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Primarie USA: dollari e voti

di Michele Paris - 02/02/2012


Con la netta affermazione nelle primarie di martedì in Florida, Mitt Romney ha frenato in maniera probabilmente decisiva la rimonta del suo principale sfidante per la nomination in casa repubblicana. In una competizione ancora una volta pesantemente influenzata dalle disponibilità di spesa dei candidati, Newt Gingrich non ha saputo capitalizzare il trionfo ottenuto in Carolina del Sud, finendo invece sotto i colpi dell’aggressiva campagna del miliardario mormone, il quale è riuscito, almeno per il momento, a fugare i dubbi sulle sue possibilità di sconfiggere Barack Obama nell’election day del prossimo 6 novembre.

A fronte di oltre venti milioni di dollari investiti complessivamente dalle campagne elettorali dei vari candidati in corsa in Florida, l’affluenza è risultata inferiore alle aspettative. Alle urne si sono recati poco meno di 1,7 milioni di elettori, circa il 15% in meno rispetto alle primarie del 2008 che premiarono John McCain davanti a Mitt Romney.

Oltre al fatto che le primarie in Florida, a differenza degli altri Stati che hanno votato finora, erano limitate agli elettori registrati come repubblicani, il basso numero di votanti è stato dovuto anche allo spostamento a destra dei candidati, ben lontani dai bisogni della maggior parte della popolazione di uno degli Stati americani più colpiti dalla crisi dei mutui. L’ondata di messaggi propagandistici negativi e volti ad attaccare i rispettivi avversari ha inoltre contribuito ad allontanare una parte degli elettori dalla competizione.

Secondo i dati ufficiali, Mitt Romney ha conquistato il primo posto con il 46,4% dei voti espressi, staccando di oltre 14 punti l’ex speaker della Camera, Newt Gingrich (31,9%). Più indietro, come previsto, sono giunti l’ex senatore ultraconservatore della Pennsylvania, Rick Santorum (13,4%), e il deputato libertario del Texas, Ron Paul (7%), i quali non avevano praticamente fatto campagna elettorale in Florida.

In questo Stato, tutti i delegati in palio sono stati assegnati al vincitore delle primarie, così che Romney ne ha potuti aggiungere 50 a quelli già ottenuti nelle tre competizioni di gennaio che prevedevano un sistema proporzionale. Il numero dei delegati riservati alla Florida era stato dimezzato dai vertici nazionali del Partito Repubblicano dopo che i dirigenti locali avevano deciso di anticipare la data delle primarie rispetto al calendario ufficiale. Finora, Romney può contare su 87 delegati, Gingrich su 26, Santorum su 14 e Paul su 4. Per assicurarsi la nomination del partito sono necessari almeno 1.144 delegati.

La vittoria in Florida è stata salutata dai media americani come la conferma delle maggiori chances dell’ex governatore del Massachusetts di raccogliere consensi al di là della tradizionale base elettorale repubblicana. A differenza di Iowa e Carolina del Sud - i cui caucus e primarie erano andati rispettivamente a Santorum e a Gingrich - il voto di conservatori e fondamentalisti cristiani risulta infatti meno determinante in Florida, il cui elettorato dovrebbe invece riflette maggiormente quello repubblicano a livello nazionale.

Nonostante la netta sconfitta, Gingrich ha confermato di voler rimanere in corsa ancora a lungo. Lo stesso Santorum ha annunciato di volersi concentrare sui prossimi appuntamenti di Nevada e Colorado, dove il suo team ha già acquistato spazi televisivi per attaccare Newt Gingrich. Per quest’ultimo, la volontà di Santorum di rimanere in gara potrebbe rappresentare un ostacolo nel tentativo di coagulare l’intero voto conservatore in funzione anti-Romney. Lo stesso Ron Paul, infine, aveva da tempo manifestato l’intenzione di guardare oltre la Florida, puntando su primarie e caucus meno competitive e dispendiose.

Per quanto Romney appaia il favorito d’obbligo per la nomination, alla luce dei numerosi appuntamenti elettorali ancora in calendario e del fatto che il 95% dei delegati risulta ancora da assegnare, non è da escludere una sfida prolungata ben oltre la primavera. A febbraio sono infatti previste solo tre competizioni che assegneranno delegati - i caucus di sabato prossimo in Nevada e le primarie in Arizona e Michigan il 28 - oltre a caucus e primarie non vincolanti in Maine, Colorado, Minnesota e Missouri. Cruciale come di consueto sarà inoltre il supermartedì, in calendario il 6 marzo, dove saranno complessivamente in palio 437 delegati nei dieci stati che voteranno, molti dei quali nel sud degli Stati Uniti, teoricamente favorevoli a Newt Gingrich.

Gli equilibri tra i repubblicani, in ogni caso, saranno determinati soprattutto dalla quantità di denaro che un numero relativamente ristretto di facoltosi finanziatori deciderà di investire nelle campagne elettorali dei candidati e nelle loro “SuperPAC”. Le sorti di Gingrich, in particolare, sembrano essere legate all’amico miliardario Sheldon Adelson, magnate dell’industria dei casinò che, assieme alla moglie, ha già staccato assegni per dieci milioni di dollari che hanno di fatto permesso all’ex speaker repubblicano di vincere in Carolina del Sud e di competere in Florida.

Gingrich, tuttavia, qualche giorno fa ha rivelato di avere a disposizione “appena” 600 mila dollari. Perciò, nel caso non dovessero giungere altre generose donazioni a breve, la sua campagna si complicherà non poco e faticherà a tenere testa a lungo alla macchina da guerra di Mitt Romney.

L’attuale “front-runner” repubblicano è d’altra parte il candidato meglio finanziato, come dimostrano le numerose recenti donazioni provenienti da Wall Street e dalle maggiori corporation americane. Romney e la sua Super PAC (Restore Our Future) hanno potuto spendere ben 15,4 milioni di dollari nelle primarie in Florida, contro i 3,7 milioni sborsati da Gingrich, il quale si è trovato sommerso, come già era accaduto in Iowa, da una valanga di spot negativi che hanno fatto leva sul suo passato a Washington, sia in veste di leader politico che di lobbista.

Messo così alle strette, nei giorni che hanno preceduto le primarie della Florida, Gingrich aveva provato a fare appello alle sezioni più reazionarie dell’elettorato repubblicano, dipingendo il rivale Romney come un liberal virtualmente indistinguibile dal presidente Obama. Malgrado gli attacchi incrociati spesso molto duri, tutti i candidati repubblicani condividono in realtà una politica economica e fiscale nettamente sbilanciata a favore dei redditi più alti.

Le ipotesi avanzate in questa campagna elettorale prevedono, ad esempio, l’abolizione della tassa sui capital gains o l’ulteriore riduzione dell’aliquota fiscale riservata alle corporation. Misure come queste, se implementate dal possibile prossimo inquilino della Casa Bianca, avrebbero conseguenze rovinose sul deficit federale e su una spesa pubblica già bersaglio in questi mesi di devastanti tagli bipartisan.