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Il perno strategico di Obama: deglobalizzazione militare e contenimento della Cina

di Alfredo Jalife-Rahme - 25/01/2012

Il perno strategico di Obama: deglobalizzazione militare e contenimento della Cina

Alfredo Jalife-Rahme, analista politico messicano, analizza le recenti scelte strategiche e finanziarie del Pentagono e della Casa Bianca. Mentre un frangia estremista continua a nutrire l’insostenibile sogno di un dominio statunitense sull’intero globo, il Presidente Obama e il Segretario alla Difesa Leon Panetta, in linea con la politica iniziata da Robert Gates, prendono atto del declino della potenza americana. Prendendo le distanze dall’era Bush-Cheney, stanno ricanalizzando le risorse verso obiettivi più realistici, gradualmente riallocando i fondi verso l’Asia e la Cina.

 
Il 5 gennaio il Presidente Obama ha svelato al Pentagono la nuova strategia della Difesa: un progetto che è racchiuso in un documento di otto pagine dal titolo Sustaining U.S. Global Leadership: Priorities for the 21st century Defence.

Obama ha affermato che le lunge guerre combattute nell’ultima decade possono considerarsi concluse: un chiaro riferimento al fallimento delle bellicose politiche di Bush che manifesta, a mio parere, il suicidio degli Stati Uniti come potenza unipolare. In linea d’area, la sconfitta strategico-militare degli Stati Uniti in Iraq (dove l’Iran è risultato vittorioso senza dover sparare un solo colpo) e l’impantanamento in Afghanistan, sono i fattori che hanno obbligato Obama a rifocalizzare la strategia statunitenze sulla regione asiatico-pacifica, con un triplice obiettivo: contenere la Cina, incrinare l’alleanza fra i paesi del BRICS (Cina, India, Russia, Brazile, Sud Africa), ed infine adescare l’India.

I costi dell’avventurismo militare di Bush in Medio Oriente nell’ultimo decennio, che Joseph Stinglitz (Premio Nobel ed ex-funzionario dell’amministrazione Clinton) ha stimato in un totale di 3000 miliardi di dollari [1], ha seriamente vuotato le casse degli Stati Uniti, aggravando sia l’insolvenza del debito sia il colossale deficit.

I tagli nel bilancio militare annunciati da Leon Panetta, Segretario alla Difesa, e dal Generale Martin Dempsey, Capo di Stato Maggiore, ammontano a 500 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni (non includendo un pari ammontare che il Congresso dovrà sostenere all’inizio del 2013) e tocca sia le forze di terra sia quelle di mare. Lo scopo è di focalizzarsi sul dispiegamento di droni, enfatizzando la superiorità tecnologica degli Stati Uniti, grazie alla cyber-sicurezza di cui possono godere (dal momento che gli Stati Uniti hanno un proprio centro di comando, oltre a quelli che possiedono ai quattro angoli del globo e al migliaio di basi militari dispiegate nel mondo).

A mio parere, la nuova strategia di Obama prevede l’abbandono dell’Europa al suo triste destino, una limitata riduzione della presenza nel Levante e una iper-concentrazione nell’Asia-Pacifico, così da circondare e contenere la Cina. Questa sarebbe dunque la graziosa fuga degli USA nella de-globalizzazione, una fase dell’evidente declino degli Stati Uniti.

Donna Miles, ufficio stampa delle Forze Armate, riassume così il documento: “La crescente importanza strategica dell’Asia e del Pacifico”, “gli interessi economici e di sicurezza degli Stati Uniti sono inestricabilmente legati agli sviluppi nella vasta regione, composta da 39 nazioni”, “fra queste la Cina e l’India emergono come giganti”, “investimenti devono essere fatti nell’ambito di un partenariato strategico di lungo termine con l’India cosicché essa possa fungere da ‘ancora economica nella regione’ e rafforzare la sicurezza nella vasta area dell’Oceano Indiano, nel contesto dell’ascesa della Cina a potenza regionale e della preoccupazione per le sue mire strategiche”, “i 330000 membri del Comando Pacifico (United States Pacific Command) assicurano il libero flusso commerciale”, “[e] devono anche assicurare la pace nella penisola coreana alla luce della nuova leadership in Corea del Nord”.

