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Rivoluzioni colorate e leggi storiche

di Andrej Volodin - 31/01/2012

Rivoluzioni colorate e leggi storiche

Che cosa sta succedendo oggi nella società russa? Che cosa possono comprendere i russi dalla propria esperienza e di quella internazionale? Quali sono le prospettive dello “scenario colorato” durante le elezioni presidenziali russe?

In dicembre gli esperti russi e stranieri discutevano animatamente sugli eventi in Russia susseguenti alle elezioni parlamentari del paese, soprattutto alla luce della campagna d’informazione lanciata dagli Stati Uniti e dall’Occidente, la quale include l’utilizzo di tecnologie politiche da parte dei loro “agenti d’influenza” al fine di destabilizzare la società. Pur rispettando il diritto dei venerati colleghi ad avere la propria opinione, non dovremmo dimenticare la capacità “unica” della società russa di procedere per inerzia propria (che vale sia per lo sviluppo ascendente sia per quello discendente), e in questo senso il nostro paese si differenzia dal gruppo dei Nuovi Stati Indipendenti, i quali cadono vittima di fronte all’incantesimo distruttivo delle “rivoluzioni colorate” risultante dal continuo mutevole allineamento delle forze socio-politiche interne.

Inoltre, la dinamica conservatrice dell’opinione pubblica in Russia, collegata a un evidente aumento di sentimenti di centro-sinistra nella sfera socio-economica, lascia ai “rivoluzionari arancioni” poche possibilità di concretizzare i loro progetti colorati.

Il Partriarca di Russia Kirill ha recentemente delineato un corridoio realistico di opportunità per le proteste. Pur riconoscendo il diritto sovrano della popolazione di esprimere il proprio disaccordo verso i risultati elettorali, ha lanciato un forte avvertimento sui pericoli di anarchia e sui tentativi di destabilizzazione della società.

Ricordando la classica espressione “la politica è l’arte del possibile” non posso fare a meno di pensare a un’altra citazione, più specifica ma non meno aforistica: “la politica è l’arte di scegliere tra il disastroso e lo spiacevole”, come ha detto John Kenneth Galbraith, uno dei più importanti economisti del ventesimo secolo. Ovviamente, questo riguarda più la Russia che gli Stati Uniti. A mio parere, in considerazione delle prospettive politiche della Russia in termini globali e dell’esperienza indiana, dovremmo prestare maggiore attenzione alle leggi della storia che formano lo sviluppo della società in questo enorme paese.

E’ diventato un luogo comune affermare che le elezioni parlamentari del 4 dicembre hanno dato sfogo all’enorme energia sociale della popolazione, inaugurando una nuova era nella storia politica della Russia. Infatti, la politica è diventato il più imponente fenomeno pubblico. (Qualunque sia il vostro atteggiamento nei confronti degli scritti di Lenin, alcune delle sue conclusioni sono esatte: “La politica … dove ci sono milioni … è esattamente dove inizia la politica genuina).

Quello che sta accadendo oggi in Russia è parte della storia globale, e sta accadendo perché la nostra società sta perdendo la sua qualità di “identità patriarcale” e sta cominciando a svilupparsi secondo certe leggi della storia. La moderna società russa si sta diversificando da sola, indipendentemente dalle autorità; questo processo di diversificazione risulta anche nei diversi interessi dei gruppi sociali e professionali che compongono questa società. Anche in Occidente è andata in questo modo, a suo tempo. Un altro esempio è l’India, con la sua classe media stimata in 300 milioni di persone i cui interessi sono dispersi tra una serie di forze politiche/partiti.

Quindi, quello che possiamo imparare dall’esperienza internazionale è semplice e chiaro: divergenti interessi economici, sociali e politici non possono coesistere in un’unica “piattaforma”, ossia all’interno del partito di comando (sia esso il Congresso Nazionale Indiano, il Koumintang della Cina, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica o Russia Unita – il nome non ha molta importanza). Come hanno mostrato gli eventi nel mondo arabo, un fattore importante nella rapida politicizzazione della società è rappresentato dall’aumento tra le giovani generazioni di persone attive nella ricerca di nuovi canali d’ascesa sociale.

Inutile dire che, durante un periodo di transizione tra fasi diverse, una società ha bisogno di un forte potere presidenziale in grado di compensare la relativa debolezza e sottosviluppo dei collegamenti orizzontali nell’economia e nelle relazioni politiche e sociali. Questa è una necessità indiscutibile, e non può essere annulata dagli alti e bassi della situazione politica. Allo stesso modo (ed è qui che sono totalmente d’accordo con Stephen Cohen, un autorevole studioso statunitense della storia russa), durante i periodi di transizione, c’è anche la necessità di un Parlamento efficace e professionale, la cui principale incombenza è quella di compensare la mancanza di maturità nella struttura sociale emergente della società russa dei primi anni del 21° secolo.

