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Oklahoma: Custer e la strage di Washita River

di Roberto Marchesi - 01/02/2012

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Nelle ore che precedono l’alba della gelida notte del 27 novembre 1868, un distaccamento di circa 700 soldati del VII cavalleria, insieme ad una dozzina di esploratori Osage, silenziosamente si dispongono attorno ad un accampamento indiano situato in una piccola valle nel nord-ovest dell’Oklahoma.
I loro movimenti attraverso tutto il terreno ghiacciato della zona sono ardui e hanno richiesto ben 4 giorni per coprire la breve distanza di circa 70 miglia. Gli uomini e gli ufficiali sono esausti, alcuni di loro sono quasi accecati dal bagliore della neve di giorno e dal gelo delle notti. Ma hanno a loro favore il fattore sorpresa, e non vogliono perderlo, arrivando persino ad uccidere i propri cani per non correre il rischio di essere sentiti a distanza dagli indiani di Black Kettle, una tribù Cheyenne..
Divisi in quattro colonne i soldati prendono posizione e alla prima luce dell’alba danno il segnale dell’attacco con un colpo di fucile che rompe il silenzio, subito seguito dalle note musicali di una piccola banda militare che intona la vecchia marcia irlandese di “Garryowen” (divenuta inno ufficiale del VII cavalleria).
Con quella operazione il luogotenente colonnello George Armstrong Custer inizia la sua prima importante campagna militare. Il generale Phil Sheridan, responsabile delle truppe nel Far West, lo ha voluto in quell’area per difendere gli insediamenti dei coloni dai frequenti attacchi degli indiani. Prima di allora Custer si era distinto, durante la guerra civile, più per la sua esuberanza e intraprendenza che per le sue doti di comando.
L’ordine che Sheridan ha dato a Custer è stato però breve ma esplicito: “Dobbiamo distruggere i guerrieri Cheyenne!” autori di sanguinose scorribande nell’area di sua competenza.
Ma non tutti i Cheyenne erano autori di quelle scorribande. Alcuni capi, e tra questi Black Kettle era il più importante, erano favorevoli a stipulare accordi di pace, anche se molti dei capi che non erano d’accordo lo consideravano per questo un traditore.
Eppure quello che Custer stava silenziosamente per attaccare era proprio il suo campo e la sua tribù.
Black Kettle si era distinto nel passato come coraggioso e abile guerriero, prima contro altre tribù indiane e poi contro i coloni invasori e contro le truppe della cavalleria americana, ma quando si rese conto del numero interminabile dei bianchi che invadevano il suo territorio, e della potenza delle armi che disponevano, decise di tentare la via della pace e si prodigò anche con gli altri capi per convincerli a trattare invece che a combattere.
Black Kettle era un guerriero coraggioso ma responsabile, e aveva intuito che il popolo dei bianchi era troppo numeroso e troppo forte per essere vinto con le armi. Il ricordo di Sand Creek, dove risiedeva la sua tribù quattro anni prima, quando il suo campo venne attaccato proditoriamente dal colonnello John Chivington che inseguiva altri guerrieri Cheyenne contrari alla pace, era ancora vivo. Chivington non fece differenza tra indiani favorevoli alla guerra e indiani favorevoli alla pace, appena raggiunse gli indiani li attaccò, e fu Kettle e il suo popolo a pagarne le conseguenze.
Vedendosi attaccato cercò di difendersi, ma perse nello scontro 28 uomini e 109 tra donne e bambini.
Fu così che Black Kettle decise di spostarsi in un area della riserva più distante dagli insediamenti dei bianchi e più difficilmente accessibile.
Stavolta però arrivava Custer, fresco del nuovo comando, sempre più esuberante e sempre in cerca di qualche brillante operazione capace di accelerare la sua carriera militare.
Lui non aveva nemmeno bisogno di quella raccomandazione del suo generale, a lui era sempre parsa una stringente necessità quella di eliminare qualunque indiano potesse costituire una minaccia, presente o futura, agli insediamenti dei bianchi.
Nonostante l’attacco a sorpresa, tuttavia, la battaglia nella valle del Washita river è stata furiosa, non solo per la disperata reazione degli indiani attaccati a tradimento, ma anche perché, non molte miglia distanti da quel luogo, c’erano accampamenti ben più numerosi di Cheyenne e di Arapaho nonché di Kiowas. In tutto circa seimila uomini, che al rumore degli spari si sono subito gettati in aiuto di Black Kettle e in difesa del proprio territorio.
Il numero dei guerrieri indiani era nettamente maggiore a quello dei soldati americani, ma il superiore armamento dei soldati di Custer costrinse gli indiani, dopo diverse ore di lotta, a ritirarsi. Dovette però pagare quella vittoria a caro prezzo, dovendo contare venti soldati uccisi, tra cui il maggiore Joel Elliot, e diversi feriti.
Le perdite subite dagli indiani naturalmente furono maggiori. 55 guerrieri vennero uccisi, più 11 donne e sei bambini. Ma tra le vittime stavolta c’era anche lui, il grande capo Blak Kettle con la sua sposa. Un testimone oculare della battaglia racconta che la sua resistenza nel tentativo di difendere il campo e la sua gente fu eroica, e che cadde solo perché crivellato dai proiettili degli aggressori. Ma i soldati di Custer non rispettarono nemmeno il suo cadavere, e lo calpestarono barbaramente passandogli sopra coi cavalli dopo che era già morto.
Nel suo rapporto al generale Sheridan, Custer scrive anche che uno dei suoi scout Osage ha persino preso lo scalpo di Black Kettle come trofeo. Con la conquista del campo indiano i soldati di Custer vennero quindi in possesso di tutti i cavalli degli indiani, ma non potendo portarli con loro nella difficile ritirata e non volendo lasciarli agli indiani, col rischio di essere inseguiti, li uccisero tutti.
Circa 650 cavalli vennero massacrati e le loro ossa rimasero per quasi un secolo a ricordare quel sanguinoso evento.
Custer, che grazie a questa vittoria veniva descritto come un eroe nei piccoli giornali stampati nei villaggi dei pionieri, continuerà la sua baldanzosa repressione sugli indiani persino nella veste di estensore di un trattato di pace con i Cheyenne sopravissuti a Washita.
Ma la vendetta degli indiani era in agguato. Durante la firma di quel trattato lo stregone indiano chiamato “Medicine Arrow” (freccia che guarisce) fece cadere dal calumet della pace un po’ di cenere sugli stivali di Custer, e lanciò una minaccia funesta: la sua distruzione se egli avesse osato rompere ancora il trattato di pace e attaccato di nuovo gli indiani.
E fu davvero profetico, poiché il 25 giugno 1876 il generale Custer al comando del suo leggendario VII cavalleria, perennemente all’inseguimento di indiani da punire per le loro feroci azioni (in difesa del proprio territorio) cadde nella trappola di Little Big Horn (Montana) e venne ucciso insieme a tutto il suo battaglione che fu massacrato insieme a lui.