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Frecce Tricolori: piloti uccisi perché tacessero su Ustica?

di Giorgio Cattaneo - 06/02/2012

Ramstein, 29 agosto 1988: collisione in volo tra due aerei delle “frecce tricolori”. Una strage: muoiono tre piloti e 67 spettatori. Forse non è stato un incidente: due dei piloti rimasti uccisi, Ivo Nutarelli e Mario Naldini, pochi giorno dopo avrebbero dovuto testimoniare su un’altra tragedia, quella di Ustica. Quella sera del 27 giugno 1980, in cui esplose in volo il Dc-9 Itavia con a bordo quattro membri dell’equipaggio e 77 passeggeri, tra cui 13 bambini, Nutarelli e Naldini erano anch’essi in volo, non lontano dalla rotta del velivolo di linea abbattuto, e avrebbero lanciato via radio un allarme aereo generale. Otto anni dopo, il disastro di Ramstein. E oggi, un dettaglio inquietante: il jet acrobatico di Nutarelli aveva il carrello inspiegabilmente aperto, così come il freno aerodinamico anteriore. I comandi erano stati manomessi?

«Esiste una concreta possibilità di arrivare a stabilire con precisione cosa è avvenuto e perché», scrive Guido Sinatti su “Clarissa”, in un’analisi che Ramstein, 1988: la fatale collisione delle Frecce Tricolorimette direttamente in relazione l’incidente aereo di Ramstein con il “mistero” di Ustica. Pietra miliare nella lunghissima attività di accertamento, contrastata da clamorose reticenze, la condanna a Palermo (settembre 2011) degli allora ministri della difesa e dei trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 80 familiari delle vittime. Una sentenza, sottolinea “Clarissa”, nelle cui motivazioni «viene messa in rilievo con dovizia di riferimenti documentali l’evidenza dei depistaggi, delle omissioni e delle coperture messi in atto lungo un trentennio di storia italiana da altissime cariche militari e civili, per impedire che venisse alla luce una verità che la ragion di Stato non può evidentemente rendere di pubblico dominio». Contro questa sentenza si sono appellati i ministeri condannati e proprio in questi giorni si sta celebrando a Palermo il processo d’appello.

Merito degli avvocati Osnato e Galassi, che tutelano alcuni dei parenti delle vittime, aver portato alla luce nuovi elementi che confermerebbero in particolare lo stretto legame fra l’abbattimento dell’aereo di linea italiano e lo spaventoso incidente verificatosi a Ramstein durante l’esibizione aerea del 1988. La rivista “Il Sud” pubblica un ampio servizio sulle novità che sarebbero emerse grazie alle investigazioni della difesa: «Un’inedita fotografia, fornita a “Il Sud” dall’avvocato Osnato, rivela come l’aereo di Nutarelli abbia il carrello aperto così come il freno aerodinamico anteriore. Possibile che il “solista” abbia capito, a vista, di essere troppo veloce e troppo basso e abbia usato il freno? Ma il carrello aperto pare sia tecnicamente inspiegabile, soprattutto a quella velocità». E poi ci sono alcune testimonianze di un paio di “capivelivolo” che hanno riferito, anni dopo, dell’anomala mancanza, nel parcheggio dell’aereo di Nutarelli, dei Il disastro di Ramsteinvoluminosi e pesanti quattro attrezzi d’acciaio che servono a bloccare le taniche di carburante sulle ali, denominati in gergo “riscontri”.

Ma non basta. La drammatica caduta del regime libico, aggiunge Sinatti, avrebbe portato l’estate scorsa alla scoperta di una nutrita serie di documenti dei servizi di sicurezza libici che confermerebbero lo scenario di una vera e propria guerra aerea in corso nei nostri cieli il 27 giugno 1980: proprio lo scenario che i vertici della nostra aeronautica militare, conformandosi ad un indirizzo politico rimasto costante in oltre trent’anni, hanno sempre negato, nonostante la massa di evidenze emerse nel corso del tempo. Il giornalista Peter Bouckaert, che per conto della Ong “Human Rights Watch”, ha raccolto un’ingente documentazione in Libia, arrivando a dichiarare a settembre all’agenzia Reuters che fra quei documenti sarebbero presenti informazioni importanti per la ricostruzione di quanto avvenuto nella notte dell’abbattimento dell’aereo civile italiano nei cieli di Ustica.