L’inasprimento delle tensioni politiche nella società russa è direttamente collegato ai difetti genetici del “capitalismo periferico”, il modello selezionato dall’élite politica della Russia nei primi anni ’90 – l’era delle cosiddette “riforme liberali”, come gli iniziatori di quegli eventi scelsero di chiamarle. (A rigor di termini, vent’anni dopo, non abbiamo visto che cosa hanno a che fare queste “riforme” con il moderno liberalismo, incarnato classicamente dal New Deal del presidente Roosevelt. Pertanto, molti elettori liberali – secondo alcune stime il 15-20% dell’elettorato russo – sono riluttanti a supportare la continuazione della politica economica neoliberista).

Un sottoprodotto delle “riforme liberali” è stato l’auto-disorientamento delle autorità russe, le quali per tutti questi anni avrebbero dovuto preoccuparsi d’ingegneria sociale – cioè, reali riforme socio-economiche rafforzanti le fondamenta dello Stato e della società – invece di occuparsi di tecnologie politiche.

Alcuni dei membri più attivi della cosiddetta opposizione “extra-sistemica” avrebbero dovuto in primo luogo riconoscere (prima di iniziare un serio dialogo con la società) che le “riforme liberali” sono state volutamente prive di qualsiasi significato fin dall’inizio (definizione degli obiettivi). In altre parole non hanno risposto alle concrete richieste professionali sul come condurre la struttura dell’economia russa all’organizzazione economica dei paesi avanzati.

La privatizzazione in sé non ha risposto e non avrebbe potuto rispondere a questa domanda fondamentale. Dovremmo anche riconoscere che noi stessi dobbiamo prenderci le responsabilità storiche per il degrado della nostra economia e società, siccome molti russi hanno aspettato con impazienza la “seconda venuta” della Nuova Politica Economica – il “solo capitalismo russo”, pre-industriale, che il giornalismo legato alla Perestroika ha involontariamente idealizzato. A questo proposito, ricordo i colloqui con i più importanti economisti dell’India nei primi anni ’90, rimarchevoli per l’incapacità di comprendere l’obiettivo strategico delle riforme russe post-sovietiche.

Quello che abbiamo visto negli ultimi due decenni è stato in realtà il continuo rinvio di tante necessarie riforme socio-economiche, soprattutto a causa dei prezzi energetici alle stelle sul mercato globale. Di conseguenza, la crisi per il ritardato sviluppo è diventata così acuta che i membri più impazienti della società russa hanno cercato di risolverla con l’aiuto dei “parlamenti di strada” (come metodi simili sono stati chiamati nelle Filippine nel febbraio 1986).

Tuttavia, non esiste una soluzione veloce ai problemi che affligono il nostro paese. Ci sono due questioni fondamentali che devono essere affrontate prima di tutto, e questo non può essere fatto per le strade. In primo luogo, è necessario ripristinare l’equilibrio di potere tra i rami dell’esecutivo e del legislativo secondo i principi di contrappeso e reciproca copertura, poiché la Costituzione del 1993, la quale ha notevolmente ampliato i poteri presidenziali, ha solamente posto nuovi problemi invece di risolvere quelli esistenti. In secondo luogo, esiste un’urgente necessità d’introdurre una chiara e coerente strategia socio-economica che potrebbe essere facilmente spiegata alla popolazione e che interesserebbe a tutte le maggiori forze politiche, offrendo loro un’opportunità di partecipare e ottenere riconoscimenti materiali per i loro sforzi di modernizzazione.

Tali complessi problemi non possono essere risolti all’aria aperta, in quanto questo metodo di risoluzione dei conflitti potrebbe richiedere una risposta caratterizzata da “proteste contro proteste”, come sta già accadendo. Inoltre, alcuni capi dell’opposizione dovranno assumersi la resposabilità per la parte ricoperta nella distruzione dell’economia russa nell’”epoca dell’avidità”, dato che la loro reputazione è ben lungi dall’essere perfetta in questo senso. “E capirà il governo statunitense che sarebbe saggio interrompere il rilascio di comunicati intimidatori sulle elezioni russe e con un atto di realismo etico permettere al buon senso del popolo di una grande nazione di risolvere autonomamente le proprie lotte interne?” si chiede Katrina vanden Heuvel, editore della rivista statunitense liberale “The Nation” [1], concludendo che l’esportazione delle rivoluzioni colorate non ha futuro.

