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Le guerre energetiche del 2012

di Michael T. Klare - 11/01/2012

   
   

I tre punti caldi del conflitto potenziale nell'era di geo-energetica

Benvenuto in un mondo irritabile dove un solo incidente in un punto di passaggio dell’energia può infiammare una regione, provocare scontri insanguinati, far alzare il prezzo del petrolio e mettere l'economia globale a rischio. Con la richiesta di energia in aumento e le fonti di approvvigionamento in calo, stiamo davvero entrando un'epoca nuova – l’Era Geoenergetica - in cui le dispute sulle risorse vitali domineranno gli affari planetari. Nel 2012 e oltre, energia e conflitti saranno sempre più legati in modo ermetico, focalizzando l'importanza sui punti chiave della geografia del nostro mondo affamato di energia.

Prendiamo lo Stretto di Hormuz, che già è sulle prime pagine titoli, scuotendo i mercati dell’energia in questo inizio di 2012. Collegando il Golfo Persico e l'Oceano indiano, non possiede un simbolo geografico come la Roccia di Gibilterra o il Ponte del Golden Gate. In un mondo interessato ai problemi energetici, ha comunque il più grande significato strategico di qualsiasi altro corridoio del pianeta. Ogni giorno, secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, le petroliere che passano da questa arteria vitale trasportano 17 milioni di barili di petrolio – il 20% della fornitura quotidiana mondiale.

Il mese scorso, quando un ufficiale iraniano di primo piano ha minacciato di bloccare lo stretto in risposta alle dure sanzioni economiche imposte da Washington, il prezzo del petrolio è immediatamente schizzato. Anche se le forze armate statunitensi hanno giurato di tenere aperto lo stretto, i dubbi sulla sicurezza delle spedizioni future di petrolio e le preoccupazioni su una crisi stridente potenzialmente senza fine che riguarda Washington, Teheran, e Tel Aviv ha fatto predire a vari esperti di energia un rialzo dei prezzi petrolieri per i mesi a venire, e ciò provocherà dolori ancora più lancinanti per un’economia globale in contrazione.

Comunque, lo Stretto di Hormuz è solamente uno dei punti caldi dove è probabile che energia, politica e la geografia si mescoleranno pericolosamente nel 2012. Teniamo gli occhi aperti sul Mare Cinese Meridionale e Orientale, sul bacino del Mar Caspio e l’Artico ricco di energia che sta perdendo la sua coltre di ghiaccio. In tutti questi luoghi, i paesi si stanno sfidando per il controllo sulla produzione e il trasporto di energia, disputando sui confini nazionali e/o diritti di passaggio.

Negli anni a venire, l'ubicazione dei rifornimenti di energia e delle rotte di approvvigionamento --condutture, porti petroliferi e le rotte delle navi – saranno le pietre miliari della mappa strategica globale. Le aree produttrici fondamentali, come il Golfo Persico, rimarranno criticamente importanti, e lo stesso vale per le strozzature come lo Stretto di Hormuz e lo Stretto di Malacca (tra Oceano indiano e Mar Cinese Meridionale) e le "linee marittime di comunicazione", o SLOC (come gli strateghi navali usano chiamarle) che connettono le zone di produzione con i mercati esteri. In modo sempre più sostenuto, le potenze guidate dagli Stati Uniti, dalla Russia e dalla Cina ristruttureranno le loro forze armate per combattere in questi luoghi.

Ciò si può già notare nell’elaborato documento della Guida per la Difesa Strategica, “Sostenere la leadership globale degli USA”, reso pubblico dal Pentagono il 5 gennaio dal Presidente Obama e dal Segretario della Difesa Leon Panetta. Mentre prevede un Esercito e una Marina più ridotte, è indirizzato verso una maggiore enfasi sulle capacità aeree e navali, specialmente quelle relative alla protezione o al controllo internazionale dell’energia e delle reti commerciali. Pur avendo riaffermato tiepidamente gli storici legami degli Stati uniti con l’Europa e il Medio Oriente, è stato posto l’accento sull’incremento della forza degli USA "nell'arco che si estende dal Pacifico Occidentale e l'Asia Orientale fino all'Oceano indiano e all’Asia Meridionale."

Nell'Era geoenergetica, il controllo dell’energia e del suo trasporto sarà alla base delle ricorrenti crisi globali. Questo anno, fate particolare attenzione ai tre punti caldi dell’energia: lo Stretto di Hormuz, il Mar Cinese Meridionale e il bacino del Mar Caspio.