Movente: l’indebolimento del regime di Gheddafi, specie da parte della Francia, già impegnata coi suoi istruttori militari a combattere una “guerra invisibile” con la Libia nel deserto del Ciad, per l’interesse strategico rappresentato dagli importanti giacimenti di uranio presenti nella cosiddetta “striscia di Aozou”. Tensioni gravissime, ricorda “Clarissa”, nelle quali è realistico ritenere che gli stessi Stati Uniti ed Israele avessero diretto interesse ad inserirsi, in vista del rovesciamento del regime libico, contro il quale gli Usa sarebbero poi direttamente intervenuti nel 1986 con gli intensi Reagan e Craxibombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi, dai quali il Colonnello si salvò proprio grazie all’Italia: è noto che l’allora premier Bettino Craxi lo avvisò del pericolo poco prima che entrassero in azione i bombardieri di Reagan.

Il leader di Tripoli era probabilmente nel mirino dei francesi già nella notte fatale di Ustica: il Dc-9 sarebbe stato abbattuto per errore da due caccia transalpini, perché nella sua scia – per mettersi al riparo dai radar – si sarebbe rifugiato un velivolo libico con a bordo lo stesso Gheddafi. «Un attacco – aggiunge Sinatti – che avrebbe forse causato anche l’abbattimento di un Mig-23 libico ritrovato, in circostanze quantomeno misteriose, sulla Sila il 18 luglio successivo». La sentenza palermitana dello scorso settembre non lascia dubbi: tutti gli elementi verificati, scrive la magistratura italiana, suggeriscono che l’incidente occorso al Dc-9 si sia verificato a causa dell’operazione di intercettamento realizzato da parte di due caccia, che esplosero un missile per colpire un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia dell’aereo di linea: il Dc-9 sarebbe stato abbattuto dal missile o dalla collisione con l’aereo libico che gli volava vicinissimo per sfuggire ai radar dei caccia.

Scampato alla morte il Colonnello nei cieli di Ustica, per l’intero 1980 Parigi avrebbe incessantemente attaccato la Liba, per ritorsione. Secondo il giornalista francese Henri Weill, i servizi segreti transalpini avrebbero organizzato l’attentato dinamitardo che il 7 luglio devastò a La Valletta gli uffici della Libyan Arab Airlines. Poco dopo ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, sempre a Malta. Secondo Weill, anche il tentato colpo di stato del 6 agosto a Tobruk, in Libia, guidato dal generale Idris Shaibi, comandante della XI brigata e capo operativo dei servizi di sicurezza, duramente stroncato da Gheddafi, sarebbe stato ispirato dai servizi francesi. Poi, nella notte fra il 28 ed il 29 ottobre, la fregata Dat Assawari, ammiraglia della flotta libica alla fonda nel porto di Genova per lavori di manutenzione, venne attaccata da un commando di incursori che Muhammar Gheddafine squarciò la chiglia con 30 chili di esplosivo. L’attentato fu rivendicato da un sedicente “fronte maltese di liberazione”.

Come si vede, osserva scrive Sinatti, emerge «un intreccio di azioni armate ostili che coinvolgono pesantemente anche il nostro Paese», che proprio in quel momento era nell’occhio del ciclone e il 2 agosto arrivò a subire la strage più grave della sua storia, quella alla stazione di Bologna. Il 1980, aggiunge “Clarissa”, è infatti un anno fondamentale nel secondo dopoguerra e l’Italia si è trovata sicuramente al centro di avvenimenti destinati a scuotere il consolidato assetto della Guerra Fredda: l’invasione sovietica dell’Afghanistan, la questione degli euromissili che gli Usa intendevano installare in Europa, l’agitazione di Solidarnosc in Polonia e la morte di Tito in Jugoslavia minarono alle fondamenta la stabilità dell’Urss Ustica: in mare i corpi delle vittimee del Patto di Varsavia e sembravano preannunciare un mutamento che si sarebbe prodotto puntualmente nell’arco di nemmeno dieci anni.

La presa di potere di Khomeini in Iran, l’allontanamento dello Scià e la sua morte in esilio, il sequestro dell’ambasciata Usa a Teheran, lo scoppio del conflitto fra Iran e Iraq – continua Sinatti nella sua analisi – sono solo i primi avvenimenti di una catena di eventi bellici in Medio Oriente che si spingeranno, in un drammatico crescendo, fino ai nostri giorni. «In questo contesto, l’Italia, a due anni dal sequestro Moro, è sanguinosamente attraversata da strategie terroristiche che, sfruttando tipi diversi di manovalanze, mirano, ormai senza ombra di dubbio, a condizionarne gli equilibri interni in relazione alla crescente importanza del Mediterraneo nei rapporti est-ovest e nord-sud». A svilupparle, servizi segreti “deviati” e in realtà pilotati dai Paesi egemoni, Usa e Gran Bretagna, «con un crescente inserimento anche dello Stato di Israele – come molte indagini hanno evidenziato». Fino al punto di “suicidare” piloti della popolarissima pattuglia acrobatica perché non contribuissero alla verità su Ustica?