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Grenada: l'avventurismo militare statunitense

di Dagoberto Bellucci - 18/01/2012

Fonte: dagobertobellucci.wordpress


“Dove diavolo è Grenada? si chiesero molti americani nell’ottobre 1983 quando lessero o sentirono alla televisione che gli Stati Uniti avevano invaso il paese caraibico. Quando molti tentarono di trovare dove fosse quel paese o perché gli USA l’avessero invaso, essi non ebbero risposta. Per qualche giorno vedemmo il nome sui giornali, poi in fretta scomparve.”

( Malcom Lagauche – “Tutto cominciò con Grenada” )

 

 

 

 

L’avventurismo militare degli Stati Uniti, unico nella storia contemporanea e nel suo genere per le modalità di intervento quasi sempre ammantate da buoni propositi di tipo “umanitario” ( l’umanitarismo sarà una delle principali armi propagandistiche utilizzate dal Grande Satana per interferire nelle vicende interne di nazioni sovrane in ogni angolo del pianeta) e considerazioni di ordine ipocritamente moralista, troverà agli inizi degli anni Ottanta – in piena era reaganiana coincidente con il riacutizzarsi dell’ostilità nei confronti dell’URSS dipinta dall’amministrazione dell’ex divo di Hoolywood come “l’impero del male” – la sua consacrazione attraverso l’invasione della piccola isola caraibica di Grenada.

Il pretesto utilizzato all’epoca dall’amministrazione repubblicana fu quello di proteggere un migliaio di cittadini statunitensi, la maggior parte dei quali studenti presso la St. George’s University Medical School, l’obiettivo reale quello di imporre le proprie volontà ad un insieme di nazioni della regione centro-americana che Washington continua a considerare – al pari dell’America Latina – né più né meno come un proprio cortile di casa secondo la dottrina Monroe d’inizio Ottocento.

Dottrina che, almeno nelle intenzioni del suo ideatore, doveva servire a tenere fuori dai conflitti europei l’Unione americana evitando accuratamente intromissioni dei vecchi colonialisti di Gran Bretagna, Francia e Spagna al di là dell’Atlantico.

La storia del XXmo secolo dimostrerà al contrario le volontà imperialiste degli USA e la loro sconfinata avidità al cui confronto finiscono per impallidire i vecchi imperi coloniali creati da Londra e Parigi. Il nuovo colonialismo statunitense finirà per sovrapporsi prima e surclassare successivamente le residuali velleità colonialiste delle nazioni europee e, dopo la seconda guerra mondiale, prendere decisamente il timone del blocco d’ordine capitalistico occidentale intervenendo ovunque l’amministrazione decideva che fossero “minacciate” la propria “sicurezza” e soprattutto i propri interessi nazionali i quali erano coincidenti con quelli delle multinazionali e dei grandi trust’s industriali del paese.

Le linee guida dell’espansionismo americano rifletteranno quindi le spinte espansionistiche dei capitali finanziari, industriali e commerciali degli USA lanciati alla conquista di nuovi mercati dall’America Latina all’Africa, dall’Europa Orientale al Vicino Oriente, dall’Asia centrale al sud-est asiatico. La contrapposizione ideologica con Mosca finirà per assorbire totalmente tutte le indicazioni strategiche e geopolitiche statunitensi offrendo spesso e volentieri il pretesto artificioso per un avventurismo bellico che, dalla guerra di Corea, non avrebbe trovato praticamente riposo favorendo ovunque colpi di Stato, cambi violenti di regime, repressione o operazioni undercover gestite dalla CIA.

A queste iniziative spesso faceva seguito l’intervento militare diretto come avverrà a Grenada nell’ottobre 1983.

Un paese piccolo , con appena centomila persone, Grenada era stata amministrata dal 1979 da un esecutivo di centro-sinistra capeggiato da Maurice Bishop.

Bishop non era comunista. Né lo erano i suoi sostenitori. Di comunisti veri e propri se n’erano visti pochi sull’isola. Ciò non toglie che l’America avesse visto in Bishop e nelle sue riforme – fin dalla sua elezione praticamente – un problema e quindi un nemico con il quale, prima o dopo, regolare i conti.

