Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Iran: sanzioni utili agli Usa

Iran: sanzioni utili agli Usa

di Michele Paris - 25/01/2012

  


Come annunciato da qualche settimana, l’Unione Europea nella giornata di lunedì ha approvato un embargo totale sulle importazioni di petrolio dall’Iran che entrerà pienamente in vigore tra qualche mese. Le misure adottate nel corso di un summit dei 27 paesi membri a Bruxelles fanno seguito alle sanzioni già approvate dall’amministrazione Obama il 31 dicembre scorso e, oltre a rappresentare un chiaro atto di guerra economica contro Teheran, rischiano di aggravare ulteriormente le tensioni che nel Golfo Persico hanno già raggiunto un pericoloso livello di guardia.

Come se non bastasse, l’iniziativa UE potrebbe anche mettere a repentaglio la sicurezza energetica di alcuni paesi europei - favorendo gli interessi degli Stati Uniti, che non importano greggio dall’Iran - e far lievitare ancor di più il prezzo dei carburanti.

Il provvedimento dell’Unione Europea proibisce con effetto immediato la stipula di qualsiasi nuovo contratto petrolifero con la Repubblica Islamica, mentre quelli già in essere dovranno terminare entro il primo luglio. Il primo maggio, invece, si terrà un nuovo vertice per verificare l’impatto delle sanzioni, soprattutto su quei paesi, come Italia, Spagna e Grecia, maggiormente dipendenti dal greggio iraniano.

Oltre al divieto di importare petrolio e altri prodotti petrolchimici da Teheran, il pacchetto appena approvato include anche il congelamento sia delle esportazioni di equipaggiamenti tecnologici che degli investimenti nel settore energetico iraniano.

I governi UE hanno preso di mira anche il settore finanziario, bloccando i beni della Banca Centrale iraniana in Europa. Tuttavia, rimarranno alcune eccezioni che consentiranno alcuni scambi commerciali ritenuti legittimi.

Durante il 2011, l’Unione Europea nel suo complesso ha acquistato quasi un quinto delle esportazioni di petrolio dell’Iran. Secondo i dati del governo americano, nel 2010 è stata l’Italia il primo importatore di greggio iraniano, con il 10% del totale esportato da Teheran. Per far fronte alla scomparsa del petrolio proveniente dall’Iran e diretto all’Europa, sembrano essere in corso trattative per reperire nuove forniture, in particolare con i governi di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Kuwait, ma anche Iraq, Libia e Ghana.

Nonostante tra i paesi più penalizzati dall’embargo ci sia proprio l’Italia, il ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, ha espresso soddisfazione per le nuove sanzioni, assicurando che il governo sta cercando di differenziare le forniture di petrolio, rivolgendosi ad altri paesi come la Libia. Riecheggiando la consueta retorica americana e statunitense, l’ex ambasciatore italiano a Washington ha inoltre ribadito che nei confronti dell’Iran “l’uso della forza è un’opzione che rimane sul tavolo”, anche se “le sanzioni stanno funzionando”.

Aldilà delle rassicurazioni del ministro, le conseguenze per l’Italia potrebbero essere tutt’altro che trascurabili. Un articolo di Roberto Bongiorni sul Sole24Ore afferma, ad esempio, che “ci sono impianti di raffinazione in Italia capaci di processare quasi solo il tipo di greggio proveniente dall’Iran”. “L’impatto ci sarà”, spiega poi Pietro De Simone, direttore dell’Unione petrolifera italiana, “sui prezzi del greggio, su quelli dei prodotti raffinati e sulle raffinerie già in difficoltà”.

Per quanto riguarda invece la diversificazione delle forniture, avverte Dario Scaffardi, direttore generale della compagnia di raffinazione Saras, “non è un’operazione che si fa su due piedi” e soprattutto potrebbe causare un aumento consistente dei costi.

Dal momento che le esportazioni di petrolio rappresentano la principale fonte di entrate per il governo iraniano, l’impatto delle nuove sanzioni su Teheran potrebbe avere un qualche peso. Solo negli ultimi giorni la moneta locale (Rial) ha fatto registrare una discesa del 14% nei confronti del dollaro USA.

Secondo il Dipartimento del Tesoro americano, dal settembre scorso il Rial ha perso addirittura il 70% del proprio valore, causando una vertiginosa impennata del livello d’inflazione nel paese.

