Ad un amico
di Giuseppe Gorlani - 18/01/2012
Se soltanto sapessi inchinarti all’Inconoscibile, come le nubi sulla terra, il Maestro ti noterebbe. In quanto Signore dell’immenso reame che ti vive nell’intimo, manderebbe messaggeri alla coscienza di veglia e getterebbe ponti sull’abisso della separatività. In ogni caso verrebbe a cercare se stesso attraverso il guscio che chiami il “mio io”. E il “mio” si dissolverebbe, un altro occhio si aprirebbe e finalmente ti sarebbe dato comprendere la condizione umana e la Via che conduce al di là di essa.
Ora ti arrabatti tra aspettative evolutive, tecniche “spirituali” e costruzioni mentali di ogni genere. Fai di tutto pur di non fermarti. Il tuo orecchio interiore resta occluso. Il presumere ti domina e non sai e non sei nulla. Ancora non hai conosciuto la pochezza o, meglio, la vacuità connaturata al senso dell’“io”.
Grande e meraviglioso sarà il giorno in cui l’architettare della piccola mente si paleserà nella sua inanità e la monade si inchinerà a quell’“energheya” divina che emana, sostiene e riassorbe la molteplicità delle monadi-scintille. Un poeta veggente lo ha chiamato “il giorno lieto”.
Soltanto allora potremo incontrarci e comprenderci nella comune apertura al Vero in sé. Seduti nella legnaia berremo tè verde e tu non sarai più “tu”, ed io non sarò più “io”. Le nubi si compenetreranno, si frastaglieranno, danzeranno, elargendo pioggia; la pioggia si trasformerà in foglie, insetti, uccelli; gli uccelli si affaccieranno alla coscienza come vibranti epifanie divine. E gli antichi filosofi, maestri nel dialogo volto a svelare “Aletheya”, sorrideranno.