L’occasione propizia per l’amministrazione Reagan arrivò agli inizi di ottobre di quel 1983 quando il “New Jewel Movement” – partito al governo – venne dilaniato da una serie di faide intestine che portarono il 15 del mese all’arresto di Bishop da parte del comitato centrale del partito. Quattro giorni più tardi una schiera di sostenitori dell’ex premier liberò Bishop causando una serie di scontri a fuoco con alcuni reparti dell’esercito. Alla fine degli scontri Bishop ed alcuni dei suoi uomini vennero passati per le armi.

Questi episodi causarono un moto di condanna internazionale. Cuba dichiarò che “nessuna dottrina, principio o proclamata posizione rivoluzionaria e nessuna divisione interna può giustificare gli atroci atti come la soppressione fisica di Bishop e dell’eminente gruppo di onesti e degni leaders morti ieri” mentre l’ex premier giamaicano Michael Manley definì gli avvenimenti “uno squallido tradimento delle speranze della gente comune della nostra regione”.

Gli stati caraibici confinanti decisero allora di imporre delle sanzioni economiche. Anche gli USA espressero i loro timori per il precipitare degli eventi ma si dimostrarono alquanto indifferenti verso la sorte toccata a Bishop ed ai suoi.

A quanto pare – secondo quanto riportò in quei giorni il “Washington Post” – l’amministrazione avrebbe preso in considerazione di assediare Grenada fin dal 1979 anno in cui Bishop salì al potere.

Le relazioni con la piccola isola caraibica peggiorarono dopo che Reagan assunse il potere all’inizio del 1981. Un piano per scalzare il legittimo governo di Grenada venne messo a punto dal National Security Council e dalla CIA.

Gli USA offrirono anche un aiuto finanziario alla Banca per lo Sviluppo dei Caraibi a patto che Grenada ne restasse tagliata fuori.

Nell’ottobre 1981 le forze armate statunitensi condussero nei Caraibi un’esercitazione militare denominata “Amber and the Amberines” (con un riferimento affatto sottile proprio all’isola di Grenada) che prevedeva tra l’altro l’ipotetica liberazione di un gruppo di americani rimasti ostaggio di forze nazionaliste ostili.

Sempre in quel periodo Reagan rifiutò di accettare le credenziali dell’ambasciatore di Grenada e infine, a partire dai primi mesi del 1983, incominciò il battage propagandistico su presunti aiuti finanziari sovietici all’isola.

All’inizio di quell’anno un funzionario del Dipartimento USA lanciò l’allarme sull’eventualità che Grenada potesse fornire basi missilistiche all’Unione Sovietica. I media americani rilanciarono queste dichiarazioni alle quali se ne aggiunsero in breve altre secondo cui Grenada si stava preparando addirittura per ospitare una base subacqua da offrire ai sovietici.

Un reporter del “Washington Post” che decise di andare a vedere con i propri occhi la situazione si rese conto che il posto dove i grenadini avrebbero dovuto costruire l’ipotetica base subacquea era troppo poco profondo.

Ma la campagna contro Grenada era appena agli inizi e, in un crescendo, si arrivò perfino a sostenere che il governo dell’isola stesse per costruire a Point Salinas un nuovo aeroporto che sarebbe diventato una base militare per Cuba o per l’URSS.

Effettivamente Grenada aveva intenzione di dotarsi di un nuovo aeroporto e , d’altronde, era una priorità economica che era stata sottolineata fin dal 1980 dalla stessa Banca Mondiale : priva di un aeroporto di dimensioni decenti l’isola si precludeva maggiori introiti dall’industria del turismo.

Ma i funzionari del Dipartimento mentirono sulle dimensioni del nuovo aeroporto e l’amministrazione , presa da una frenesia senza precedenti, cercò di darsi risposte alimentando ovviamente sui media la minaccia rappresentata da Grenada.

Si arrivò così ai sanguinosi avvenimenti dell’ottobre 1983 che portarono all’instaurazione di un governo militare retto dal generale Hudson Austin, comandante in capo delle forze armate dell’isola che annunciò – immediatamente dopo l’eliminazione di Bishop – la creazione di un Comando Militare Rivoluzionario e l’instaurazione di un coprifuoco di 96 ore.

I funzionari americani asserirono che il coprifuoco metteva in pericolo i cittadini americani residenti e che questi non potevano lasciare l’isola. Nessuna delle due asserzioni risultava vera ma tutte andavano nella direzione impressa da Washington agli avvenimenti.

Nessuno, americano o grenadino, era stato ucciso durante il coprifuoco. A nessuno anzi venne tolto un capello. Non vi furono affatto minacce tantomeno agli americani.