L’export del greggio iraniano, in ogni caso, è diretto in gran parte verso l’Asia, dove le reazioni alle misure imposte da Stati Uniti e UE sono state tutt’al più improntate alla cautela. Nel 2010, la Cina ha ricevuto il 20% delle esportazioni iraniane di petrolio, il Giappone il 17%, l’India il 16% e la Corea del Sud il 9%. Mentre Giappone e Corea del Sud, alleati di Washington, hanno mostrato molti dubbi di fronte alle richieste americane di ridurre le forniture di greggio dall’Iran, Cina e India hanno respinto fermamente le sanzioni contro Teheran.

Nel promuovere l’implementazione dell’embargo, i leader europei hanno ancora una volta mostrato tutta l’ipocrisia che contraddistingue la politica occidentale verso la Repubblica Islamica e il suo programma nucleare. Ad esprimere le motivazioni ufficiali della mossa UE è stato, tra gli altri, il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, il quale ha affermato che “per evitare qualsiasi soluzione militare, che avrebbe conseguenze irreparabili, abbiamo deciso di procedere con ulteriori sanzioni” nei confronti dell’Iran, al quale si chiede di “accettare il dialogo che proponiamo”.

In realtà, la disponibilità a far ripartire i negoziati sul nucleare è stata più volte manifestata da Teheran in questi anni ma ha sempre incontrato il netto rifiuto degli USA e dell’Europa, i quali hanno sempre posto vincoli inaccettabili al governo iraniano. Solo per riaprire le discussioni, l’Iran dovrebbe in sostanza sottomettersi completamente ai diktat occidentali, sospendendo incondizionatamente il proprio programma di arricchimento dell’uranio, per il quale non è stata finora presentata alcuna prova credibile che sia indirizzato alla costruzione di un ordigno nucleare.

Alle dichiarazioni di Juppé ha fatto seguito una nota congiunta del primo ministro britannico, David Cameron, del cancelliere tedesco, Angela Merkel, e del presidente francese, Nicolas Sarkozy, i quali hanno salutato “un pacchetto di sanzioni senza precedenti contro l’Iran”, colpevole di aver trascurato i propri obblighi internazionali e di aver “esportato la violenza nella regione”. Dichiarazioni simili nascondono a malapena il cinismo di questi governi, i quali, quanto meno, appoggiano le operazioni più o meno segrete condotte in Iran dai servizi segreti americani e israeliani e che hanno portato, tra l’altro, all’assassinio mirato di svariati scienziati iraniani negli ultimi anni.

Queste azioni, così come le sanzioni economiche, fanno parte di una strategia ben precisa per indebolire il regime di Teheran e, possibilmente, provocare una reazione che possa giustificare un intervento armato da parte di Stati Uniti o Israele. Proprio da Washington, negli ultimi giorni sono giunte altre provocazioni verso l’Iran.

Il Pentagono ha infatti rafforzato la presenza di portaerei americane nelle vicinanze del Golfo Persico e domenica scorsa la USS Abraham Lincoln, scortata da navi da guerra francesi e britanniche, ha attraversato lo Stretto di Hormuz, una manovra che gli iraniani avevano intimato di non eseguire solo pochi giorni prima.

Sempre lunedì, inoltre, l’amministrazione Obama ha imposto sanzioni sulla Banca Tejarat, il terzo istituto finanziario iraniano e il ventitreesimo a finire sulla lista nera del Dipartimento del Tesoro. Per Washington, la misura chiude uno dei pochi canali rimasti all’Iran di accedere al sistema finanziario internazionale.

In precedenza, delegazioni diplomatiche americane erano state inviate in varie capitali, soprattutto asiatiche, per cercare collaborazione in funzione anti-iraniana. Un articolo di lunedì scorso del Wall Street Journal, infine, ha rivelato come gli USA stiano facendo pressioni anche su compagnie private e governi africani per convincerli a sospendere partnership commerciali e investimenti in Iran. L’iniziativa sembra avere avuto per ora qualche successo con compagnie del Sudafrica e dell’Angola.

I toni di sfida comprensibilmente riservati dal governo iraniano per le misure punitive di Washington sono stati ribaditi anche lunedì per quelle dell’UE. La reazione ufficiale è arrivata dal portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast, per il quale le sanzioni approvate a Bruxelles sono “ingiuste e destinate a fallire”.

Queste ultime sono state accolte negativamente anche da Cina e Russia, ferme nelle loro intenzioni di continuare a fare affari con Teheran. Lunedì il ministero degli Esteri di Mosca ha perciò espresso “dispiacere e allarme” per le sanzioni europee, definendole “un tentativo di strangolare un intero settore dell’economia iraniana”. Per la Russia, “è chiaro che questo genere di pressioni e questi diktat rappresentano un errore”, poiché in nessun modo convinceranno “l’Iran a fare concessioni o a cambiare la propria politica”.