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Alea (i)ACTA est

di Mario Braconi - 08/02/2012


Mentre negli USA la feroce opposizione popolare ha in qualche modo rallentato, compromettendolo, il percorso dei progetti di legge liberticidi SOPA e PIPA, la censura su internet è arrivata in Europa. Il nome del nuovo tentativo di mettere la mordacchia alla Rete, trasformandola nel supermarket delle multinazionali si chiama ACTA, come Anti-Counterfeiting Trade Agreement, ovvero “accordo commerciale contro la contraffazione”.

Come spiega il sito per “nerd” Geekosystem, ci sono almeno due ragioni per le quali l’ACTA è da considerarsi una forma ancora più subdola e pericolosa di controllo e sorveglianza. Innanzitutto, com’è evidente dall’acronimo, si tratta di un trattato commerciale: circostanza che, secondo l'interpretazione giuridica dominante negli USA, permette di bypassare la discussione al Congresso (cosa che non vale per SOPA e PIPA). Inoltre, trattandosi appunto di un trattato internazionale multilaterale, è in grado di influire anche sulla vita di milioni di cittadini di tutto il mondo.

Ufficialmente il trattato dovrebbe impedire la contraffazione delle merci: in realtà il suo obiettivo è equiparare alla contraffazione la semplice copia di prodotti protetti da copyright, trasformando in criminali tutti coloro copiano film, e-book e musica mettendoli a disposizione di altri online. Sembra una distinzione semantica sottile, ma copiare un file non è contraffare. Chi condivide file coperti da copyright senza il consenso di chi gestisce il giro delle royalty non sta cercando di ingannare i fruitori sostenendo che quel file è originale, né (almeno di solito) pretende un pagamento.

Il vero problema di questo stato di cose è che, mentre la gente condivide prodotti culturali gratuitamente, il racket delle major non guadagna un centesimo. Le multinazionali dell'intrattenimento sono talmente incattivite da essere pronte ad attraversare qualsiasi confine etico e giuridico pur di proteggere il loro decrepito modello di business. Il modo con cui i detentori del copyright intendono perseguire i loro interessi è quello già visto per SOPA e PIPA: rendere gli ISP (i fornitori di servizio internet) responsabili per l’uso della connessione internet che fanno i loro clienti.

Una prima versione del testo implicava l'obbligo di controllare che tipo di traffico essi effettuano, il che non può che voler dire sorveglianza profonda e continuativa, e naturalmente censura, magari preventiva. L’attuale testo prevede invece che l’ISP è tenuto a “fare qualcosa” per impedire la violazione del diritto d’autore, e si cita come esempio la possibilità di tagliare la connettività ai clienti dopo la terza volta che vengano sorpresi a scaricare materiale protetto da copyright.

Ma a profittare della ACTA saranno anche un'altra specie di parassiti multinazionali: le società farmaceutiche. Infatti, il trattato formalmente nato per tutelare i consumatori da merci contraffatte potrebbe diventare un valido alleato delle malattie che mettono a rischio il futuro di interi paesi già condannati dalla povertà e dal sottosviluppo. Supponiamo ad esempio che in un paese in via di sviluppo si sviluppi un’epidemia di una malattia curabile con un determinato farmaco il cui brevetto sia detenuto da un produttore americano (o svizzero, che è uguale) e immaginiamo che quest’ultimo rifiuti di mettere a disposizione dei produttori locali ad un prezzo equo il brevetto per la produzione del generico. In simili circostanze a questi ultimi viene graziosamente concesso di produrre senz’altro il prodotto anche violando il brevetto. Bene, grazie ad ACTA è stato reso assai più difficile accedere a questa scorciatoia: i malati dei paesi in via di sviluppo ringraziano.

Per riassumere, ACTA è un trattato commerciale che, al fine di impedire ai ragazzini di scaricare musica e film gratuitamente, istituzionalizza la censura su internet e rende prioritario il profitto dell’industria del farmaco rispetto alla salvezza di vite umane. Il suo testo, inoltre, è stato steso in segreto, sotto dettatura degli intermediari che fanno i soldi con la creatività di altri; grazie al suo status di trattato commerciale è stato firmato in quattro e quattr’otto dal presidente Obama ad ottobre dello scorso anno, senza alcun passaggio al Senato o alla Camera dei Rappresentanti; anche se sul Washington Post i professori di diritto Jack Goldsmith e Lawrence Lessig hanno spiegato che secondo loro il Presidente “non ha alcun potere costituzionale indipendente in materia di proprietà intellettuale o di comunicazioni”.

Per giunta, il trattato, che ha l’ambizione di essere applicato in tutto il mondo, contiene delle definizioni talmente generiche da far cadere le braccia: come si legge sul sito di Quadrature du Net, una ONG attiva nel campo delle libertà digitali, “ACTA prevede sanzioni da codice penale per i cittadini, anche se definite in modo pericolosamente generico”. Insomma, ACTA è un mostro dai mille tentacoli che rappresenta il trionfo degli interessi particolari e immeritevoli di tutela sulle libertà e sul buonsenso. Come se non bastasse, l’ACTA dà vita al cosiddetto Comitato ACTA, incaricato della supervisione della implementazione del trattato: comitato costituito di membri non eletti e privi di alcun obbligo di rendere conto ai cittadini del proprio operato. Per usare le parole di Electronic Frontier Foundation (EFF) “tanto nella sostanza che nel metodo, ACTA incarna l’obsoleto approccio al governo basato sull'arbitrio e sull'imposizione dall'alto: un metodo sconnesso dalle moderne nozioni di partecipazione democratica”.

Lo scorso ottobre Australia, Canada, Giappone, Corea del Sud, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, oltre agli Stati Uniti, hanno approvato ACTA. Lo scorso 26 gennaio a Tokyo, i rappresentanti di 22 Stati membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Republica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito) hanno a loro volta apposto la loro firma sotto il testo dell'ACTA. A differenza di quanto accade negli USA, l’Unione Europea sta trattando ACTA come un accordo vincolante, il che può essere una buona notizia, dato che implica l’obbligo dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo, previsto per la metà del prossimo giugno.

In ogni caso, non sono mancate le proteste, anche clamorose, specialmente nella Repubblica Ceca e in Polonia. Al grido di “Hollywood non scriverà le nostre leggi”, centinaia di rappresentanti del partito pirata si sono ritrovati nelle piazze ghiacciate di Praga per dimostrare contro l’adesione al delirante trattato da parte del governo della Repubblica Ceca. In Polonia, dove a sfilare in piazza contro ACTA sono stati in migliaia, i deputati del partito libertario Movimento Palikot si sono presentati in parlamento indossando una maschera di carta modellata da quella di V, il protagonista del film “V per Vendetta” del 2005, oggi “marchio di fabbrica” della galassia “anti-Wall Street” e del movimento di hacker etici “Anonymous”.

Non tutti hanno dimostrato uguale intelligenza: quando l’ambasciatrice slovena in Giappone Helena Drnovšek Zorko ha firmato l’ACTA il 26 gennaio, le si è abbattuta contro una comprensibile tempesta di proteste. A quel punto la signora ha ammesso di “aver agito con leggerezza dal punto di vista delle mie responsabilità istituzionali” e di “aver perso l’opportunità di esercitare l’obiezione di coscienza, ammessa anche per noi burocrati”. C’è da sperare che al Parlamento Europeo le cose vadano diversamente e che i deputati dimostrino per una volta di essere rappresentanti dei cittadini anziché servi del potere economico. Noi italiani, per dire, abbiamo firmato - senza pensarci troppo su, e senza pentimenti postumi.