L’amministrazione Reagan diffuse allora la notizia secondo cui il governo dell’isola, con il concorso di consiglieri cubani, stesse progettando di prendere in ostaggio cittadini degli Stati Uniti.

Queste dichiarazioni non suffragate da alcuna prova – anzi , al contrario sia le autorità dell’isola che quelle cubane diederono esplicite assicurazioni sulla sicurezza degli americani; assicurazioni che ovviamente rimasero inascoltate a Washington dove era già stato deciso il piano per un’invasione militare – alzarono immediatamente la tensione quando non ce n’era assolutamente bisogno anche in considerazione del fatto che agli studenti americani le autorità dell’isola avevano dato massime garanzie e assistenza logistica.

Agli studenti furono anche assegnati mezzi di trasporto supplementari. Nessuno degli studenti che era uscito durante il periodo del coprifuoco aveva ricevuto minacce né erano stati fermati dai militari che pattugliavano i punti nevralgici della capitale e di altre zone sensibili dell’isola.

Gli stessi genitori degli studenti a New York la sera del 23 ottobre si rivolsero a Reagan scongiurandolo di non prendere iniziative avventate o precipitose in quel momento.

I diplomatici americani che erano volati sull’isola anziché rassicurare gli studenti stavano tentando con ogni mezzo di convincerli sull’imminente pericolo che sovrastava le loro teste. Fu a tarda notte di quella domenica 23 ottobre che una radio annunciò l’imminente invasione di Grenada da parte di truppe americane. Quest’annuncio destò vivo stupore tra gli studenti e perfino tra il corpo diplomatico del Canada e della Gran Bretagna.

Il governo di Grenada inviò allora una nota diplomatica agli Stati Uniti trasmettendone poi il testo sulle onde della Radio Grenada Libera. La radio di Stato dell’isola condannava i piani dell’invasione e le minacce, offriva il dialogo e buone relazioni e annunciava nei suoi messaggi radiofonici – ascoltati in tutti i Caraibi – che “le vite, l’incolumità e le proprietà di ogni americano e degli altri cittadini stranieri residenti a Grenada sono pienamente protette e garantite dal nostro governo”.

Ma i piani per l’invasione erano già stati presi e il 24 ottobre scattò quella che prenderà il nome di operazione “furia urgente” – gli americani sono specialisti nell’utilizzo di simili idiozie lessicali che dovrebbero ammantare di eroico ed umanitario ogni loro intervento militare – che prevedeva la liberazione dei loro connazionali dal campus universitario. “Liberazione” di cui nessuno sentiva oggettivamente bisogno.

L’esercito di Grenada non mise alcuna postazione militare nei dintorni della scuola e se mai gli studenti corsero qualche pericolo ciò fu causato proprio dall’invasione stessa che, tra le altre cose, prese di mira anche un ospedale psichiatrico causando una dozzina di vittime.

Le truppe americane andarono ben oltre i loro compiti: non solo “liberarono” i loro connazionali ma, com’era prevedibile, ne approfittarono per deporre il governo militare di Austin e aggiungendo – quale giustificazione fittizia – che l’invasione era stata espressamente richiesta dall’Organizzazione degli Stati Caraibici Orientali (OECS) come misura di sicurezza collettiva.

Una giustificazione pretestuosa: se è infatti vero che la maggior parte dei membri dell’OECS sostenne l’invasione è altrettanto vero che questa organizzazione non aveva alcuna autorità legale per autorizzare l’uso della forza militare.

Non a caso la richiesta formale dall’OECS per l’invasione americana venne redatta a Washington in fretta e furia. I trecento militari forniti dall’organismo per la cooperazione regionale erano di fatto forze di polizia che non videro alcun combattimento restando passivi per tutta la durata dell’invasione. I contingenti più numerosi inoltre provenivano da Barbados e Giamaica due paesi che non appartenevano all’OECS.

L’intera vicenda sul piano del diritto internazionale faceva acqua da tutte le parti. Perfino la pretesa che la richiesta d’invasione agli USA fosse arrivata dal Governatore Generale dell’Isola , Paul Scoon, venne messa in discussione come rivelò qualche settimana dopo la rivista britannica “The Economist” la quale scrisse chiaramente che “la richiesta di Scoon era quasi sicuramente una montatura architettata dall’OECS e da Washington per placare la tempesta diplomatica post-invasione”.  Da notare che “The Economist” era favorevole all’invasione.