Lo stretto di Hormuz

Un passaggio che separa l’Iran dall’Oman e dagli Emirati Arabi Uniti (EAU), lo stretto è il solo collegamento marittimo tra il Golfo Persico ricco di petrolio e il resto del mondo. Una percentuale impressionante del petrolio prodotta da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e EAU viene trasportato giornalmente dalle petroliere attraverso questo corridoio, rendendolo (nelle parole del Dipartimento dell’Energia) “la più importante strozzatura petrolifera mondiale". Alcuni analisti ritengono che un qualsiasi blocco prolungato dello stretto potrebbe provocare un aumento del 50% del prezzo di petrolio e provocare una recessione globale su grande scala.

I dirigenti americani considerano da tempo lo Stretto come un conglomerato strategico nei loro piani globali che deve essere difeso a ogni costo. Era una prospettiva già espressa dal Presidente Jimmy Carter nel gennaio del 1980, sulla scia dell'invasione sovietica e dell’occupazione dell’Afghanistan che aveva, come disse al Congresso, "portato le forze militari sovietiche entro le 300 miglia dall'Oceano indiano e nei pressi dello Stretto di Hormuz, una via d’acqua attraverso cui deve fluire la maggior parte del petrolio del mondo". La risposta americana, reiterò, doveva essere inequivocabile: qualsiasi tentativo da parte di un potere ostile di bloccare l'idrovia sarebbe stato considerato come "un attacco agli interessi vitali degli Stati Uniti d'America", "che va respinto con ogni mezzo necessario, anche con la forza militare".

Molto è cambiato nella regione del Golfo da quando Carter pubblicò la sua dichiarazione, nota da allora come Dottrina Carter, quando istituì l'U.S. Central Command (CENTCOM) per proteggere lo Stretto, ma ancora Washington non era determinata ad assicurarsi il flusso indisturbato di petrolio. In effetti, il Presidente Obama ha chiarito che, se le forze di terra di CENTCOM dovessero lasciare l'Afghanistan come hanno fatto in Iraq, non ci sarebbe una riduzione della presenza aerea e navale del comando nella area allargata del Golfo.

È concepibile che gli iraniani mettano alla prova le capacità di Washington. Il 27 dicembre il primo vicepresidente iraniano Mohammad Reza Rahimi ha detto che, "se [gli americani] imporranno sanzioni sulle esportazioni di petrolio dell'Iran, allora neppure una goccia di petrolio potrà uscire dallo Stretto di Hormuz". Dichiarazioni simili sono state da allora pronunciate dagli anche da altri alti funzionari (pur se contraddette da altri). Gli iraniani hanno condotto di recente complesse esercitazioni navali nel Mar Arabico nelle vicinanze della bocca orientale dello stretto, e ancora altre manovre verranno dispiegate. Allo stesso tempo, il generale al comando dell'esercito iraniano ha asserito che l’USS John C. Stennis, una portaerei americana che ha da poco lasciato il Golfo, non tornerà. "La Repubblica islamica dell'Iran", ha aggiunto malauguratamente, “non ripeterà i propri avvertimenti".

È probabile che gli iraniani blocchino davvero lo stretto? Molti analisti credono che le affermazioni di Rahimi e dei suoi colleghi sono un bluff per far innervosire i leader occidentali, per far aumentare il prezzo del petrolio e per ottenere maggiori concessioni in futuro se dovessero ricominciare le negoziazioni sul programma nucleare del proprio paese. Comunque, le condizioni economiche in Iran stanno diventando più pesanti ed è comunque possibile che i dirigenti radicali messi alle strette possano sentire l’urgenza di intraprendere qualche iniziativa drammatica, anche se dovessero invitare una risposta statunitense. In ogni caso, lo Stretto di Hormuz rimarrà una polveriera internazionale nel 2012, con prezzi globali del petrolio che seguiranno da vicino l'aumento e il calo delle tensioni.

Il Mar Cinese Meridionale

Il Mar Cinese Meridionale è una porzione semi-racchiusa del Pacifico occidentale limitata dalla Cina a nord, dal Vietnam a ovest, dalle Filippine a est e dall'isola del Borneo (suddivisa tra Brunei, Indonesia e Malaysia) a sud. Il mare incorpora anche due arcipelaghi fittamente inabitati, le isole Paracel e le Spratly. Da tempo un'importante bacino di pesca, è stato anche un’arteria importante per le spedizioni commerciali tra l’Asia Orientale e l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. Più di recente, ha acquisito rilevanza come fonte potenziale di petrolio e gas naturale, le cui grandi riserve si ritiene che siano nelle aree sottomarine che circondano le Paracel e le Spratly.

