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Appunti su indipendentismo e altro, oltre

di Decimo Cirenaica - 25/01/2012


 http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/bf/Bronzetto_sardo_1-2.jpg
 
 

La politica sarda, oggi, è italiana nel momento in cui risponde alle indicazioni politiche – puntualmente eseguite – che arrivano da partiti italiani; quindi sempre. E questo può bastare a farci indipendentisti? Certo che sì: chiedere sovranità è immaginarla per prima cosa: una comunità, un popolo, altri popoli, altre comunità che dal basso cedono sovranità verso l’alto a un potere politico che riconoscono sovraordinato; e decidono loro – i popoli, le comunità – sia il come sia il quando sia eventualmente il perché di questa cessione di sovranità. Il pluriverso accoglie narrazioni di comunità di popoli, non di masse di individui. L’incontro/scontro di una narrazione politica avviene in un luogo, in uno spazio di relazione e partecipazione pubblica. Com’è possibile definirsi partecipi politicamente se inchiodati davanti a uno schermo o mediati dalla quotidiana carta stampata? Ad andare bene si è capsule dall’ubiquità potenziale, dalla mobilità assoluta che annulla lo spazio (Jean Baudrillard).
Ti accorgi camminando la città così come la campagna o i boschi di montagna, te ne accorgi parlando con le persone, con tutte, ti accorgi che siamo parlati (anche) d’altro, noi sardi. Le estensioni mediali che utilizziamo per definirci informati parlano d’Italia in italiano – o di un generico mondo, altro, e lo fanno in lingua italiana. […] Il discorso pubblico è comandato, l’agenda dell’attualità segue percorsi di potere perfino dentro la internet. Questa è la propaganda a cui ogni giorno ci pieghiamo e che ogni giorno, col nostro commentario più o meno colorito, alimentiamo. Eccoci anche noi, quindi, partecipi di un coro nell’ennesima dimenticata tragedia greca; siamo il messaggero. Senza strada, senza guerra, senza rivoluzione, senza parola ascoltata.
[…]
Ma siamo indipendentisti, vorremmo una Sardegna libera e indipendente. E non solo dall’Italia. La Sardegna oggi ha una dipendenza/sudditanza culturale nei confronti dell’Italia, si piega all’esercito del significare (in) italiano proteggendosi con stracci di significante: nell’epoca della semio-inflazione (Franco Berardi Bifo) una lingua orale, da sola, non basta più a tramandarsi. Perché si possa praticare oralità oggi è indispensabile scriverla, leggerla, insegnarla. I mezzi di comunicazione di massa e la scuola di stato, prima che un senso impongono una lingua – l’italiano in Sardegna – da utilizzare per accedere alla pratica comprensiva di un discorso pubblico. Ma, se escludiamo la strada o la piazza o il consiglio comunale, non v’è discorso pubblico che non sia massmediatizzato. E ci troviamo ogni giorno a subire il medium-messaggio, quindi il senso, in una lingua che non è la lingua dei nostri padri. E la cosa ci sembra perfino normale, il naturale corso degli eventi, sprofondati nella consueta terrifica concezione lineare della storia.
Il mezzo internettiano, con la lingua sarda, ha innescato un processo di scrittura e lettura e ascolto in limba che prima di internet era affidato ad altri centri, ad altri ambiti di scambio sociale, ad altri mezzi. Che il potere statale italiano (si) occupi così pesantemente (de) la Sardegna dovrebbe risultare fastidioso a chi crede nell’indipendenza di quest’ultima. Osservate cosa fa lo stato italiano per prima cosa nelle scuola sarde: impone la sua lingua legittimando un potere – quindi un discorso – pubblico: la lingua italiana nelle "nostre" scuole a limarsi, a studiarsi, a praticarsi. Esti studiau, dicevano i vecchi riferendosi a chi parlava in lingua italiana. E mi piacerebbe, un giorno, rovesciare i termini del confronto: connoscidi sa limba, esti studiau. Il perché di quest’assenza linguistica nel quotidiano svolgersi di un essere umano sardo va indirizzato sempre a ognuno di noi, per prima cosa. Ma poi è necessario indagare quali forme di trasmissione culturale condizionano i processi di esistenza dell’essere umano sardo; di educazione (anche), di istruzione. Siamo parlati da scuole inglesi per bambini ancora non in età scolare – in città accade anche questo. Il sapere sardo, da tramandare, è escluso dai centri statali di trasmissione culturale: l’istruzione – in-struere, costruire da sopra, collocare a strati – non prevede la lingua sarda. E quando la prevede è uno sforzo tollerato. Concesso. (D)alla regione autonoma della Sardegna.
Una Repubblica di Sardegna basterebbe? Non lo so, però intanto immaginiamola. Anche in limba.

[tratto da Passaggi per il bosco, aritzo 2011 - il quaderno]