Nessun documento, nessuna prova scritta, nessuna informazione venne recuperata neppure sui supposti appoggi sovietici o cubani all’amministrazione militare grenadina.

All’epoca l’opinione pubblica internazionale fu molto critica verso Washington e condannò il suo interventismo spregiudicato. Alle Nazioni Unite soltanto El Salvador , Israele e qualche altro paese caraibico votarono al fianco degli Stati Uniti contro una risoluzione che condannava l’intervento americano. Perfino la dama di ferro, signora Margareth Thatcher, principale alleato europeo di Washington criticò seppur ‘garbatamente’ l’operazione statunitense contro Grenada. Un deputato laburista, molto meno ‘garbato’ evidentemente del suo premier, definì in parlamento la politica degli Stati Uniti come “condotta da un mucchio di affaristi ignoranti guidati da un presidente che è un pericoloso cretino”…e tant’è ci sarebbe ben poco da aggiungere se non che quel “pericoloso cretino” avrebbe condotto la politica americana per tutti gli anni Ottanta realizzando infine la debacle del nemico sovietico favorita anche – se non soprattutto – dal trappolone afgano nel quale il Cremlino era andato ad impelagarsi fin dal 1979 e dalla drammatica situazione economica che neanche la Glasnost promossa da Gorbaciov poteva risolvere.

L’invasione di Grenada fu il primo vero approccio bellico statunitense dopo la sconfitta in Vietnam.

Rappresentò un test tutto sommato più che agevole per le forze speciali americane e per l’amministrazione. D’altronde sarebbe stato abbastanza inverosimile subire smacchi da una nazione sottosviluppata di appena centomila abitanti che aveva un qualche centinaio di uomini in divisa.

L’invasione non risolse ovviamente niente della situazione degli isolani molti dei quali , a quel punto, auspicarono che Grenada diventasse ufficialmente parte degli Stati Uniti come rivelò un sondaggio condotto sull’isola alcuni mesi più tardi.

Una delegazione britannica del partito laburista provò che erano stati inferti maltrattamenti contro i militanti del New Jewel Movement durante e dopo l’invasione statunitense. La milizia paramilitare di Bishop era accusata di essere illegale però il Consiglio degli Affari Emisferici riferì nel novembre 1985 che la forza di polizia che la sostituì, composta da 800 individui e addestrata dagli americani, si dimostrò ancor più brutale guadagnandosi una pessima reputazione per gli arresti arbitrari e l’abuso di potere con la quale svolgeva il proprio servizio.

Un anno più tardi il governo di Grenada ottenne l’approvazione parlamentare per imporre lo stato d’emergenza e iniziò la confisca di opere letterarie ‘sgradite’, impose la censura sulla stampa arrivando perfino a modificare le parole della musica locale, il calipso. Nel 1987 un documento sfuggito al controllo del partito al potere raccomandava la creazione di unità speciali dei servizi segreti per lo spionaggio sugli avversari politici.

Il programma economico e sociale del nuovo esecutivo, sollecitato dai consiglieri statunitensi, fu quello di ridurre profondamente qualunque tipo di assistenza sociale e aumentare le entrare attraverso una tassa decrescente sul valore aggiunto. Tutto ciò provocò l’aumento della disoccupazione, un netto peggioramento delle condizioni di vita, il deterioramento progressivo di servizi essenziali quali sanità ed istruzione costringendo un gran numero di grenadini ad abbandonare l’isola (con un aumento medio di oltre il 25% rispetto all’epoca di Bishop).

Il giornalista Jonathan Steele   si occupò dell’ invasione di Grenada non appena alla stampa fu permesso di entrare nel paese, dopo che per cinque giorni le truppe americane avevano impedito ogni sorta di comunicazione con quel paese. L’ 11 ottobre 2003 apparve sul giornale britannico The Guardian un articolo di Steele nel quale il giornalista ricordava la sua esperienza in occasione dell’ invasione di Grenada e la metteva a confronto con l’ invasione dell’ Iraq nel 2003. Secondo Steele:

Reporters who covered Grenada in that distant autumn of 1983 saw the same abuse of human rights, the same postwar incompetence, the same primitive failure to understand a foreign culture which the US “war on terror” was later to produce. None of us was allowed into Point Salines, the airport which the US took over as its occupation headquarters. But looking across rows of barbed wire we caught glimpses of detainees being herded into wooden crates. The entrances to these boxes were less than three feet high and prisoners had to undergo the humiliation of having to crouch on all fours to get in. A single tiny window in each crate gave the luckless prisoners a view of armed guards in sandbagged watchtowers. It was the prototype of Guantanamo Bay’s Camp X-Ray”.

