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Ad ogni tempo i suoi eroi

di Antonio Serena - 18/01/2012

Fonte: Liberaopinione




Il capitano Antonio Tajer, primo ufficiale di macchina del sommergibile “Scirè”,  Medaglia d’Argento e di Bronzo al Valor Militare,  era originario di Cornuda, un paese della pedemontana veneta in provincia di Treviso che solo di recente ha voluto ricordarsi di quel suo soldato di una “guerra fascista”.
Lo “Scirè” passò alla storia per la missione forse  più famosa compiuta dai mezzi della  Xa MAS, l’operazione «G.A. 3» contro la base di Alessandria d’Egitto, porto fino ad allora mai violato, portata a termine  nel dicembre 1941 e nel corso della quale furono colpite e praticamente distrutte  le corazzate britanniche Queen “Elizabeth” e “Valiant”, orgoglio della Marina britannica. La sua leggendaria avventura lo “Scirè” la terminò al largo delle coste di Haifa, il 10 agosto 1942, quando venne affondato assieme ai suoi 42 marinai. Per un disguido con i tedeschi, che collaborarono nell’operazione,  gli inglesi poterono individuare il sommergibile che lasciarono arrivare indisturbato fino all’imboccatura del porto colpendolo poi da  più direzioni precludendogli ogni via di fuga. Attaccato dall’aviazione nemica e via mare con bombe di profondità dalla corvetta HMS “Islay”, venne gravemente danneggiato. Emerso per evitare la morte di tutto l’equipaggio, il sommergibile fu subito bersagliato dalle batterie costiere che, colpendolo nella torretta ed a prua, ne provocarono il rapido affondamento prima che l’equipaggio potesse abbandonarlo. Dopo l’affondamento l’Islay effettuò un ultimo passaggio con il lancio di altre sei cariche di profondità, per completarne la distruzione. E’ rimasto assodato che, dopo l’affondamento, all’interno dello “Scirè” fossero rimasti vivi alcuni uomini, intrappolati in compartimenti non allagati, uccisi in seguito allo scoppio delle ultime bombe dell’Islay. Con lo “Scirè” perirono il comandante Zelik, altri 6 ufficiali, 15 sottufficiali, 19 sottocapi, 8 marinai dell’equipaggio e due ufficiali, 4 sottufficiali, 2 sottocapi e 3 marinai incursori della X MAS. Il sommergibile aveva svolto 14 missioni di guerra, percorrendo 14.375 miglia in superficie e 1590 in immersione.
Il fratello di Antonio Tajer, Francesco detto “Checchi”, pluridecorato nelle campagne di Albania e di Russia e successivamente  federale  fascista di Treviso, uomo stimato anche dai suoi avversari, dopo aver subito  processi ed epurazioni,  trovò lavoro all’estero dove  arrivò a ricoprire il ruolo di alto dirigente della FIAT in Messico (nell’Italia dei vincitori per gente simile non poteva esserci  posto). Nel corso di un suo ritorno in Italia  Checchi mi chiamò e mi consegnò tra le altre cose una commovente lettera che il Comandante della Xa MAS Junio Valerio Borghese, oltremodo affezionato ad Antonio, gli scrisse in occasione dell’affondamento dello “Scirè”.
Ma quel che neanche Borghese forse sapeva di quel suo amato ragazzo era un piccolo particolare che nel suo paese qualcuno ricorda ancora. Proprio prima di partire per l’ultima missione, il cap. Antonio Tajer era convolato a nozze e non poche pressioni gli erano state rivolte  perché, come da suo diritto, si prendesse una più che meritata licenza. Non c’era stato verso: “C’è in programma un’importante missione – confidò al fratello Checchi – e non potrei vivere sereno pensando ai miei compagni in difficoltà”.
In questi giorni in cui rimbalzano su stampa e televisione le tremende responsabilità del comandante della nave da crociera “Costa Concordia” naufragata all’isola del Giglio, non è possibile non fare un parallelo tra mondi e stili diversi. Tra il capitano Francesco Schettino che abbandona la sua nave più di quattro ore prima che l’evacuazione sia completata e nonostante gli fosse stato ordinato dalla Guardia Costiera  di tornare a bordo (secondo le leggi del mare il capitano deve essere l’ultimo a lasciare la nave) ed il capitano Antonio Tajer che spronato dal Dovere si svincola dall’abbraccio della sposa per correre incontro a sorella morte. O, anche, tra il capitano della  “Costa” e il comandante del “Titanic” Edward John Smith che la notte del 14 aprile 1912 morì  insieme a 1.516 persone dopo che la sua nave aveva urtato contro un iceberg.
Per i fratelli Tajer, combattenti e decorati al Valore anni di oblìo ed esilio; per il comandante della “Costa Concordia” – che si è già attribuito il merito di aver evitato con la sua manovra una tragedia più grande -  chissà, potrebbe anche spuntare un’assoluzione o cavarsela con una pena lieve. O potremmo magari scoprire che anche all’isola del Giglio, come nella tragedia del Cermis del 1998, non è successo niente.