Con la scoperta del petrolio e dei depositi di gas, il Mar Cinese Meridionale si è trasformato in una cabina di pilotaggio degli attriti internazionali. Alcune isole di quest’area ricca di energia sono rivendicate da tutti i paesi circostanti, incluso la Cina, che le pretende tutte per sé, palesando la volontà di usare la forza militare per confermare il dominio sulla regione. Non sorprende quindi la presenza di conflitti con le altre nazioni, anche con alcune che hanno legami militari ben stretti con gli Stati Uniti. Per questo, da quando si è trasformata in una questione regionale che riguarda la Cina e vari membri dell'Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN) est, ha posto le basi di un possibile alterco tra le due principali potenze mondiali.

Per spingere le proprie richieste, Brunei, Malaysia, Vietnam e le Filippine hanno cercato di lavorare collettivamente attraverso l’ASEAN, ritenendo che un approccio multilaterale avrebbe offerto maggiori possibilità di negoziazioni con la Cina. Da parte loro, i cinesi hanno insistito, che tutte le dispute devono essere risolte bilateralmente, una situazione in cui possono imporre più facilmente il proprio potere economico e militare. Prima preoccupati dall’Iraq e dall’Afghanistan, gli Stati Uniti ora sono entrati nella disputa, fornendo un sostegno assoluto ai paesi dell’ASEAN nei loro sforzi per negoziare in massa con Pechino.

Il Ministro cinese degli Esteri Yang ha prontamente suggerito agli Stati Uniti di non interferire. Qualsiasi iniziativa del genere "renderà solo le cose peggiori e la risoluzione più complicata", ha dichiarato. L’esito è stato quello di una guerra dialettica istantanea tra Pechino e Washington. Durante una visita alla capitale cinese nel luglio del 2011, il direttore Joint Chiefs of Staff, l’Ammiraglio Mike Mullen, ha pronunciato una minaccia appena nascosta che suggeriva una possibile azione militare nel futuro. "La preoccupazione, fra le altre che ho", come ha commentato, "è che gli incidenti in corso possano provocare un errore di calcolo e un attacco che nessuno ha previsto". Per aiutare la comprensione, gli Stati Uniti hanno condotto una serie di nutrite esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale, con alcune manovre di collegamento con le navi proveniente da Vietnam e Filippine. La Cina ha risposto con proprie iniziative navali. È una formula perfetta per futuri "incidenti" in mare.

Il Mar Cinese Meridionale è da tempo sugli schermi radar di coloro che seguono gli affari asiatici, ma ha attirato l’attenzione globale solo quando, a novembre, il presidente Obama ha visitato l’Australia e ha annunciato, con una straordinaria ottusità, una nuova strategia degli Stati Uniti che punta a scontrarsi col potere cinese in Asia e nel Pacifico. "Riguardo i programmi e i finanziamenti per il futuro", ha riferito ai membri del Parlamento australiano a Canberra, "stanzieremo le risorse necessarie per mantenere una forte presenza militare in questa regione". Un aspetto chiave di questo sforzo sarebbe il garantire la "sicurezza marittima" nel Mar Cinese Meridionale.

Mentre era in Australia, il Presidente Obama annunciò la realizzazione di una nuova base statunitense a Darwin sulla costa settentrionale di questa nazione, così come passi in avanti per le relazioni militari con Indonesia e Filippine. A gennaio il presidente pose nuovamente una particolare enfasi sulla proiezione del potere degli Stati Uniti nella regione in un discorso tenuto al Pentagono sui cambiamenti dell’approccio militare in ambito globale.

Pechino farà sicuramente i propri passi, in modo non meno belligerante, per proteggere i propri interessi crescenti nel Mar Cinese Meridionale. Dove ci porterà tutto questo, resta chiaramente ignoto. Dopo lo Stretto di Hormuz, comunque, il Mar Cinese Meridionale può essere il corridoio energetico globale dove piccoli errori o provocazioni possono provocare i confronti più accesi nel 2012 e nel futuro.

Il bacino del Mar Caspio

Il Mar Caspio è un bacino acquatico dell’entroterra limitato da Russia, Iran, e dalle tre ex repubbliche dell'URSS: Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan. Nell'area più immediata sono presenti le ex terre sovietiche di Armenia, Georgia, Kirghizistan e Tagikistan. Tutti questi stati che nel passato facevano parte dell’Unione Sovietica stanno, a vario grado, tentando di asserire la loro autonomia da Mosca e di stabilire relazioni indipendenti con gli Stati Uniti, l'Unione Europea, l’Iran, la Turchia e, sempre più, con la Cina. Sono tutti devastati da scismi interni e/o coinvolti in dispute di confine coi paesi confinanti. La regione sarebbe una potenziale polveriera anche se il bacino caspico non ospitasse tra le più grandi riserve mondiali ancora non sviluppate di petrolio e gas naturale, che potrebbero portarlo più facilmente a un punto di ebollizione.

