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La lega araba provoca la Siria

di Michele Paris - 24/01/2012


Al termine del summit andato in scena domenica al Cairo per fare il punto sulla situazione della propria missione in Siria, la Lega Araba ha approvato una nuova improbabile proposta per cercare di risolvere la crisi in corso nel paese mediorientale. La soluzione promossa da un’organizzazione panaraba profondamente divisa al proprio interno include le dimissioni del presidente siriano, Bashar al-Assad, il trasferimento dei poteri ad un suo vice e l’avvio di negoziati per giungere ad una transizione pacifica. Le scadenze indicate dalla Lega Araba prevedono la formazione di un governo di unità nazionale entro sessanta giorni ed elezioni entro cinque mesi per scegliere l’assemblea incaricata di scrivere una nuova costituzione.

In un clima sempre più teso e con un paese sull’orlo della guerra civile, la proposta della Lega Araba non ha praticamente nessuna possibilità di essere accettata a Damasco, anche se è stata ovviamente salutata positivamente dai rappresentanti del cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano presenti nella capitale egiziana. Il CNS ha comunque confermato che non intende aprire trattative con Assad finché il presidente non lascerà il potere. Il governo siriano, da parte sua, ha già respinto la proposta. Un esponente del regime, citato dall’agenzia di stampa ufficiale SANA, ha bollato il piano stilato al Cairo come una chiara violazione della sovranità della Siria.

Dietro alla nuova road map della Lega Araba ci sono soprattutto le monarchie del Golfo alleate degli Stati Uniti e, in particolare, l’attivissimo regime del Qatar. È stato infatti il ministro degli Esteri del piccolo emirato, Sheikh Hamad bin Jassim al-Thani, a spiegare alla stampa internazionale il contenuto della proposta. “Abbiamo chiesto al regime siriano di farsi da parte e cedere il potere”, ha dichiarato alla Reuters al-Thani, il quale ha poi fatto appello al pretesto di difendere i diritti democratici delle masse arabe - come già era avvenuto in Libia per rovesciare Gheddafi - affermando che la Lega Araba sta “con il popolo siriano e sostiene le sue aspirazioni”.

La proposta in questione è stata paragonata dai media di mezzo mondo a quella adottata in Yemen e che sembra essere in fase di implementazione in queste settimane. Quest’ultimo accordo tra il regime e l’opposizione ufficiale prevede l’abbandono del potere da parte del presidente, Ali Abdullah Saleh, la sua sostituzione con il vice-presidente e nuove elezioni entro la fine di febbraio. Al presidente Saleh, in viaggio verso gli Stati Uniti proprio in queste ore per ricevere cure mediche presso un ospedale newyorchese, è stata inoltre garantita la totale immunità da eventuali incriminazioni per aver represso nel sangue le proteste in corso nel suo paese.

Le due proposte, sebbene siano state promosse dalle stesse monarchie assolute del Golfo che garantiscono gli interessi americani in Medio Oriente, hanno in realtà diverse finalità strategiche. Mentre in Yemen l’obiettivo è quello di sacrificare Saleh per mantenere in vita un regime invariato nella sostanza e che continui a garantire la partnership con Washington, in Siria si tratterebbe di rimuovere un presidente sgradito all’Occidente - per il quale, com’è ovvio, non si parla di alcuna immunità - così da spianare la strada verso il potere ad un’opposizione legata a doppio filo con l’Occidente e ai regimi sunniti della regione, possibilmente cercando un accomodamento con quei membri del regime di Damasco pronti a scaricare Assad. Ciò che accomuna le due proposte, nonostante la retorica, è invece il totale disinteresse per le aspirazioni dei popoli yemenita e siriano nel cui nome si sostiene di agire.

La risoluzione partorita domenica al Cairo, oltre a rappresentare un altro modo per puntare il dito contro il regime siriano per non aver accettato una proposta che rappresenterebbe un suicidio, è in ogni caso un compromesso, dal momento che i paesi del Golfo chiedevano misure più incisive contro Assad.

L’Arabia Saudita ha infatti annunciato nella giornata di domenica il ritiro dei propri osservatori che fanno parte della missione lanciata dalla Lega in Siria il 26 dicembre scorso. Lo stesso ministro degli Esteri del Qatar, a sua volta, in un’intervista diffusa qualche giorno fa aveva prospettato per la prima volta l’ipotesi di impiegare soldati dei paesi arabi in Siria.

La sorte della missione era stata affrontata in precedenza dal summit della Lega Araba, in apertura del quale il capo degli osservatori, il generale sudanese Mohammed Ahmed Mustafa al-Dabi, aveva descritto qualche miglioramento della situazione in Siria e chiesto un rafforzamento del suo mandato.

Anche la stessa Lega, nonostante le richieste di alcuni paesi di richiamare gli osservatori, ha alla fine ammesso qualche piccolo passo avanti, decidendo di prolungare la missione per un altro mese perché Damasco non ha ancora implementato tutte le misure a cui aveva dato l’OK nel mese di dicembre (ritiro delle forze armate dalle città assediate, liberazione dei prigionieri politici, avvio di un dialogo con l’opposizione).

Il rapporto di al-Dabi e la decisione della Lega sul prolungamento della missione sono stati al contrario criticati dal Consiglio Nazionale Siriano, il quale già sabato aveva chiesto di rimettere la soluzione della crisi nelle mani del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questo tentativo è appoggiato anche dai paesi del Golfo, dagli USA e dai loro alleati in Occidente, poiché rappresenterebbe il primo passo verso una soluzione simile a quella libica, dove l’aggressione militare della NATO era stata resa possibile grazie alla manipolazione di una risoluzione dello stesso Consiglio di Sicurezza nel marzo 2011.

Negli ultimi giorni, intanto, alcuni segnali provenienti dalla Siria sembrano indicare un’espansione delle operazioni condotte dall’opposizione, finanziata e armata da quegli stessi paesi vicini che chiedono ad Assad di fermare le violenze. Almeno secondo i resoconti delle varie organizzazioni vicine all’opposizione, ad esempio, la città di Zabadani sarebbe finita sotto il controllo dei ribelli e risulterebbe temporaneamente pacificata in seguito ad un cessate il fuoco siglato con le forze del regime. A Douma, poi, dopo aspri scontri armati, domenica scorsa i soldati che hanno defezionato avrebbero conquistato per alcune ore il controllo di alcuni quartieri della città situata a pochi chilometri da Damasco

Le pressioni esterne sul governo siriano hanno fatto segnare infine un altro passo avanti nella giornata di lunedì, quando l’Unione Europea ha annunciato nuove sanzioni che andranno a colpire altri 22 membri del governo Assad. In questo scenario, le tensioni prodotte dalla crisi siriana rischiano di innescare un conflitto che potrebbe coinvolgere le potenze minacciate dallo sconvolgimento degli equilibri mediorientali causato dall’eventuale caduta di Assad, a cominciare dalla Russia.

Che il Cremlino sia determinato a resistere sanzioni ONU e interventi militari contro Damasco appare chiaro anche dall’appoggio che continua a garantire all’alleato siriano. A confermarlo è stata, tra l’altro, una recente rivelazione apparsa sul quotidiano russo Kommersant, secondo il quale Mosca avrebbe appena stipulato un contratto da 550 milioni di dollari con il regime di Assad per la fornitura alla Siria di 16 aerei da guerra Yakovlev Yak-130.