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Mario Monti. Un duro all’italiana…

di Umberto Bianchi - 07/02/2012


A vederlo così, proprio non si direbbe: gentile, compassato, quasi timido nell’approccio con i media, eppure Mario Monti sembra possedere quel proverbiale pugno di ferro nel guanto di velluto, quell’aplomb tutto anglosassone, che tanto sembra andar per la maggiore nei circoli liberal progressisti italioti. Il posto di lavoro fisso? Una scelta francamente noiosa e monotona. Le rivendicazioni in materia di lavoro? Troppo buonismo sociale. I sacrifici? Anche e specialmente per chi lavora. E così di questo passo. E chissà che da qui a qualche tempo, Super Mario non ci venga a dire che il lavoro in sé è inutile, stressante, noioso. Perché dunque non rimuoverlo dalle nostre vite, magari considerandolo uno spiacevole contrattempo, un inutile optional a cui far ricorso di tanto in tanto?

Sì, è vero, il lavoro è talvolta noioso, stressante, a sostituirlo con qualunque altra cosa si farebbe cosa grata alla salute pubblica, salvo poi giungere alla fatidica domanda: cosa mi può far vivere, andare avanti, permettere di costruire qualcosa per me e per i miei figli? I prestiti bancari forse? O i prodotti finanziari ultimo grido: “usa e getta”?

Ovverosia quelle generose rate su tutto, concesse anche con il possesso di una semplice carta di credito, per cui chi più ne fa, più si indebita, cumulando interessi all’infinito, con tanta pace per il destino proprio e della propria famiglia? A tutte queste domande la risposta è una sola: lavoro. Per tutti e per tutte, senza se e senza ma. Lavoro è speranza, edificazione, marcia verso il presente ed il futuro. Lavoro è creare, spalancare nuovi orizzonti vitali a sé stessi ed alla propria comunità.

Il problema qui, semmai, è un altro. Siamo in Italia e le cose si fanno all’italiana. Che francamente il nostro sia sinora stato, e tuttora sia, un paese malato di un insano burocratismo, legato ad un’idea clientelare del potere, e di conseguenza del lavoro, è cosa nota agli occhi di chiunque. Che tutti questi anni siano stati caratterizzati da un’idea quanto mai “leggera” della finanza pubblica e dei suoi meccanismi, è cosa arcinota. Sprechi, magnonerie e via discorrendo, hanno generato un debito pubblico-voragine a cui, i perversi meccanismi del sistema finanziario nazionale ed internazionale non hanno certo dato un positivo apporto, anzi.

In un quadro del genere, reso ancor più difficile dalla attuale congiuntura internazionale, iniziare a muoversi per trovare una soluzione era divenuto un imperativo morale. Ma, si sa, in Italia le cose si fanno all’italiana. E così, dai Pulcinella del teatrino della politica, dai loro giochini di ombre cinesi di destra o di sinistra, dai vari Travicelli, siamo passati direttamente alle bocche degli Scilla e Cariddi della finanza, per i quali o ti indebiti per poi pagare o paghi per poi indebitarti e pagare, ancora, sempre e di più. Senza alcuna pietà. Debiti per tutti, dunque.

L’ha detto anche Giorgio Napolitano, una persona notoriamente “per bene”, come tutti o quasi i suoi predecessori, tutti molto sussiegosi nel perorare, magnificare, santificare le virtù della “Magna Charta” costituzionale, salvo poi, disattenderle al primo batter d’ali. Come per la nostra partecipazione alle varie guerrette anglo-americane in Iraq, Afghanistan, Libia e via dicendo, nonostante la “Magna Charta” lo proibisse espressamente o, come per l’insolita e quanto mai creativa interpretazione della medesima “Charta”, per quanto riguarda la vicenda dell’elevazione di Mario Monti al soglio della Presidenza del Consiglio, alla faccia del principio della volontà popolare.

Le cose all’italiana, dunque. Anche i duri, i Mangiafuoco, bisogna farli all’italiana, menando là dove si può, all’insegna del sano principio “deboli con i forti, forti con i deboli”. Ed allora giù mazzate sul lavoro, ora magnificato nella sua versione più volubile, aleatoria e capricciosa possibile, per la gente comune, per i giovani, naturalmente. Il tutto in una salsa  più hard ed intransigente, possibile.

