Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La Nato in Siria: guida i “ribelli” l’agente libico di Bin Laden

La Nato in Siria: guida i “ribelli” l’agente libico di Bin Laden

di Giorgio Cattaneo - 12/02/2012

«Ancora non sappiamo chi ha ucciso Kennedy: come credere, dunque, all’inverosimile versione ufficiale dell’11 Settembre?». Quando uscì “La guerra infinita”, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq motivata con la favola delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, il libro raggiunse in pochi giorni le 70.000 copie vendute, e senza una sola recensione sui grandi media, per i quali la tesi di Giulietto Chiesa era semplicemente inaccettabile. Sono gli stessi media che, dieci anni dopo, inabissato in mare “con rito islamico” l’ormai ingombrante fantasma di Bin Laden, non hanno battuto ciglio quando, in prima serata sulla Rai, Giovanni Minoli ha rilanciato i medesimi imbarazzanti interrogativi di Chiesa. Poi è stata la volta della Libia, con la bufala in mondovisione delle “fosse comuni” per coprire le “stragi di civili”. E adesso è il turno della Siria: il capo del sedicente “libero esercito siriano”, si viene ora a sapere, è nientemeno che l’ex comandante militare di Tripoli, già dirigente di Al Qaeda.

Nonostante quello che i media raccontano – l’eroica lotta popolare dei siriani contro il tiranno – la Siria «sta affrontando bande armate di Madhi al-Harati, ex Al Qaeda, poi comandante militare a Tripoli: ora guida i "ribelli" siriani coordinati dalla Natoprovenienza straniera, che combatte maldestramente causando vittime collaterali tra la popolazione civile che sta cercando di proteggere». Lo scrive il giornalista Thierry Meyssan in un’inchiesta per “Réseau Voltaire” proposta in Italia da “Megachip”, che conferma la denuncia avanzata da Russia e Cina: l’intelligence dell’Occidente sta cercando di abbattere il regime di Assad, alleato dell’Iran, con l’aiuto di rinomata manovalanza araba: libica, per la precisione, e addirittura qaedista. A fine novembre, racconta Meyssan, la stessa stampa libica ha riferito del tentativo, da parte delle milizie di Zintan, di arrestare Abdelhakim Belhaj: sodale di Osama Bin Laden, divenuto governatore militare di Tripoli per grazia della Nato, Belhaj si stava imbarcando per la Turchia. Paese che – conferma la stampa turca – ha poi raggiunto, sistemandosi alla frontiera con la Siria, alla guida della “legione libica”.

L’ex capo di Al Qaeda in Libia coordina ora un contingente di ex “ribelli” di Bengasi, almeno 600 uomini ben armati dalla Nato, coordinati dagli 007 occidentali attraverso la base turca di Iskenderun e addirittura guidati sul terreno da forze speciali inglesi infiltratesi in Siria. «Questi capi d’accusa – scrive Meyssan – si scontrano con l’incredulità di tutti coloro per i quali al-Qai’da e la Nato sono nemici irriducibili, fra i quali non può esservi cooperazione alcuna. Ben al contrario, corroborano la tesi che io difendo a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001, secondo cui i combattenti etichettati al-Qai’da sono mercenari utilizzati dalla Cia». Evidente, aggiunte Meyssan, l’imbarazzo del quotidiano spagnolo “Abc” che ha pubblicato a Daniel Iriartepuntate il reportage fotografico di Daniel Iriarte fra Siria e Turchia: ostile al regime di Assad, già il 17 dicembre 2011 il giornale «testimonia di un incontro che l’ha scioccato», quello coi miliziani libici.

Il primo di loro era Mahdi al-Harati, nel cui curriculum figurano l’Irlanda (il paese della moglie), poi l’organizzazione di Bin Laden, quindi la guerra in Libia. Comandante della Brigata di Tripoli, al-Harati è diventato il “numero due” del Consiglio militare di Tripoli diretto da Abdelhakim Belhaj. Ancora più strano: questo membro di Al Qaeda, pedina-chiave nella guerra della Nato contro Gheddafi, si trovava tra i militanti filo-palestinesi imbarcati sulla nave umanitaria turca Mavi Marmara, diretta a Gaza: «Agenti di molti servizi segreti, specie degli Stati Uniti – scrive Meyssan – si erano infiltrati nella “Freedom Flotilla”». Al-Harati fu ferito e tenuto prigioniero per nove giorni in Israele. Tornato nel suo paese d’origine, durante la battaglia di Tripoli, al-Harati ha comandato il gruppo di Al Qaeda che ha assediato e attaccato l’hotel Rixos, che ospitava giornalisti e, nei sotterranei, dava rifugio a leader del regime libico sotto la protezione della guardia di Khamis Gheddafi.

La “pista spagnola” porta lontano: lo scorso 9 dicembre, l’ex premier José Maria Aznar ha rivelato che proprio Belhaj era sospettato del coinvolgimento negli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid, che posero fine alla sua carriera politica. Denuncia che corrisponde con quella del “Jerusalem Center for Public Affairs”, il think tank diretto dall’ex ambasciatore israeliano all’Onu, Dore Gold: gli israeliani contestano la strategia della Cia, che utilizza ultras islamisti in Nord Africa. Sempre secondo gli israeliani, Abelhakim Belhaj è considerato una pedina strategica del Qatar nella nuova Libia: e proprio il Qatar avrebbe spedito in Siria le proprie forze speciali, insieme a quelle inglesi. Per tentare di rovesciare Il generale Carter Ham, comandante di Africom, la "Nato africana"Assad innescando a Damasco uno scenario da guerra civile, l’intelligence della Nato non esita ad impiegare sul campo ex dirigenti di Al Qaeda, già preziosi in Libia.

«Così, la contraddizione che ci si sforza di camuffare, negli ultimi dieci anni, ritorna in superficie», scrive Meyssan: «I mercenari, già pagati da Osama bin Laden, non hanno mai smesso di lavorare al servizio della strategia degli Usa a partire dalla prima guerra in Afghanistan, incluso il periodo degli attentati dell’11 Settembre». Nondimeno, sono sempre presentati dai leader occidentali come “nemici implacabili”. Inutile, aggiunge Meyssan, anche la protesta del generale americano Carter Ham, comandante dell’Africom, «indignato, all’inizio della guerra in Libia, per via del dover proteggere i jihadisti che avevano appena massacrato i soldati Usa in Iraq». Lontani dalla realtà, sia il comitato antiterrorismo dell’Onu che il Dipartimento di Stato degli Usa «mantengono sulla loro lista nera l’organizzazione di Abdelhakim Belhaj» sotto il suo vecchio nome di “Gruppo islamico combattente in Libia”. Peccato che oggi siano le loro pedine principali nella guerra contro l’Iran che si va preparando attraverso l’opaco scenario siriano.