ovvero:

i giornalisti  che si recarono a Grenada in quel lontano autunno del 1983 videro gli stessi  abusi dei diritti umani, la stessa incompetenza a gestire il dopoguerra e la stessa incapacità a comprendere una cultura straniera che poi si registrò successivamente in occasione della “Guerra al Terrore”. A nessuno di noi fu permesso accedere a Point Salines l’ aeroporto che le truppe USA avevano requisito per farne il quartier generale delle forze di occupazione. Ma guardando attraverso il filo spinato potemmo riuscire a scorgere detenuti in cassoni di legno. Un’ unica stretta finestra in ogni cassone dava agli  sfortunati prigionieri la visione di sentinelle armate in posti di guardia rivestiti di sacchetti di sabbia. Era l’ antesignano del campo della baia di Guantanamo.” (1)   

L’invasione di Grenada non migliorò l’immagine delle forze armate USA, non diede alcun tipo di onore né vantaggi concreti al suo governo ma , di fatto, servì a rinforzare e proiettare all’esterno un’immagine – quella che Reagan sognava per la sua America – di nazione vincente, pronta a mobilitare rapidamente le proprie forze armate per la difesa dei suoi interessi nazionali.

In realtà l’invasione di Grenada rimane quale esempio lampante di politica imperialistica tout court , di quell’imperialismo che – negli anni seguenti – avrebbero purtroppo e a loro spese conosciuto i cittadini di Panama, dell’Iraq, della Somalia, della Serbia, dell’Afghanistan, nuovamente dell’Iraq e infine – dulcis in fondo – più recentemente quelli della Libia già soggetti peraltro a bombardamenti statunitensi a metà anni Ottanta.

Scriverà a proposito di Grenada l’intellettuale Noam Chomsky: “Prendiamo Grenada. In seguito alla sua ‘liberazione’ nel 1983 – dopo diversi anni di guerra economica Usa e di minacce ormai cancellate dalla storia – l’isola diventò il maggior destinatario (pro capite) di aiuti Usa (dopo Israele, che è un caso a parte). L’amministrazione Reagan volle che diventasse una ‘vetrina del capitalismo’, formula convenzionale usata ogniqualvolta un paese viene salvato dai propri abitanti e rimesso sulla retta via; il Guatemala, invaso nel 1954, era stato un altro di questi ‘successi’. I programmi di riforma imposti a Grenada provocarono i soliti disastri sociali ed economici, ed ora sono criticati persino da quel settore privato che godeva i benefici di tali imposizioni. Inoltre, “l’invasione ha avuto l’effetto sui tempi lunghi di soffocare la vita politica dell’isola”, scrive da Grenada l’assistente speciale di Carter, Peter Bourne, insegnante in quell’istituto di medicina i cui studenti sarebbero stati ‘salvati’ dall’intervento Usa: “I leader locali deboli e compiacentemente pro-americani non sono stati in grado di elaborare alcuna politica creativa per risolvere i problemi sociali ed economici di Grenada” mentre sull’isola si registrano livelli record di alcolismo e tossicodipendenza, “un malessere sociale paralizzante” cosicché a gran parte della popolazione non resta che “fuggire dal suo bellissimo paese”.

In realtà l’invasione ha prodotto qualcosa di positivo, scrive Ron Suskind in un articolo apparso sulla prima pagina del “Wall Street Journal” con il titolo “Resa sicura dai Marines, Grenada adesso è un paradiso per le banche offshore”. Anche se, come osserva un parlamentare, capo di una ditta di investimenti, l’economia è in “uno stato terribile” – grazie ai piani di ristrutturazione gestiti dall’”Usaid” (“U.S. Agency for International Development”), ma questo il “Journal” non lo dice. Quel che conta è che per gli Usa, con 118 banche offshore, una per ogni 64 abitanti, la capitale di Grenada “è diventata la Casablanca dei Caraibi, un rifugio sicuro per il riciclaggio del denaro, l’evasione fiscale e varie truffe finanziarie”. Avvocati, ragionieri ed alcuni uomini d’affari se la passano bene; come, senza dubbio, i banchieri stranieri, i riciclatori di denaro ed i signori della droga, al sicuro dalle grinfie della tanto reclamizzata ‘guerra alla droga’.” (2)

 “Business is business….”