «Il grande libro del giardinaggio» (Giovanni De Vecchi Editore, Milano,  1978, pp. 403-05):

 

«Tra gli appassionati degli uccelli, pochi sono cloro che, avendo un giardino, pensano di offrire loro un’ampia voliera tra il verde in luogo dell’angusta gabbietta d’appartamento. Quasi a nessuno poi viene in mente quanto possa essere piacevole avere il giardino frequentato da volatili selvatici i quali in genere, dopo qualche timido e sospettoso sopralluogo, se si rendono conto che il posto è tranquillo e sicuro e che magari offre anche interessanti risorse nutritive - per esempio una folta popolazione di lombrichi richiamata dalle concimazioni organiche e acqua per l’abbeverata - ne divengono frequentatori abituali o addirittura vi si insediano e mettono su famiglia.

È vero che gli uccelli sono ghiotti di frutta e semi e che qualche assaggio nel nostro giardino lo fanno, ma in cambio recano un notevole contribuito alla lotta biologica contro i parassiti delle piante. Ospitando gli uccelli aggiungiamo un elemento decorativo in più e creiamo una piccola oasi ecologicamente equilibrata. Si tratta di venire a un compromesso: non useremo diserbanti e antiparassitari, responsabili, più dei cacciatori, di incredibili stragi di uccelli, e offriremo agli ospiti canori cibi alternativi di cui sono particolarmente ghiotti, per evitare che si sazino nell’orto e nel frutteto. Pianteremo arbusti ornamentali ricchi di bacche e acquisteremo nei negozi specializzati adatte miscele di semi. Spesso gli uccelli disertano il giardino perché non trovano acqua, perciò mettiamo a loro disposizione, in un luogo riparato, un catino abbastanza profondo (altrimenti l’evaporazione esaurisce rapidamente il contenuto) in cui introduciamo qualche ciottolo affinché gli uccellini più piccoli possano bere e anche bagnarsi senza pericolo.

Per indurli a nidificare, possiamo con qualche potatura rendere più adatte le piante alle esigenze degli uccelli, i quali si sentono più sicuri sugli alberi alti, dalla chioma ampia ma non troppo intricata, entro la quale possano spostarsi da un ramo all’altro. L’offrire un nido adatto, costituito da un panierino di vimini o da una casseruola di legno, non sempre ha successo, mentre vi sono maggiori probabilità che molte specie si fabbrichino la casa da sé quando trovano una biforcazione ampia e solida ripulita dai rametti, o un vecchio tronco scapitozzato circondato da una corona di nuovi rami fogliosi.

Gli alberi sempreverdi sono particolarmente adatti perché offrono protezione tutto l’anno: la quercia, l’alloro, le conifere in genere, come pure l’ampio ombrello formato dall’edera sui tronchi morti. Non si addicono invece gli alberi a chioma troppo leggera, che si piega sotto il vento e lascia filtrare la pioggia violenta.

Non è qui il luogo per addentrarci in particolari riguardanti le caratteristiche e le dimensioni dei nidi, che sono diverse a secondo delle esigenze delle numerosissime specie di volatili delle nostre regioni. Premesso che esistono libri interessantissimi ed esaurienti sulla materia, il consiglio che possiamo dare è di essere osservatori, di sorvegliare e di annotare il comportamento della fauna che frequenta il nostro giardino o, se ancora non lo frequenta, di quella propria della campagna circostante: è il sistema migliore per assecondarne le abitudini.»

 

Certo, gli uccellini in gabbia o i pappagallini nella loro voliera portano meno imprevisti nell’equilibrio del giardino: sono totalmente alla mercé dell’uomo, li si può ammirare e udirne il canto con le semplici operazioni di cambiar loro l’acqua e il mangime, di pulire regolarmente le loro casette e di proteggerle in maniera opportuna nella stagione fredda.

In ogni caso, tutto è sotto il controllo dell’uomo; da lui dipende la cosa più importante: quali e quanti amici canori ammettere nel piccolo regno del suo guardino, in base all’unico criterio del suo personale gusto estetico.

Per gli uccelli selvatici, il discorso è diverso: essi non sono, né mai diventeranno, una proprietà dell’uomo: sono liberi, ancor più liberi dei gatti che scavalcano la rete di recinzione ogni volta che vogliono e, magari, se ne stanno via per dei giorni o delle settimane, prima di tornare a casa in cerca di un tetto amico e di un pasto sicuro.

Gli uccelli selvatici non contano sull’uomo per la loro sopravvivenza, anche se esistono varie strategie per invogliarli a penetrare nel giardino e a tornarvi, magari per restarci, come suggerito nel brano sopra riportato; essi vengono e vanno quando vogliono; la loro presenza, il loro saltellare tra i rami, le note armoniose del loro canto sono doni assolutamente gratuiti, che non si possiamo comperare col denaro, come avviene per gli uccelli da gabbia o da voliera.

Se talune specie di uccelli selvatici imparano a frequentare un giardino e magari vi fanno il nido, scegliendo, senza dubbio, l’angolo più remoto e riparato di esso, il suo padrone potrà disporre di una eccellente postazione per osservarli quotidianamente, per familiarizzarsi con i loro colori e con i loro versi, insomma per divenire un esperto, come oggi si usa dire, con l’immancabile vocabolo anglosassone, di birdwatching.

Ma anche per chi non possieda né attitudini, né propensione per una sistematica osservazione ornitologica, la presenza di uccelli selvatici entro la siepe o il recinto del proprio giardino costituisce una occasione preziosa per riavvicinarsi al mondo della natura, per goderne l’incomparabile bellezza, per rimettersi in una migliore sintonia con essa.

Il vocabolo “giardino” nasce come sinonimo di “paradiso”: il giardino, pertanto, è un piccolo paradiso terrestre, una anticipazione della incomparabile magnificenza del paradiso come luogo soprannaturale in cui l’anima buona troverà la sua dimora finale.

E che paradiso sarebbe quello in non si udissero le note trillanti degli uccelli selvatici, in cui non si vedessero le loro sagome svelte saltellare fra i rami e volare in cerchio, nelle sere d’estate, alla ricerca di insetti?

Sarebbe un luogo forse bello, ma triste, la cui bellezza apparirebbe spenta e incompleta, come se fosse stata offuscata da un incantesimo.