La prospettiva di uno “scenario colorato” durante le elezioni presidenziali russe del prossimo marzo non sembra promettente. Come si dice in India, la politica è un gioco di grandi numeri e con i grandi numeri. Ovviamente, i “grandi numeri” sono le principali forze socio-economiche di una società, la cui sola mobilitazione può produrre il risultato “presidenziale” desiderato. Nel frattempo, è un segreto di Pulcinella il fatto che ci sono al momento solo due veri contendenti presidenziali, e non si inseriscono nello “scenario arancione”.

Eppure resta il fatto che le “riforme liberali” non hanno prodotto alcun nuovo statista post-sovietico. Suppongo che se l’opposizione “extra-sistemica” volesse seriamente occupare il Cremlino, non dovrebbe cominciare con la nomina di un singolo candidato per la presidenza (piuttosto, questo dovrebbe essere lo stadio finale del loro impegno politico), ma con la partecipazione attiva nella creazione di un meccanismo per coordinare gli interessi all’interno della società russa. Questo percorso non sarà facile, e il problema più grande sarà fare un’onesta e professionale valutazione dell’”era El’cin” e del suo ruolo nel declino economico, politico (di de-democratizzazione come definito da Stephen Cohen) e culturale della società russa. Presto vedremo se l’opposizione supererà la prova di maturità politica.

La cosiddetta Primavera Araba ispira una domanda: che cos’è una “rivoluzione colorata” se non il cambio delle persone al potere assistito dalle moderne tecnologie politiche? Un’altra domanda che si pone è se tale cambiamento di “scenario” soddisferà la maggior parte del popolo russo, che è semplicemente stanco di “esperimenti liberali” e sta cominciando a entrare nell’attività politica organizzata. Ed esiste un’altra questione più importante: qual è il soggetto storico della “rivoluzione borghese” in Russia, così volentieri dibattuto dai nostri scienziati della politica?

Trovo molto difficile, anche in teoria, considerare gli ex capi del Komsomol, i beneficiari della privatizzazione degli anni ’90, oppure i capi del partito sovietico e gli alti ufficiali di secondo e terzo livello, con i loro distinti riflessi parassiti/avidi, come la nascente classe borghese della Russia. La classe “borghese” post-sovietica odierna è un ibrido sottosviluppato e dipendente e la sua più cara ambizione politica è che la Russia sia ancora una nazione subordinata e periferica nel sistema globale, così com’era sotto Nicola II, l’ultimo zar russo.

Il problema, tuttavia, è che il sistema mondiale ha cessato di essere occidento-centrico e che i paesi “produttori” nella regione dell’Asia-Pacifico hanno acquisito il ruolo di “forze motrici”, con anche i principali paesi dell’America Latina che cercano di recuperare. Con questo riallineamento di attori geopolitici, la Russia può semplicemente ritirarsi dal sistema economico internazionale e dalla politica globale. Come i recenti eventi hanno dimostrato in maniera convincente, la maggior parte dei russi sono fortemente contrari a trasformare il nostro paese in un “museo etnografico” all’aria aperta.

L’Occidente si sta indebolendo in maniera irreversibile. Di qui il desiderio di mantenere la sua “presa” globale ad ogni costo, anche con l’ausilio di tecnologie politiche dispiegate nelle rivoluzioni colorate. Da un punto di vista storico, le rivoluzioni colorate non sono un’idea di George Soros (con i suoi occhi furbi, ha velocemente ordinato le cose e perso interesse in quest’impresa), ma un tipo di progetto politico ed economico originariamente destinato ad alienare parte della sovranità in favore di centri esterni d’influenza, accompagnato dal “saccheggio dello Stato” da parte di alcuni gruppi della nuova élite e dall’illimitato (infatti, pre-industriale e di prima industrializzazione) sfruttamento delle risorse naturali del paese [2]. In Russia, il valore di questo “modello di sviluppo” si è esaurito, il che dimostra chiaramente le leggi oggettive della storia. Il processo di superamento del “caos nelle nostre teste” spingerà rapidamente coloro che si definiscono politici a pensare in termini di bisogni del paese e della società. E’ solo allora che lo spettro delle rivoluzioni colorate nelle nostre menti sarà finalmente sostituito dalla chiarezza delle leggi della storia.

(Traduzione di Francesco Brunello Zanitti)


NOTE:
* Andrej Volodin è ricercatore anziano all'Istituto di Economia Mondiale e Relazioni Internazionali dell'Accademia Russa delle Scienze, e membro del Comitato Scientifico di "Geopolitica".

1) vanden Heuvel, Katrina, Russia’s Great December Evolution, “The Nation”, 12.12.2011.
2) Nayar B.R., The Geopolitics of Globalization: The Consequences for Development, Oxford-New Delhi: Oxford University Press, 2005, pp. 168-180.