David Ignatius, del Washington Post (01/07/12), afferma che Obama ha voltato pagina sull’11 settembre e sta prendendo i tagli di bilancio molto seriamente, tanto per quanto riguarda la politica estera quanto per la politica interna. “Essi segnano un cambiamento genuino, uno dei più importanti dal 1945”, dal momento che “anche le forze di terra sono nettamente ridotte”.

Saranno quindi gli Stati uniti incapaci di invadere due paesi allo stesso tempo, dovendo limitarsi a distruggerli dal cielo premendo un bottone? Grazie al controllo su Internet, saranno gli USA capaci di affrontare una guerra cibernetica e di sopraffare i loro avversari che, ingenuamente, hanno comprato i servizi informatici offerti dalle multinazionali statunitensi, permettendo loro così di spiarli?

Secondo David Ignatius, “l’era iniziata l’11 settembre è finita”. L’annuncio della morte di Osama Bin Laden permette agli Stati Uniti di interloquire con la Fratellanza Musulmana e i Salafiti (che sono fondamentalisti islamici), il che permetterà alle truppe di ritornare negli Stati Uniti, e di lasciare l’Europa, probabilmente in misura maggiore di quanto ci si aspetti. Come conseguenza, l’Europa potrebbe sentirsi abbandonata e prevedere un riavvicinamento della Germania alla Russia, che è altamente probabile.

David Ignatius sottolinea che “il perno di Obama ha innervosito i cinese, che “non sono stupidi, sanno che l’America si sta contrapponendo alla loro avanzata”.

Egli prevede un prossimo periodo di rivalità e tensioni nel Pacifico, lungo tre assi principali:

  • la recente espansione degli Stati Uniti in Birmania, dove gli USA hanno ipocraticamente ignorato i diritti umani;
  • la delicata transizione dinastica in Corea del Nord, dove si sta già decidendo tra coperazione e confronto fra Cina e USA;
  • ll rafforzamento dell’ Associazione Trans-Pacifica (TPP) tramite l’integrazione del Messico, in cui è al governo il neoliberale partito PAN: una mossa sterile per il Messico, ma che opporrebbe il TPP al BRICS e permetterebbe di minare la supremazia commerciale alla Cina.

Il partenariato strategico di lungo termine proposto dagli Stati Uniti all’India è stato messo in evidenza da The Times of India (05/01/12), che lo ha riassunto alla perfezione: “Gli Stati Uniti identificano la Cina come una minaccia alla loro superiorità e mirano ad associarsi all’India”.

Obama, Panetta e il Generale Dempsey insistono: “Gli Stati Uniti manterranno la loro superiorità militare” (Robert Burns, AP 05/01/12).

Ma l’aspro criticismo del Partito Republicano non si è fatto attendere a lungo: il rappresentante al Congresso Howard Buck McKeon, presidente del House Armed Services Committee della Camera dei Rappresentanti, in una dichiarazione ufficiale ha definito la strategia come “una ritirata dal mondo sotto mentite spoglie”, “una strategia condotta da dietro [le quinte] per un’America lasciata indietro”.

McKeon è probabilmente nel giusto quando attacca Panetta e il generale Dempsey, che vorrebbero convincere gli scettici spettatori televisivi che “gli Stati uniti hanno ancora la più potente capacità militare al mondo, nonostante i tagli” (China Daily, 09/01/12).

Il Generale Dempsey ha ammesso il proprio disagio all’idea che alcuni paesi possano interpretare erroneamente l’attuale dibattito negli USA sul cambio di strategia e i tagli nelle spese militari. “Potrebbe esserci chi ci vede come una nazione in declino, o peggio, come una potenza militare in declino. E nulla potrebbe essere più lontano dal vero”.

Come il Segretario alla Difesa Panetta, egli ha sottolineato che errori di calcolo circa la potenza militare del suo paese potrebbero causare dei “problemi” nei confronti di nazioni come l’Iran o la Corea del Nord. “Gli Stati Uniti sono la più forte potenza militare e intendiamo rimanere la più forte potenza militare [...] e infatti la nostra spesa per la difesa rimarrà più alta di quella delle 10 successive potenze militari messe assieme”.

(Traduzione di Sara Bagnato)


NOTE:
* Alfredo Jalife-Rahme è professore di Scienze politiche e sociali all'Università Autonoma Nazionale del Messico (UNAM), editorialista del quotidiano "La Jornada" e del settimanale "Contralinea".

 

[1] Three Trillion Dollar War, by Joseph Stiglitz and Linda Bilmes