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Il mondo compresso di David Byrne

di Valerio Zecchini - 12/02/2012

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Poche opere sono riuscite a cogliere lo “spirito dei tempi” quanto l’installazione dal titolo Tight spot (Posto stretto) di David Byrne, che da alcuni mesi campeggia in un singolare luogo di Manhattan. Si tratta di un enorme globo compresso sotto i sostegni della High Line, la vecchia linea ferroviaria urbana di New York, da poco tempo definitivamente riconvertita a parco cittadino. L’artista multimediale scozzese naturalizzato americano (e’ ormai semplicistico definire l’ex leader dei Talking Heads un musicista e cantante rock-pop) sottopone al pubblico e ai passanti un mappamondo gonfiabile, schiacciato, in cui non e’ difficile riconoscere l’attuale stato del pianeta, sovraffollato e oppresso da problematiche di natura ambientale. L’opera misura circa quindici metri per sei ed e’ corredata da un supporto audio, con una colonna sonora su cui e’ sovrapposta la voce distorta dello stesso Byrne proveniente dall’interno del globo.

Questo eccezionale lavoro site-specific e’ senz’altro arrivato al momento giusto; ossia nel periodo in cui ci si apprestava a “celebrare” la nascita dell’essere umano che mancava per tagliare il poco invidiabile traguardo dei sette miliardi di popolazione sulla terra – celebrazione che di certo non si e’ svolta in un’atmosfera di catarsi cosmica, bensi’ all’insegna del piu’ acuto pessimismo sulle sorti dell’umanita’. Guardando l’installazione di Byrne ci si ricorda che le idee piu’ semplici sono spesso le piu’ geniali. Ma cos’e’ che rende Tight spot un’opera cosi’ cogente e imprescindibile? L’aver reso con la massima efficacia l’idea della saturazione; siamo ormai tutti consapevoli  di vivere in un mondo obeso, dove l’eccesso e’ la norma, e dove c’e’ troppo di tutto.

Il flusso ininterrotto di informazioni e opinioni di cui ognuno di noi e’ oggetto ci parla di qualunque questione e argomento possibile e immaginabile, ma evita accuratamente di prendere in analisi la madre di tutti i problemi, la sovrappopolazione. Perche? Probabilmente perche’ chiama in causa tutte le domande metafisiche ed escatologiche, tutte le questioni ultime. Ad esempio: dopo cinquemila anni di civilta’, abbiamo capito perche’ siamo su questo pianeta e che cosa ci stiamo a fare? Qualsiasi conoscenza, anche la piu’ esoterica, culmina nella piena incertezza. Lo sapeva bene Nietzsche, che scrisse: “La conoscenza non e’ altro che dolore e disperazione”.

Su Internet e’ stato lanciato qualche anno fa il “Movimento per l’estinzione della razza umana”, e pare che raccolga numerosi adepti. Nulla di nuovo, per carita’, gia’ nel medioevo ebbe vasta diffusione l’eresia dei catari, i quali appunto predicavano l’autoestinzione, in quanto il mondo era secondo loro il regno del male; forse non sara’ proprio il regno del male, ma sicuramente questo mondo e’ fatto per i furbi, come diceva mia nonna e anche un classico della letteratura italiana di ottocento anni fa, il Decamerone di Boccaccio. E’ bene ricordare che i catari furono sterminati tutti senza pieta’ fino all’ultimo uomo (crudele ironia), ma la loro idea non era affatto peregrina: il buddismo insegna che nasciamo nella sofferenza, il cristianesimo che nasciamo nel peccato (originale). E allora se dobbiamo nascere per poi vivere nel peccato e nella sofferenza, non e’ meglio saltare a pie’ pari il problema e non nascere affatto? Cio’ che contrasta queste razionalissime considerazioni e’ (oltre al fisiologico bisogno delle donne di procreare) l’illusione della continuita’. Le illusioni, a cui regolarmente seguono le delusioni, sono cio’ che ci permette di vivere, ma l’illusione della continuita’ e’ la piu’ potente di tutte (Io moriro’, ma mio figlio mi continuera’). E quindi in tutti i continenti si continua a procreare a rotta di collo, eccetto che in uno, l’Europa – e all’interno dell’Europa il primato del decremento delle nascite spetta all’Italia e alla Spagna. Come ben sappiamo, codesto primato negativo suscita l’incessante biasimo e sdegno delle autorita’ religiose e politiche, e si chiamano in causa le piu’ svariate ragioni socio-economiche per spiegare il “triste fenomeno”. Ma non sara’ invece che gli europei, rispetto agli umani degli altri continenti, hanno raggiunto un maggior grado di saggezza, cosapevolezza, sobrieta’? Non sara’ perche’ danno piu’ importanza alla qualita’ che alla quantita’? Viene poi da pensare che gli europei abbiano forse involontariamente interiorizzato il pensiero di quel grande filosofo del secolo scorso che fu Emil Cioran.

Questa sorta di Buddha rumeno naturalizzato francese fu maestro del piu’ ardito nichilismo, infatti uno dei suoi libri si intitola “L’inconveniente di essere nati”. La sua e’ una filosofia non sistematica, che si articola in aforismi taglienti e spietati come questi: “Se potessimo conoscere in anticipo il futuro dei nostri figli, li strangoleremmo appena nati”. “Dopo aver fatto il giro di tutte le illusioni, di tutti i sogni e di tutte le utopie, potremo rifugiarci in un posto solo: nell’io dell’io”. Un altro grande nichilista del novecento, Samuel Beckett, nella sua opera maggiore (“Aspettando Godot”) dimostra come la vita umana, alla fine della fiera, si risolva in una pura e semplice attesa della morte. Ed e’ quasi superfluo ricordare quanto influente sia stato il teatro di Beckett presso l’intellettualita’ europea di qualsiasi orientamento ideologico. Comunque, Cioran e Beckett non fecero altro che portare al suo limite piu’ estremo una visione tragica dell’esistenza che era gia’ ben radicata nella cultura classica europea, sempre contrastata con efficacia dal peloso ottimismo degli intellettuali progressisti o dei capi rivoluzionari. Basti pensare alla misantropica precisione del monologo dell’Amleto di Shakespeare, il brano piu’ celebre di tutta la storia del teatro, in cui la vita umana viene paragonata alla “risata di un pazzo”.

A questa lucidita’ di pensiero si contrappone pero’ l’animalita’ dell’impulso vitale e dell’istinto di sopravvivenza, che non si chiedono alcun perche’. Nessuno meglio di Pirandello nella sua novella “L’uomo dal fiore in bocca” e’ riuscito a descrivere questo indefinibile istinto: e’ la storia di un uomo che, pur afflitto da un male incurabile, si tiene attaccato alla vita con tutte le sue forze.

Considerato tutto cio’, dall’alto della nostra storia, cultura ed arte che ci hanno munito di una superiore consapevolezza e lucidita’, noi europei possiamo permetterci il lusso di procreare per puro capriccio, per l’ebbrezza di generare altri esseri i quali come noi saranno parte di un enigma insolubile, che i cattolici con molta competenza chiamano “mistero della vita”.