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La teoria delle mele marce non convince: i partiti e il denaro pubblico

di Sergio Rizzo - 02/02/2012


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Ci sono deputati, e il riferimento è a qualche tesoriere di partito, profondamente convinti che ridurre il finanziamento alla politica rappresenti un vulnus per il sistema democratico. Confessiamo di non riuscire a capire la relazione fra la democrazia e un sistema il quale consente che un fiume di denaro dei contribuenti finisca nei conti personali di qualche senatore. Per giunta senza che scatti una qualche valvola di sicurezza.
E non si può non notare la concomitanza di un fatto tanto grave, che dovrebbe indurre i responsabili dei partiti a una riflessione profonda sull'inquinamento di cui è ormai preda la politica a causa del troppo denaro che gira e del clima di impunità generale, magari preceduta da una profondissima autocritica, con altre notizie. Per esempio quella che un senatore dello schieramento opposto ha acquistato da un fondo facente capo a enti previdenziali un immobile per rivenderlo soltanto qualche ora dopo a un altro ente previdenziale. Intascando molti milioni di euro senza aver neppure tirato fuori un solo centesimo, facendo la cresta su un bene che dovrebbe garantire il pagamento delle pensioni. Semplicemente orribile, da ogni punto di vista. Qualcuno potrà liquidare le due faccende appellandosi alla teoria delle mele marce. Ce ne sono purtroppo ovunque. E se ad essere marce non fossero soltanto due mele, ma parti dell'intero sistema?
Tutto questo accadeva mentre il parlamento approvava, presentandola come una svolta epocale, un taglio di 1.300 euro lordi al mese delle indennità degli onorevoli. Un taglio, in realtà, inesistente come ammette lo stesso documento reso noto dalla Camera, nel quale si spiega che dal passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo per il calcolo dei vitalizi «deriva uno sgravio fiscale sull'indennità parlamentare le cui conseguenze rendono opportuna la riduzione dell'importo lordo della stessa indennità, al fine di lasciare invariato l'importo netto percepito». Da una parte milioni di euro di rimborsi elettorali finiti in conti correnti privati o nell'acquisto di abitazioni nel centro di Roma e milioni di euro lucrati impunemente su una transazione immobiliare quantomeno sospetta. Dall'altra, un finto taglietto di qualche centinaio di euro alle indennità. Siamo sicuri che non ci sia proprio niente da rivedere?