Ora, però, noi riteniamo che le scelte, anche quelle più dure e scomode, in una comunità nazionale debbano possedere il dono della equanime condivisione “urbi et orbi”. Se quella del “posto fisso” deve essere propagandata quale opzione noiosa e monotona, lo deve essere per tutti, anche per i nostri politici che, nonostante gli strali di Super Mario, ancor oggi godono del medioevale privilegio di uno stipendio fisso, che potrebbe esser benissimo sostituito da un unico gettone di presenza, senza alcun diritto a future pensioni, in omaggio al tanto osannato modello liberista.

Stessa esaltante sorte dovrebbe toccare a manager privati e pubblici, magistrati, uomini di spettacolo, sportivi, uomini di Chiesa, vip a vario titolo, tutti messi a percentuale, tutti accomunati dall’esaltante missione di instillare, con il proprio luminoso esempio, nel popolo bue le sane virtù del liberismo.

Ma si sa. L’Italia è il paese di Pulcinella. A pagare sono sempre e solo loro. I pulcinella: pensionati, lavoratori dipendenti, piccole imprese, giovani, precari. Come per uno strano miracolo all’italiana, Super Mario, di fronte alla spregiudicata arroganza del moloch euro-atlantico ed ai colossi bancari dell’alta finanza tace e si fa piccolo. Tanto, per lui, lobby e corporazioni sono unicamente rappresentate da giornalai, taxi, farmacie, camionisti e qualche altra malcapitata categoria professionale.

L’Italia sembra, così, essere indissolubilmente legata alla tanto decantata iconografia del Gattopardo di Tommasi di Lampedusa: «Cambiar tutto per non cambiar niente».

L’Italia di Monti non sarà né più efficiente né più meritocratica di quella di prima, bensì un deserto dei Tartari di miseria, in cui  prebende e raccomandazioni non saranno più appannaggio delle coorti di poveracci che hanno fatto la felicità e la fortuna di generazioni di politici nostrani, attraverso la pratica del voto di scambio. A fruire di favori, privilegi e agevolazioni ora, saranno solo i diretti emissari dell’unico vero ordine, oggidì indiscusso sovrano in Italia: cioè quello della finanza internazionale. Per gli altri saranno solo precarietà, mazzate e miseria, ovvero il Globalismo che, anche in Italia, ha finalmente gettato la maschera del buonismo ipocrita per mostrare il suo vero volto.

Detto questo, non va dato affatto per scontato che quanto sinora descritto sia un male, anzi. Il fatto che il nuovo premier abbia deciso di giocare duro, a carte scoperte è un bene per un popolo lobotomizzato da decenni di propaganda buonista e di tivù mondezza. Questa situazione mette tutti di fronte ad una tragica evidenza. O il popolo e la parte migliore di esso reagiscono a quanto accade, o tanto peggio. In questo caso, chi soccombe non è meno colpevole di chi prevarica.

I fatti e le più che conclamate dichiarazioni d’intenti sono oramai agli occhi di tutti. Non si può più far finta di niente, di non aver capito. Se dunque a trionfare in Italia ed in Europa sarà la logica del mercato, in una rinnovata forma di darwinismo sociale, allora sarà un bene che certa gente soccomba, sparisca o finisca semplicemente annullata dal trionfo di una nuova logica. Starà a nuovi soggetti, nella veste di nuove realtà non solo politiche, ma anche umane ed antropologiche, la capacità di gestire, appropriarsi o rigettare quanto oggi va prefigurandosi.

Siamo forse arrivati alla fase di transizione tanto preconizzata da Nietzsche ed Heidegger che dall’umano conduce ad un altro stadio, oltreumano, transumano, superumano o come dir si voglia? Uno stadio che nella tecno economia potrebbe anche trovare il proprio veicolo principe…Terrifica verità o illusione fantascientifica? La complessità della situazione non permette, per ora, di dare risposte certe. Di sicuro vi è solo un fatto: il gioco va facendosi di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno, di ora in ora, sempre più duro,nell’ottica di una sfida aperta senza precedenti.