Non è la prima volta che il Caspio viene considerato una fonte importante di petrolio, e un territorio di conflitti potenziali. Alla fine del XIX secolo, la regione vicina alla città di Baku – allora parte dell'impero russo, ora in Azerbaigian - era una fonte prolifica di petrolio e per questo una notevole preda strategica. Il dittatore sovietico Joseph Stalin si guadagnò la notorietà come dirigente di lavoratori militanti nel settore petrolifero, e Hitler cercò di catturarlo durante la sua fallita invasione del 1941 in URSS. Comunque, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la regione perse la sua importanza come produttrice di petrolio quando si esaurirono i giacimenti sulla terraferma di Baku. Sono fatte nuove scoperte nelle zone lungo la costa del Mar Caspio e nelle aree dapprima non sviluppate di Kazakistan e Turkmenistan.

Secondo il gigante energetico BP, l'area del Caspio contiene circa 48 miliardi barili di petrolio (soprattutto in Azerbaigian e in Kazakistan) e 449 miliardi di piedi cubici di gas naturale (col più grande giacimento in Turkmenistan). Questi dati mettono la regione al di sopra del Nord e del Sud America per la quantità totale di gas naturale e in prima fila in Asia per le riserve di petrolio. Ma produrre tutta questa energia e distribuirla ai mercati stranieri sarà un compito monumentale. L'infrastruttura energetica della regione è purtroppo inadeguata e il Caspio non ha uno sbocco marittimo verso altri mari, e quindi tutto il petrolio e il gas devono viaggiare per le tubazioni e le ferrovie.

La Russia, a lungo il potere dominante nella regione, sta perseguendo il controllo sulle rotte di trasporto con cui il petrolio e il gas del Caspio raggiungono i mercati. Sta migliorando le condutture dell’era sovietica che collegano l’ex repubbliche sovietiche alla Russia o ne sta costruendo di nuove per realizzare un quasi monopolio sul commercio di tutta questa energia, muovendo la diplomazia tradizionale, le tattiche di pressione e la corruzione verso i dirigenti regionali (molti dei quali hanno in passato servito la burocrazia sovietica) per indirizzare la loro energia attraverso la Russia. Come ho già descritto nel mio libro “Rising Powers, Shrinking Planet”, Washington ha cercato di contrastare questi sforzi patrocinando la costruzione di gasdotti alternativi per evitare il territorio russo, attraversando Azerbaigian, Georgia e Turchia fino al Mediterraneo (principalmente il BTC, il gasdotto Baku-Tbilisi-Ceyhan), mentre Pechino sta costruendo le proprie condutture che collegano l'area del Caspio alla Cina occidentale.

Tutti questi impianti attraversano zone di rivolte etniche e passano nei pressi di varie regioni di conflitto, come la ribelle Cecenia e l’Ossezia del Sud scissionista. Di conseguenza, Cina e Stati Uniti hanno legato le operazioni sui gasdotti all’assistenza militare fornita ai paesi che si trovano lungo le rotte. Temendo una presenza americana, militare e non solo, negli ex territori dell'Unione Sovietica, la Russia ha risposto con proprie iniziative militari, tra cui il breve conflitto con la Georgia nell’agosto del 2008 che ha avuto luogo lungo la rotta del BTC.

Date le dimensioni delle riserve di petrolio e di gas del Caspio, molte compagnie energetiche stanno progettando nuove operazioni produttive nella regione, insieme ai gasdotti necessari per trasportare il petrolio e il gas sui mercati. L'Unione Europea, ad esempio, spera di costruire una nuova tubazione per il gas naturale chiamata Nabucco dall'Azerbaigian attraverso la Turchia fino all’Austria. La Russia ha proposto un gasdotto concorrente, il South Stream. Tutte queste iniziative riguardano gli interessi geopolitici delle maggiori potenze, garantendo che la regione caspica rimanga una fonte potenziale di crisi e di conflitto internazionali.

Nell'Era geoenergetica, lo Stretto di Hormuz, il Mare Cinese Meridionale e il bacino del Mar Caspio non sono polveriere isolate in ambito globale. Il Mar Cinese Orientale, dove Cina e Giappone si stanno contendendo un giacimento sottomarino di gas naturale, è un altro, come lo sono le acque che circondano le isole Falkland, dove Gran Bretagna e Argentina rivendicano i propri diritti sulle riserve sottomarine di petrolio, come lo sarà l’Artico globalmente riscaldato le cui risorse sono rivendicate da molti paesi. Una cosa è certa: nel 2012, dove c’è una scintilla in grado di esplodere, c’è anche petrolio in acqua e un pericolo a portata di mano.

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Fonte: Energy Wars 2012

10.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE