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Il principio di autorità e il governo di sé

di Claudio Risé - 24/01/2012

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Si dice  che il naufragio della Concordia sia la perfetta metafora della fine del principio di autorità. Che non esisterebbe praticamente più: da qui gli errori del Capitano, della Compagnia, degli organismi di soccorso etc. E’ davvero così? La nostra società ha dunque liquidato ogni autorità? E’ meglio chiarirlo, perché l’uso impreciso delle parole ispira spesso comportamenti disastrosi. In questa storia le autorità c’erano, ma sembra abbiano, ognuna a suo modo, fatto gravi errori.
La questione è rilevante, non solo per le vittime, ma perché in effetti ha a che fare con  come si sia modificato il principio d’autorità, con conseguenze devastanti sulla psicologia e la vita delle persone. L’autorità ha in sé due anime diverse: la responsabilità verso sé stessi e gli altri, che ci si impegna a proteggere, e il potere, che consegue da questa assunzione di responsabilità. Fin dall’ alba dell’umanità, gruppi di uomini impauriti dai predatori  e dalla natura riconobbero l’autorità di quei capi che si dimostravano capaci di fronteggiarle, e di addestrare gli altri a farlo. Da questo punto di vista l’autorità deriva dalla capacità di educare le proprie pulsioni, impaurite e  distruttive, garantendo così la protezione agli altri.  Se non sei capace di concentrazione e autodisciplina, non controlli nulla né dentro né fuori di te, e non puoi essere un buon capo. Non hai autorità perché non sei in grado di assumertene la responsabilità, neppure verso te stesso.  Autorità, nelle lingue classiche, è legata all’autore, a chi fa crescere qualcosa, ai fondatori di comunità, verso le quali si assumono responsabilità di educazione, e difesa. Anche il capitano di una nave, d’altra parte, nel momento in cui assume il comando, fonda una comunità: quella di tutti coloro che saranno, a diverso titolo, su quella nave.
Cosa è accaduto nella modernità occidentale, in modo sempre più veloce dopo le tragedie dei grandi campi di concentramento nazisti e comunisti, dove il “principio di autorità”, fu invocato dai carnefici per limitare ai capi le proprie responsabilità sull’accaduto? L’autorità è stata vista sempre di più esclusivamente come un attributo del potere. Si sono teorizzati così cose come l’”educazione antiautoritaria”, come se si potesse educare senza insegnare all’altro ad assumersi la responsabilità di disciplinare quelle spinte personali che tenderebbero a sopraffare l’altro, o a distruggersi. In questo processo l’autorità è stata progressivamente svuotata del suo aspetto fondante: quello educativo, di formazione e protezione nei confronti dell’altro. E’ rimasta però, l’autorità, ed anzi ha continuato ad aumentare, nel suo aspetto di potere verso gli altri. Non solo, infatti, ha continuato a crescere  l’estensione e l’autorità delle burocrazie, nelle quali già all’inizio del secolo  scorso Max Weber vedeva il grande pericolo per le democrazie. Ma le tradizionali figure educative: i Maestri, i Capitani, i Saggi, coloro la cui autorità derivava dalla capacità di insegnare, far crescere, e proteggere gli altri, sono diventati dei burocrati. Persone che arrivano pressoché automaticamente, per anzianità o regolamenti impersonali, alle posizioni di autorità, e che spesso non sono in grado di proteggere neppure sé stessi dalle spinte distruttive elementari che la vita non risparmia a nessuno, soprattutto se ha una posizione di visibilità o privilegio. Non è che l’autorità manchi: si è moltiplicata come una metastasi, e, quando non è apertamente aggressiva, è egoista e indisciplinata. Quindi non fonda comunità, ma, per vanità o brama, rischia di distruggerle.